È un libro di storia, che riporta al Medioevo e precisamente al Regnum Siciliae fondato e retto per quasi tutto il XII secolo dagli Altavilla. Ma il suo messaggio è attualissimo. Si tratta di Cristiani e musulmani nella Sicilia normanna, appena uscito per le Edizioni di Storia e Studi Sociali, firmato da Ferdinando Raffaele, filologo e studioso di letterature romanze, da Carlo Ruta, saggista e studioso del mondo mediterraneo, e da Sebastiano Tusa, archeologo e docente universitario. Si compone di tre saggi, brevi ma esaurienti, sui rapporti complessi che intercorsero tra cristiani e musulmani nel Regnum Siciliae degli Altavilla. E le prospettive prescelte sono essenzialmente tre: quella storico-linguistica, esaminata da Raffaele, quella etnico-religiosa, analizzata da Ruta, e quella tecnico-scientifica, presa in esame da Tusa.
Raffaele, dopo un breve excursus storico, fa il quadro delle contaminazioni e dei «prestiti» linguistici e lessicali dall’arabo nella lingua siciliana, soffermandosi sull’ampio vocabolario di queste contaminazioni e illustrando l’entità del debito che l’idioma siciliano ha contratto con la lingua parlata dai musulmani di Sicilia, che soprattutto nelle fasce medio alte fu l’arabo classico. Spiega quindi il peso che queste contaminazioni hanno avuto nell’evoluzione sociale della lingua parlata siciliana, con effetti di interculturalità che finirono con l’arricchirne la struttura. L’idioma dell’isola godette infatti di non poca considerazione nell’esperimento di volgare illustre condotto nella prima metà del XIII secolo dalla scuola poetica siciliana.
Ruta traccia un quadro dei problemi che sul piano storiografico restano aperti, mettendo in rilievo una serie di elementi che collidono con l’immagine di una Sicilia normanna interamente pacificata e interculturale. Spiega che lo sfondo del secolo era quello delle crociate e che l’ideologia della guerra santa ebbe effetti anche nell’isola, coltivata in particolare da alcuni ambienti facoltosi dell’aristocrazia, di provenienza nord-italiana. Argomenta quindi sui modi in cui progredì il paradigma violento, e sui modi in cui i poteri ufficiali del tempo contribuirono a indebolire l’etnia arabo-berbera di Sicilia, esponendola a un destino tragico, che si compì definitivamente in periodo svevo, con gli stermini e le deportazioni di Federico II.
Tusa spiega che le conoscenze tecniche già patrimonio degli arabi ebbero in Sicilia effetti notevolissimi, che, lungi dall’esaurirsi nei due secoli in cui i musulmani amministrarono e colonizzarono la Sicilia, riversarono i loro benefici nel Regnum Siciliae cristiano degli Altavilla. Anche i commerci e le attività produttive dei musulmani divennero di fatto un patrimonio irrinunciabile per i nuovi signori della Sicilia. L’archeologo chiarisce poi i modi in cui la cultura materiale e artistica araba si sedimentò nel regno, in primo luogo a livello architettonico, con l’adozione di stilemi arabo-islamici nella edificazione di chiese e palazzi, che contribuirono non poco alla rappresentazione sincretica e scenografica che gli Altavilla predilessero.
Per tutto questo, come si diceva, si tratta di un testo di strettissima attualità, il cui significato è sintetizzato, nella premessa editoriale, in queste parole: «Si può discutere quanto la storia, anche la più remota, sia in fin dei conti, come sosteneva Benedetto Croce, storia contemporanea, o quanto tenda almeno ad esserlo. Intesa come studio consapevole e approfondito del passato, essa costituisce comunque uno strumento importante per orientarsi. E in questo senso può aiutare non poco a comprendere le complessità di questo tempo, che sono in grado di disorientare e di indurre a forme strategiche di dimenticanza.»
Ferdinando Raffaele, Carlo Ruta, Sebastiano Tusa, Cristiani e musulmani nella Sicilia normanna, Edzioni di Storia e Studi Sociali, dicembre 2015, pp. 9
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