….la peste, in un certo senso, è un essere molto superiore a noi: sa dove trovarci e come. di solito ci trova nel bagno o che facciamo l’amore o che dormiamo.
è anche bravissima a coglierti mentre cachi, non uno stronzo mezzo dentro e mezzo fuori.
se è alla porta, gli gridi: “un momento! vengo subito, che diamine,un momento!” ma il suono di una voce angosciata l’aizza maggiormente.
allora la peste bussa con rinnovata energia. bussa e suona il campanello insieme, di solito. devi aprirgli, farla entrare.
e quando —finalmente — se ne va, tu ti ammali per una settimana. altre a romperti l’anima, la peste ti piscia sulla ciambella del cesso.
poche gocce di solito.
non te n’accorgi, se non quando ti sei già seduto sulla tazza e è troppo tardi.
a differenza di te, la peste ha un’infinità di tempo a disposizione.
tutte le sue idee sono in disaccordo con le tue, ma lui non se n’accorge perché parla fitto fitto, sempre lui, e se anche tu riesci a dir qualcosa, lui non ti sta a sentire.
non ascolta mai la tua voce.
per lui è solo un ronzio, una pausa, poi riprende il suo monologo.
e mentre lui seguita a parlare tu ti domandi sgomento come avrà fatto a intrufolarsi, col suo sporco muso, nella tua anima.
la peste conosce molto bene i tuoi orari e ti telefona di preferenza quando dormi e per prima cosa ti domanda: “t’ho svegliato per caso?” o se trova le finestre tutte chiuse quando arriva a casa tua, bussa ma suona lo stesso, selvaggiamente, tutto in orgasmo.
Se non rispondi grida: “lo so che sei in casa! c’è l’auto qui fuori!”benché non conoscano le tue idee, i tuoi processi mentali, questi esseri nocivi e molesti sentono, per intuito, di non andarti a genio: ma questo li eccita.
e poi si rendono vagamente conto di che tipo sei tu: tu sei uno che, fra far del male o subirne preferisci la seconda alternativa; ebbene, le pesti sono ghiotte delle parti migliori dell’umanità: loro sanno dov’è la carne più buona.
la peste ha un bagaglio di luoghi comuni che scambia per saggezza.
ecco una delle sue massime preferite:”non c’è niente che sia tutto cattivo. tu dici che i poliziotti sono TUTTI cattivi. invece no. ne ho conosciuti tanti, di buoni. insomma c’è anche il poliziotto buono.”
non hai modo di spiegargli che: quando un uomo indossa quella divisa diviene il tutore stipendiato dell’ordine vigente.
è pagato per far sì che nulla cambi.
se a te va bene come stanno le cose, allora tutti i poliziotti sono buoni.
se invece non ti piace come stanno le cose, allora per te sono tutti cattivi. c’è qualcosa che è tutto cattivo.
ma la peste è intrisa di questa filosofia sterile e marcia e non rinuncerà mai alle sue teorie.
incapace di pensare, la peste s’attacca alla gente: sinistramente e per sempre.
“noi non sappiamo quello che succede dietro le quinte non abbiamo elementi di giudizio. dobbiamoquindi fidarci dei nostri leaders.
“questa è una tale cretinata che non val neanche la pena di confutarla.
anzi, la smetto di passare in rassegna le fregnacce della peste, ché già mi vien male.
dunque.
non occorre che la peste sia uno che ti conosce di nome o di fatto.
la peste è ovunque, semprepronta a dirigere su di te il suo puzzolente raggio della morte.
mi ricordo una volta, in particolare. m’era andata bene alle corse.
ero a Del Mar al volante d’un auto nuova.
ogni sera dopo le corse prendevo alloggio in un motel diverso.
dopo fatta la doccia e essermi cambiato d’abito, uscivo in auto sulla litoranea, alla ricerca di un buon posto dove mangiare. un posto cioè non affollato
dove però si mangiasse bene.
sembra una contraddizione. voglio dire, dove si mangia bene dovrebbe essere affollato.
ma come molte verità teoretiche, questa qui non sempre si traduce in verità pratica.
càpita tante volte che la gente gremisca locali dove si mangia schifosamente.
quindi ogni sera compivo il mio pellegrinaggio alla ricercadi un posto dove il cibo fosse buono ma non ci fosse tanta folla.
ciò prendeva molto tempo.
una sera girai per più d’un’ora e mezza prima di trovare un posto adatto.
parcheggiai l’auto, entrai. ordinai una bistecca alla nuovayorkese, patate fritte e così via, e mi sedetti a sorseggiare un aperitivo in attesa che mi servissero.
la trattoria era vuota.
era una serata magnifica, poi, mentre mi servivano la bistecca, la porta siaprì e entrò la peste.
non potevi sbagliarti.
c’erano 32 trespoli liberi, e lui venne a sedersi proprio su quello accanto a me.
cominciò a attaccar discorso con la cameriera, dopo aver ordinato una ciambella.
era un tipo segaligno.
la sua conversazione dava ai nervi.
una sfilza di banalità stucchevoli, dalla bocca gli usciva la puzza dell’anima sua putrefatta, impestando ogni cosa.
e mi metteva il gomito nel piatto.
lasciai perdere la bistecca e uscii, e m’ubriacai tanto quella sera che il giorno appresso mi perdetti le prime tre corse.
la peste non manca mai nel posto dove tu lavori.
io sono una buona esca per la peste.
una volta lavoravo in un posto dove c’era un tale che non rivolgeva la parola a nessuno da 15 anni. il secondo giorno ch’ero lì io, mi parlò per 35 minuti filati.
era completamente sonato.
saltava di palo in frasca, una frase non aveva alcun nesso con quella successiva.
il che va anche bene, senonché nel suo caso si trattava di una sfilza di stronzate, rancida merda senza un minimo di spirito.
lo tenevano lì perché era solerte sul lavoro.
“un buon lavoro, una buona paga.” in ogni posto c’è almeno un matto, una peste, e mi trovano sempre.
“ai più matti vai a genio tu.”
è una frase che ho sentito ripetermi dovunque ho lavorato. non è mica incoraggiante.
forse però bisogna riconoscere che tutti noi qualche volta siamo stati la peste per qualcuno, senza rendercene conto.
è un pensiero assai deprimente, ma purtroppo dev’essere proprio così.
quest’idea può aiutarci a sopportare la peste.
in fondo, non c’è nessun uomo al 100 per cento sano.
tutti abbiamo varie forme di pazzia e di bruttezza, delle quali non siamo coscienti, ma di cui gli altri sono consapevoli. se ci pensi su fitto, non campi più.
eppure, è da ammirare l’uomo che prende provvedimenti contro la peste.
la peste si sgomenta di fronte all’azione diretta e ben presto cambierà rotta.
conosco un uomo, il tipo dell’intellettuale-poeta, però pieno di vita e vivacità: costui ha messo un cartellino sulla porta di casa sua. non ricordo esattemente, ma dice pressappoco così, in bellissima calligrafia: chiunque desideri vedermi, mi telefoni per prendere appuntamento. non risponderò a chi venisse a bussare senza essersi preannunciato. ho bisogno di tempo per svolgere il mio lavoro. non vi permetterò di assassinare il mio lavoro. vi prego di rendervi conto che ciò che mi dà da vivere farà di me una persona migliore anche nei vostri confronti quando al fine ci incontreremo a nostro bell’agio e senza costrizioni di sorta.
ammiravo quel cartello.
non mi pareva un atto di snobismo o presunzione.
era una brava persona, chi l’aveva affisso, uno che aveva abbastanza spirito e coraggio per proclamare i suoi diritti naturali. la prima volta che vidi quel cartello, dopo averlo letto e aver udito che lui era in casa, me ne tornai zitto zitto alla mia auto e me n’andai.
la comprensione sta a fondamento di ogni cosa, ed è ora che cominciamo a capirci.
per esempio, io non ho nulla contro i love-ins, purché NON SIA COSTRETTO a parteciparvi.
e non è che io sia contro l’amore… ma stavamo parlando di peste, no, adesso? perfino io, carne da peste come mi ritrovo, persino io una volta adottai una misura antipeste.
lavoravo a quel tempo 12 ore ogni notte, dio mi perdoni e dio perdoni dio, e c’era questa peste pestifera che non faceva altro che telefonarmi ogni mattina verso le nove.
io rincasavo alle 7 e mezza e dopo: un paio di birre riuscivo di solito a addormentarmi. a questo punto, puntuale, lui. sempre le solite vecchie fregnacce.
lo sapeva di avermi svegliato e, solo a sentire la mia voce, si caricava. tossicchiava e miagolava e borbottava e sputacchiava.