Stiamo vivendo un ritorno al Medioevo . Decapitazioni , migliaia di morti annegati, famiglie che si sgozzano di continuo : la cruda violenza dei racconti di Giambattista Basile , con la sua matrice medievale, mi sembra di strettissima attualità .
Tornano in primo piano passioni e desideri, come nelle fiabe, che sono sempre vere, come diceva Italo Calvino, perché parlano dell’essere umano. E poi le fiabe sono archetipi, e gli archetipi sono sempre moderni e universali “.
Parla Matteo Garrone, l’uomo di “Gomorra” che ha fatto un horror genere serie B ma da Oscar. Diagnosi forse tarantiniana ma che non gli dispiace, certo è che il suo coraggio di sedurre ,con gli occhi ,anche la pancia e le viscere di chi guarda ci riscatta dalla palude di sonnolento buonismo del nostro cinema.
Perché il supremo pregio dei B-movies “di paura”è stato sempre quello di scatenare sentimenti violenti e contrastanti, stupore, estasi, ribrezzo, ilarità anche, attesa sempre, spasmodica, di un peggio e di un meglio che vanno a braccetto.
Ne “Il racconto dei racconti”, che fuori Italia sarà “Tale of tales”perché è girato in inglese, l’horror riconquista la dignità dei prototipi, le “fiabe madri”cioè, fantasie per adulti, non per bambini, e tutte le corde della passione fatta di carne e sangue, dei sogni e degli incubi, del vagare dal laido al sublime della fantasia popolare congiurano a creare una debordante bellezza .
È un film di eccessi, quello di Garrone , come lo erano le 50 fiabe di “Lu cunto de li cunti”, dal genio di Giambattista Basile, napoletano che nel primo ‘600 fornì la materia grezza alle edulcorazioni più celebri dei Grimm, dei Perrault, degli Andersen. Un film di eccessi da godere a bocca aperta come un bambino che ascolta una fiaba paurosa, con quei suoi mostri viscidi e carnali che nessuna creatura digitale potrebbe eguagliare, gioiosamente rubati anche quelli all’artigianato del cinema pre-effetti speciali, ancora B-movies d’antan.
Gli eccessi vengono dritti dall’immaginario popolare e dall’eterno sberleffo contro i potenti. C’è il divorante bisogno di maternità della regina Salma Hayek, che si ciba di un sanguinolento cuore di drago per partorire il figlio bramato e sarà vittima di quella passione esclusiva.
C’è il paradossale capriccio di Toby Jones, altro sovrano, che rimpinza una pulce fino alla stazza di un bue sacrificandole l’unica figlia. C’è il libertino Vincent Cassel che rintronato dalle orge (e” che” orge ,chapeau) si porta a letto per sbaglio una povera vecchia lavandaia, ma i prodigi, si sa…perché la magia è sempre in agguato,e il genio di Basile era riuscito ad anticipare di quattro secoli la satira della moderna chirurgia estetica. Tant’è che il “cunto” originale si intitolava “La vecchia scorticata”,s’intende nell’illusione di riconquistare gioventù e bellezza.
E’bello e importante, a proposito di B-movies, che Garrone citi tra le sue fonti di cinema , oltre al “Casanova”di Fellini, al “Pinocchio”di Comencini e all’”Armata Brancaleone” di Monicelli, il mitico Mario Bava de “La maschera del demonio “.
Viene voglia, si sa, di leggere (con testo a fronte) il “Pentamerone”di Basile, che Calvino paragonava al “sogno di un deforme Shakespeare partenopeo”. Ma il sentimento di bellezza assoluta che si ricava dal film è tutta farina del sacco di Garrone, segnatevi comunque il nome del suo direttore della fotografia ,un fedelissimo di David Cronenberg, Peter Suschitzki.
Se poi l’occhio scivola dall’azione in primo piano ai secondi e terzi piani , le composizioni di sfondo sono ricchissimi affreschi di vita e lavoro paesani, viene dalla pittura, il regista, e si vede. C’è da aggiungere che finalmente scopri il vero e prezioso vantaggio delle Film Commissions regionali .
Che non è solo quello di favorire economicamente quanto si gira da loro. Quello che fa della Puglia Garrone è da togliere il fiato, da Castel del Monte alle gole dell’Alcantara . C’è troppa musica ?
Sì.
Quella dell’Oscar Alexandre Desplat, emotiva e onnipresente come in un cartoon Disney . Strano come se un film funziona anche i difetti apparenti diventino pregi . E viceversa. E’ accaduto ,allo stesso Garrone, col suo precedente “Reality”, dove l’insieme stroncava ingredienti felici .
E gli interpreti , tutti “da fuori”, tranne i nostri Alba Rohrwacher e Massimo Ceccherini ?
A quanto pare è un’opzione trendissima , vedi anche “La giovinezza”di Sorrentino, che come Moretti e Garrone va a Cannes. Ma si può immaginare tra orchi, draghi e regine l’usuale manipolo di attori ,sempre gli stessi, che popola tutti ma proprio tutti i prodotti italiani? L’abitudine ci priverebbe del magico effetto del film ,che merita tanta fortuna nel mondo.
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