Sui Nebrodi, tra boschi imbiancati che odorano di resina e di altre cento essenze, tra i frammenti della storia umana lasciati sedimentare lungo lo scorrere lento ed inarrestabile del tempo, si è rinnovata puntuale un’atmosfera natalizia densa di particolari suggestività, nel solco di un passato estremamente ricco di profonda spiritualità. Riviviamola attraverso gli scritti di un attento osservatore: Vittorio Tumeo.
Nell’iconografia tradizionale sono molteplici gli emblemi simbolici attraverso i quali si manifesta e si celebra la natività. Altri proiezioni della comunità che li ha espressi. Non diversamente da altre feste, il Natale è caratterizzato da aspetti liturgici e, perché no, gastronomici.
I momenti essenziali della Natività, un po’ dappertutto, sono riconducibili alla tradizionale messa di mezzanotte e alla novena.
A Ficarra, Sant’Agata Militello, Cesarò, Longi ed in tanti altri paesini dell’entroterra, la novena anticamente si svolgeva alle quattro del mattino.
I contadini vi partecipavano numerosi prima di portarsi all’anta ad affrontare il duro lavoro della raccolta delle olive. La loro presenza in chiesa assumeva anche la valenza del rito propiziatorio perché la giornata fosse meno faticosa ed il raccolto abbondante.
Sacro e profano si intrecciavano senza limiti ben definiti. Tale fenomeno rituale che a Ficarra esaltava lo stretto legame tra religiosità e mondo contadino, diventa elemento di congiunzione con la cultura silvo-pastorale a Galati Mamertino dove ancora oggi sciamano gli zampognari con i loro caratteristici abiti in pelle di pecora annunciando appunto la novena con lo stridente suono delle “ciaramedde”.
Il carattere eccezionale dell’avvenimento è segnato da altre pratiche e credenze.
A Tortorici, San Marco d’Alunzio, Raccuja, Ucria, Rocca di Caprileone e in molti altri centri ancora, è usanza ardere dei grossi ceppi di legno (zucchi) a simbolo di purificazione e rinascita. Intorno ad essi ci si attarda fino all’alba mangiando e bevendo.
Tale primitivo significato della festa natalizia inteso come rito propiziatorio legato alla vita che comincia è particolarmente sentito dall’uomo che fin dalla sua comparsa ha avvertito l’angoscia del suo effimero passaggio.
A San Fratello, in uno scenario di incomparabile bellezza, si danno convegno pastori e allevatori i quali attraversano i boschi con fiaccole accese per radunarsi poi intorno ad una capanna di sterpi e riproporre la scena della natività. Altre multiformi espressioni della millenaria cultura popolare legata al Natale sopravvivono all’invadenza della civiltà moderna.
La ricca varietà di dolci nel contesto alimentare natalizio svolge un ruolo essenziale, diventa un segno della festa. E così, dalla barocca fantasia dei popoli nebrodensi sono scaturite variopinte espressioni dell’arte culinaria. Si va dai saporiti “carrobisi” di Alcara li Fusi fatti con un impasto di fichi secchi e vino cotto alla cassata di Castel di Lucio.
Ed ancora, i “giambellotti” d’uovo di Motta d’Affermo, le “sfince” cosparse di Zucchero di Ficarra. I Nebrodi insomma si rivelano una volta di più custodi e testimoni di un ricco palinsesto di culture, tradizioni popolari e religiose da riscoprire e difendere.
Vittorio Tumeo