– di Corrado Speziale –
Straordinario ritorno del pianista romano a Messina, per il concerto d’apertura della stagione estiva, all’aperto, nello spazio allestito in via Laudamo. Danilo Rea, com’era prevedibile, ha entusiasmato il pubblico con le sue improvvisazioni jazzistiche su brani famosi tratti da ogni genere musicale, proposti con tecnica e classe eccellenti, unite al sentimento che lo contraddistingue. Immancabile l’omaggio iniziale al maestro Ennio Morricone. Il ricordo di Danilo Rea: “Non amava gli omaggi dei jazzisti. La sua scrittura era così perfetta che nessuno poteva fare di meglio. L’abbiamo comunque sempre omaggiato perché siamo sempre impazziti per le sue melodie”.
Danilo Rea, “Il jazzista imperfetto”, dal titolo del suo libro ed. Rai Eri, scritto con Marco Videtta nel 2018, ancora una volta ha espresso il senso “perfetto” di intendere il jazz. Perché alla fine il pianista nativo di Vicenza ma romano al cento per cento, riesce innanzitutto ad esprimere e a comunicare ciò che sente dentro di sé con impeccabile arte e professionalità, e con la libertà che contraddistingue chi fa musica ad alti livelli da 45 anni, attraversando generi ed esperienze che hanno formato e arricchito il panorama musicale italiano e non solo.
“Perché passione ed emozioni danzino sempre con noi”, con dedica al padre. Fu lui, per dirne una, nel 2003 ad iniziare la “leggendaria” stagione dei live “piano solo”, con tanto di incisione, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, nella mitica sala Santa Cecilia, dove nel 2014 si esibì Keith Jarrett. E già allora, di palcoscenici, da solo, Danilo Rea, ne aveva attraversati in lungo e in largo. “Lost in Europe” del luglio del 2000, ne era già un’eloquente testimonianza. “Perso”, in Europa più tra sentimenti piacevoli e coinvolgenti che in una geografia che già conosceva bene. La dedica, stavolta, contiene il sapore e la gioia di un pianista che trova la sua “voce” in famiglia: la nascita di Oona, oggi cantante straordinaria dal grande futuro.
Danilo Rea, persona affabile, padre, amico, musicista, è un artista che piace e appassiona su terreni sconfinati. I suoi “viaggi” sulla tastiera del pianoforte, come un gioco circolare, attraversano il globo incontrando musica e autori ricercati con cura nella geografia e nel tempo senza limiti preordinati. È un intreccio tra arte, virtuosismo, storia passata e recente.
A Rea piace improvvisare sulla musica che “piace”, tant’è che in assenza di compagni di palco costruisce e ritrova l’empatia e l’interplay col pubblico, che gli è affezionatissimo.
In questo, diamo atto a Matteo Pappalardo, direttore artistico del Teatro V.E. per la musica, della sua ottima scelta per questo “abbraccio”, in tempi post Covid, della città ad un artista di grande qualità, molto amato dal pubblico.
“Piano solo è la mia disciplina preferita”, aveva detto alla vigilia Danilo Rea. L’artista, salito sul palco si è subito lasciato catturare dall’affetto in un emozionante approccio con una platea desiderosa di musica dopo mesi di chiusura forzata: “È bello tornare a suonare!”. Ed è entrato subito in “tema”, prima di spaziarci dentro musicalmente: “L’improvvisazione non viene propriamente dal jazz. Già i musicisti classici come Bach erano dei grandi improvvisatori. Noi abbiamo un po’ rubato e ricominciato un’antica tradizione”, ha detto dal palco. E proprio su Bach, assieme al pianista iraniano Ramin Bahrami, Danilo Rea ha ultimamente realizzato un progetto straordinario: “Bach Is In The Air”.
Il concerto. Danilo Rea aziona le corde dei sentimenti. Intreccia note e frasi, tra curiosità e stupore. È quasi impossibile descrivere e raccontare per intero una scaletta, che tale non è, essendo frutto di un continuo divenire di brani e frasi che sopraggiungono, si inseguono, si alternano, intercalate e integrate nell’improvvisazione.
L’inizio, com’era prevedibile, è nel segno del compianto Ennio Morricone. Così lo ricorda il pianista: “Non amava gli omaggi dei jazzisti. La sua scrittura era così perfetta che nessuno poteva fare di meglio. L’abbiamo comunque sempre omaggiato perché siamo sempre impazziti per le sue melodie”.
Danilo Rea viaggia e accompagna la platea tra le “immagini” riconducibili alle splendide colonne sonore del grande compositore romano.
Le primissime note sono da favola: Deborah’s Theme da C’era una volta in America. Da qui in poi sarà un fiume d’emozioni con variazioni sensazionali. Giù la testa, in spazi immersi nel cuore del jazz; Metti una sera a cena, con tante qualità e varietà. Dopodiché, Se telefonando, per regalare un ricordo anche attraverso una composizione del maestro per Mina. È un giocoso alternarsi di virtuosismi e melodie dove il pianista innesta un’imprevedibile quanto piacevole What a wonderful world, targata Louis Armstrong. A seguire, si resta oltreoceano con passaggi d’ispirazione jazz anni Sessanta. Da lì, come per incanto, giusto un salto indietro nello spazio e nel tempo: Libiamo ne’ lieti calici da La Traviata di Verdi. Ma è solo un breve passaggio, perché il pensiero al musical e al cinema lo farà riapprodare in America col famoso brano da West Side Story di Bernstein, cui seguirà la classicissima Over the Rainbow espressa con tecnica magistrale e chiusura ad effetto. Applausi.
Si riparte da Your Song, con una versione emozionante e ben articolata, che rende quella creata da Elton John nient’altro che un lontano ricordo. Dunque, si ritorna in Italia, col pensiero alla cantante più “grande”. Con Mina, Danilo Rea ha realizzato qualcosa come 18 album. Grande grande grande vedrà un’interpretazione eccezionale, con l’inserimento de La Banda. Così, arriva anche il momento del Brasile “ripreso” in Italia: Oh Che sarà di Chico Buarque, bellissima esecuzione per appassionati. Un altro maestro tanto caro a Rea, nonché suo amico, è stato Armando Trovajoli. L’omaggio nell’atmosfera messinese: Roma nun fa’ la stupida stasera. Un altro importante connubio di Danilo Rea è quello esercitato con la “scuola genovese”: Il Nostro Concerto è un emozionante regalo del pianista, che con questo brano, assieme a Gino Paoli, fece un tributo a Umberto Bindi già a Sanremo nel 2014.
Il concerto scorre piacevolmente in un girovagare tra mente e cuore: tra le beatlesiane Let it be e Here Comes The Sun, Rea propone De Andrè con Il Pescatore e una disinvolta “Cenerentola” ne I sogni son desideri.
È il momento dell’opera, con un medley ricercato, profondo e introspettivo con tre arie pucciniane “intermezzate” da Mascagni: O mio babbino caro; Intermezzo da La Cavalleria rusticana; Nessun dorma, E lucevan le Stelle.
Da quest’ultima, il passaggio assonante in Autumn Leaves con il pianista che prende meravigliosamente il largo su molteplici variazioni. Sul finire, l’immancabile ritorno su De André tra gli applausi: Bocca di Rosa, brano simbolo tra quelli che meglio lo identificano sul percorso del cantautore genovese, Rea lo interpreta come meglio non si potrebbe. Al rientro, tra i brani richiesti della platea, La Canzone di Marinella. Poi, la sorpresa: Hallelujah, di Leonard Cohen.
Dunque, l’ultimo brano, una risposta ideale a chi si chiedeva come definire i momenti della prima serata nello spazio scoperto del Teatro V.E: “Tu chiamale, se vuoi, Emozioni”.