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DOPO LA DERIVA – “Ti scrivo delle tue radici che cominciano dove finisce la terra ferma e dove, straniera, ricomincia”.

 

 DOPO LA  DERIVA

Ti scrivo delle tue radici che cominciano dove finisce la terra ferma e dove, straniera, ricomincia.

Ne Patria, Popolo o Nazione alle tue spalle, ma culla di onde, e cenere dispersa di partenza; è questo il solo indietro che ti resta. Non ti racconto da dove vieni, ma dove sei arrivato; e di me, tua madre, ti racconto il viaggio che mi ha inghiottito i ricordi.

E ti racconto le strade camminate per milioni di passi, schiene in fila, a immaginare il mare. Prima di vederlo era un odore, sudore amaro, che sapeva di sale.

Sarà una mezza luna alla rovescia – mi dicevo – o un rettangolo di stoffa come il tappeto di preghiera di mio padre.

Cos’era invece questo mare? Abisso senza fine arrotolato ai bordi dell’Africa, occhi accecati da scaglie di luce ed un guscio sfasciato ad attenderci per sparigliarci e traghettarci sull’acqua di nessuno.

Deserto in marcia, eravamo; popolo di sabbia.

Non fu il mare a raccoglierci; NOI raccogliemmo il mare a braccia aperte.

Questa è la tua Gente, figlio mio: uomini senza più terra sotto i piedi; e, come Patria, ti rimane l’approdo che per primo accoglierà le tue orme.

Nessuna storia ho da lasciarti, a parte i giorni disperati alla deriva e l’ostinazione di restare viva per custodirti in grembo.

Il tuo passato comincia dove comincia il viaggio.

Il tuo domani comincia sul mio orizzonte che metro dopo metro diventava terra ferma.

Nessuna usanza ho da tramandarti, se non la febbre atroce della sete; all’alba leccavamo la rugiada sopra il legno del barcone.

Non di sorrisi posso parlarti, ma delle facce che sbiancavano al tramonto; i morti non li buttavamo in mare subito; i loro corpi ci proteggevano dal vento freddo della notte. In mare non ci sono coperte.

Ho sentito di tavole imbandite, in questa Italia, dove i bicchieri sono abbinati al vino, e di uomini eleganti e di sproloqui intorno al cibo.

Io posso dirti della mia tavola dove si strofinava un fondo di scodella con le dita arruginite.

Mensa magra, senza panche.

Infondo, per terra, seduti accanto, ci si sentivamo più vicini.

Non una sola voce; e il quasi niente avanzato dalla sera.

Ma questa è un’altra storia, che, a Dio piacendo, non ti apparterrà.

Ho sempre immaginato l’Italia come un braccio teso in mezzo al mare, e la Sicilia, fazzoletto sventolante in segno di accoglienza allo straniero. Sono qui da pochi giorni.

A breve verrai alla luce. Sono tanto emozionata. L’inchiostro nella penna si è seccato e affido alla matita le ultime righe di questa lettera che ti voglio consegnare;

eredità che non si può ricevere o lasciare se non con le parole.

Sono fatta di questo e di questo è fatto il sangue che porti nelle vene.

Di queste poche righe, e niente più.

 

Il testo è stato scritto da Pierluigi Gammeri, ed ha vinto il primo premio al concorso sulla “creatività” rientrante nel progetto Giovani e Sicilia: il binomio vincente per crescere insieme svoltosi nelle attività dell’Accordo di Programma Quadro Giovani protagonisti di sé e del territori, svoltosi a Patti nei giorni scorsi.

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