Il Comune di Napoli, per espressa volontà del sindaco, Luigi de Magistris, ha approvato una delibera di giunta a tutela delle condizioni dei propri lavoratori e lavoratrici e del contrasto alla diffusione del contagio da coronavirus, estendendo la sperimentazione del Lavoro Agile.
Già 80 dipendenti dell’amministrazione comunale, fino al 31 marzo, avevano aderito al progetto che permette, con l’approvazione del dirigente di settore, di svolgere un giorno a settimana le proprie mansioni dall’abitazione, con 4 ore di reperibilità e un report a fine giornata.
Ed ora si pensa, dopo l’ultimo provvedimento del Governo di ampliare quest’opportunità.
Quindi a Napoli viene esteso a tutti i dipendenti l’utilizzo della modalità di lavoro dal proprio domicilio durante il periodo fissato dal decreto della Presidenza del consiglio dei ministri, “purché ciò non metta in discussione l’efficienza dell’attività”, recita il provvedimento.
Le domande inoltrate già da lunedì 9 marzo sono operative. Il deliberato, a Napoli, rispetto il totale di 6mila dipendenti comunali, fissa categorie di lavoratori ammessi a farne richiesta in modo prioritario secondo un ordine di precedenza. Tra le categorie ammesse a farne richiesta anche quella nella quale rientrano i lavoratori che attestino di avvalersi quotidianamente mezzi di trasporto per la distanza domicilio-luogo di lavoro, richiesta che potrà essere valutata dal dirigente di riferimento, sulla base di criteri di rotazione, in ragione di esigenze organizzative.
Dopo aver allargato a “zona Rossa” tutta l’Italia sono diverse le amministrazione comunali sul punto di adottare provvedimenti similiari, anche perchè siamo sul punto di decretare un ulteriore ristrengimento delle manovre contro la diffusione del virus.
Ma per i dipendenti – dicono dal Governo – oltre lo smart working c’è anche il rischio ferie «forzate» fino al 3 aprile in tutta Italia. Infatti ai lavoratori potrebbe essere chiesto di mettersi in ferie oppure in congedo obbligatorio fino al 3 aprile
«Si raccomanda ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere, durante il periodo di efficacia del presente decreto, la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie».
Lo prevedeva il Dpcm firmato nella notte dell’8 marzo dal premier Giuseppe Conte per i lavoratori della cosiddetta zona arancione che comprende tutta la Regione Lombardia e le province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia. Una misura, che alla luce del nuovo provvedimento annunciato da Giuseppe Conte il 9 marzo, dovrebbe estendersi a tutta l’Italia. Questa modalità affianca – come precisa lo stesso articolo 1, comma 1, lettera h del Dpcm – alla possibilità del lavoro agile, ribadita per tutto il Paese dall’articolo 2, comma 1, lettera r dello stesso Dpcm.
Il decreto prevede infatti come prima misura per contrastare e contenere la diffusione del coronavirus di evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori, salvo per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o motivi di salute.
Ai lavoratori, dunque, si potrebbero presentare di fronte due possibilità: lo smart working oppure l’invito a mettersi in congedo o ferie eventualmente fino al 3 aprile.
Nella “peggiore” delle ipotesi potrebbe trattarsi di 4 settimane di ferie che per la stragrande maggioranza dei lavoratori significherebbe esaurire tutte le ferie dell’anno.