Stupiscono e lasciano piacevolmente turbati, i ragazzi dell’associazione culturale “Luna Obliqua” con il loro ultimo spettacolo teatrale, “Il figlio dell’uomo”, secondo appuntamento del format “Teatro degli Esoscheletri”, ideato e magistralmente diretto dal regista messinese Sasà Neri (Salvatore Ingegnieri), andato in scena il 15 marzo al “Savio” di Messina.
La sensazione è quella di uno spettacolo allestito per ciascuno degli spettatori. Gli attori si voltano e se gli occhi si incontrano è subito un naturale gioco di sguardi. Non l’occhio onnisciente, non un artificio teatrale, ma una corrispondenza reale, un effettivo momento di comunione fra pubblico e maschera.
Sul palco Gianluca Minissale, Antonio Zaccone, Alessandra Borgosano, William Caruso, Margherita Frisone, Luciano Accordi, Martina Cucé, Luca D’Arrigo, Alice Ingegneri, Gabriele Casablanca, Riccardo Ingegneri, Simona Casale, Cetty Franchina, Tindara Cucca, Gaetano Gervasi e Rita Nucera.
La troupe alterna con abilità momenti di recitazione apparentemente disordinata ed autonoma: ognuno recita passi del Vangelo secondo Matteo, strofe di canzoni, estratti più o meno celebri.
Lo spettacolo è impreziosito da riferimenti a Gibran, De André, Venturini.
Apprezzabilissima dunque la scelta dei testi ed impeccabile l’interpretazione, sia del “Testamento di Tito”, recitato in tutta la sua profondità dalle varie figure narranti, che di pezzi particolarmente impegnativi, come “Vieni a ballare in Puglia” di Caparezza, che avrà di certo richiesto una seria preparazione, anche respiratoria, per la sua recitazione.
Ai già descritti momenti di soliloquio sparso, di recitazione in mezzo al pubblico, quasi sussurrata, o urlata, all’orecchio degli spettatori, si alternano danze e movimenti armonici, intervalli in cui addirittura due attori si scambiano vicendevolmente la parte rappresentando lo stesso personaggio, in un’interpretazione che si pone su un piano temporale e spaziale superiore a quello conosciuto, in cui il prima e il dopo di un individuo si incontrano, si toccano e si scrutano.
Particolarmente degno di nota è infatti il momento dedicato a Giuda, il cui testo è parzialmente riportato sul fondo dell’articolo, ovvero “il tradito”, ed al suo confronto con gli altri apostoli. Con un interessantissimo artificio teatrale, Neri riesce a leggere a fondo e rendere nuda agli occhi dello spettatore la figura del traditore per antonomasia, che durante la rappresentazione, interpretato contemporaneamente da due attori, impicca, uccide se stesso.
Piacevolissimo l’accompagnamento musicale, con djembe e tastiera elettronica, e la scelta degli spartiti, fra cui riconoscibilissimo l’immancabile stile di Yann Tiersen.
Si apre infine il sipario e, contrariamente a quanto di norma avviene, lo spettacolo volge al termine. Gli attori, come maschere o spiriti, accompagnano per mano un pubblico frastornato, profondamente colpito, suonando ancora il djembe africano che già aveva scandito i momenti della rappresentazione.
Solo all’uscita della sala, di fronte al nuovo pubblico pronto a prendere il posto del primo, si spezza quel contatto fisico. Ci si rende conto che lo spettacolo è finito, silenzioso com’era cominciato.
Niente applausi, presentazioni, inchini. Si prende coscienza del saluto affettuoso degli attori avvenuto poco prima, baci e addii da un estratto de “Il maestro e Margherita” di Michail Bulgakov.
LE INTERVISTE
Abbiamo incontrato la disponibilità del regista Sasà Neri che si è mostrato bendisposto ad una rapida intervista riguardo motivazioni e finalità dell’opera.
Intanto complimenti per lo spettacolo, che è sicuramente qualcosa di fuori dal convenzionale. Le mie domande credo siano alquanto scontate, ovvero quelle che, uscendo da uno spettacolo simile, il pubblico potrebbe facilmente porsi: intanto qual è il messaggio che lei vuole dare a questo pubblico, volutamente ristretto, a cui è così permessa la partecipazione diretta, di volta in volta, allo spettacolo?
Io devo essere molto onesto: tutte le volte che metto in piedi uno spettacolo non penso mai a un messaggio. Noi lavoriamo su ragazzi che possano avere qualcosa d’importante da sentire: se loro sentono dicono. Diciamo che volevamo certamente affrontare la figura di Gesù, ma non dal punto di vista religioso abituale. Noi volevamo vedere una Maria che fosse una mamma, volevamo vedere un Giuda che fosse un amico tradito e non un traditore, volevamo vedere delle cose che comunque non fossero offensive nei confronti della figura di Gesù e non dicessero il falso solo per fare spettacolo. È tutto lì, poi ognuno ci può trovare il messaggio che vuole, e noi siamo stati attenti, abbiamo cercato di non disturbare alcuna sensibilità, riferita sempre all’argomento trattato. Ma proprio ai messaggi non ci penso nemmeno.
Quindi potremmo dire, in qualche modo, un po’ come fece De André nel suo concept album “La buona novella”, il voler rappresentare in maniera molto umana le figure che normalmente noi tendiamo a vedere esclusivamente in chiave divina, o a condannare profondamente.
Assolutamente: De André è un punto di riferimento importante per tutto il gruppo, oltre che per me. Per altro, oggi è il trentottesimo anniversario credo del primo concerto di De André. Lui debuttò esattamente il 15 marzo 1975 quando già era famosissimo, anche se non voleva fare i concerti. A noi è sembrata un po’ una strana coincidenza, fra le cose belle che accadono nel cosmo. Per cui sì, assolutamente come dice lei, senza nessun dubbio. Anche quando proponiamo il Testamento di Tito sono messi in discussione i dieci comandamenti, ma non è messa in discussione la religione: è messo in discussione l’uomo.
Dunque possiamo capire il perché della scelta de “La buona novella” e degli altri pezzi che lei ha utilizzato. Noi sfruttiamo comunque questa felice ricorrenza per un augurio, sperando che possa portare bene a Lei e al suo gruppo, e le rinnoviamo i complimenti.
Dopo lo spettacolo delle 21, a cui abbiamo partecipato, i ragazzi sono tornati immediatamente in scena. Abbiamo ascoltato poi alcuni di loro in separata sede.
(Ad Antonio Zaccone e Gianluca Minissale, i due Giuda) Avete ricoperto con abilità il ruolo di Giuda, di certo un personaggio quanto mai problematico. Come vi ponete nei confronti di questa figura e cosa rappresenta per voi?
(Antonio Zaccone)
Ho sempre pensato che Giuda fosse l’abominio dell’umanità: pur non essendo io credente, ammetto di essere stato influenzato dall’etica dogmatica del Cristianesimo, che vede in lui il reietto per eccellenza, la falsità e, ovviamente, il tradimento. Leggendo e studiando il testo di Diego Fabbri, ho avuto modo di analizzare la figura quanto mai eclettica di Giuda: il suo tradimento è conseguenza di un’attenta filosofia quanto mai personalizzata e atipica; si tratta di una finalità ben programmata e i migliori cristiani sanno bene che, se Giuda non avesse tradito Gesù, la salvazione del genere umano non sarebbe mai avvenuta.
Ho avuto modo, dunque, di studiare il salvatore rinnegato, colui che nel gioco delle incomprensibili motivazioni religiose è assurto alla figura di abominio, quello che, cioè, si “allontana dall’uomo”. Giuda è un intellettuale dal carattere elitario e sprezzante e ho avuto modo di interpretarlo durante un percorso che dura da ormai quasi un anno: è un filosofo attento che scruta con sguardo da falco chi si muove sotto le sue ali, ma che non riesce, alla fine dei giochi, a risultare vincitore. Il merito è preso da Giovanni, adulatore fin troppo stucchevole nei confronti del “Maestro”, un giovinetto che vince su Giuda e che con fare da “parvenu” vuole dimostrare al pubblico, spesso con paura impossibile da nascondere nei confronti dell’Iscariota, che per lui non esiste altro luogo se non l’inferno a cui irrimediabilmente è condannato, per l’eternità.
Non esiste una vera coscienza in Giuda: egli è mutevole, cinico, alle volte sordido, senza morale; quei trenta denari sono solo un pretesto per un uomo tremendamente isolato che vuole riacquistare fiducia e protezione da sacerdoti ancor più laidi di lui. Gesù appare come una macchietta benevola nei confronti di colui (Giuda, appunto) che ne stabilisce le sorti; è la figura della doppiezza per eccellenza, colui che cela un arrivismo spietato, ma che riesce ancora a provare benevolenza nei confronti di Gesù, e persino di Giovanni, fin quando quest’ultimo non risulta il prediletto.
Liberamente parlando, si potrebbe evidenziare un affetto sottaciuto di Giuda nei confronti del suo maestro, un amore disinteressato e partecipe del suo messaggio cristiano, un amore che viene surclassato da un ragazzetto dai tratti femminei e un carattere immaturo, ben lontano dalla serietà machiavellica del “traditore”. L’interpretazione che ne deriva è, quindi, duplice: c’è un Giuda affabile e sensibile non solo ai cambiamenti in seno al gruppo dei seguaci di Cristo, ma anche alle predilezioni che questi sottolinea senza remore, guidato fino alla crocifissione da una convinzione quanto mai spregiudicata, e c’è il traditore che tutti noi conosciamo.
Giuda è quindi colui che segue con ammirazione i precetti del suo maestro, senza vacillare se non alla fine, è l’uomo che crede più di tutti al messaggio evangelico, interpretandolo sotto aspetti meramente pragmatici e diretti, evitando l’ingenuità e l’arrendevolezza di Giovanni, ma il cui unico fine è quello di avere la benevolenza di Gesù, che viene negata proprio da Giuda, per mezzo di un bacio, il simbolo più autentico e spontaneo dell’affetto, tramutato dalle sue labbra in tradimento. Ritengo che i demoni che ossessionano l’Iscariota sono visibili nei movimenti assunti dal personaggio: è un duplice serpente che divora se stesso, maciullato dai suoi peccati e ansioso di ritornare ad essere il primo del gruppo per rimproverare senza sosta coloro che non hanno fatto nulla per salvarlo.
Affermare che Giuda è, in senso moderno, un anticonformista è errato e non fa onore a una figura così complessa e drammaticamente gargantuesca: è un uomo solitario e fino alla morte combatte da solo, senza alcun tipo di appoggio. Pensare a Giuda come un mero traditore è quindi riduttivo e certamente poco dignitoso nei confronti della dignità personale di ognuno di noi: egli è l’intelligenza rinnegata per la religiosità più blanda ed è anche l’uomo che, sotto il peso più straziante, risulta essere vinto dalla sua stessa umanità e dalla sua più vera imperfezione. La mia ricerca personale ha avuto modo di vertere anche su una rappresentazione estetica, che ha avuto non poche difficoltà; Giuda è sempre stato rappresentato nell’arte come un uomo dai tratti scimmieschi, orrido, come voleva la condotta estetica due e trecentesca: la bruttezza interiore è riflesso della bruttezza esteriore.
Sono portato per mia natura a evidenziare gli aspetti più gradevoli alla vista e quindi più equilibrati, ma per scelte di impatto scenico ho scelto il carattere animalesco dell’apostolo e un trucco che ne evidenziasse la disarmonia cromatica, pur mantenendo una certa simmetria.
Nella messinscena, il nome di Gesù non viene mai pronunciato: mi piace pensare che, da parte di Giuda, la decisione di non fare il suo nome derivi in realtà da una sua impossibilità di far sbocciare il suo affetto nei confronti del maestro e che rimane per tutto il tempo un’eco di aspettativa incapace a realizzarsi.
(Gianluca Minissale)
E’ stato tanto il tempo necessario per assorbire una personalità come la sua, così “problematica”. Il problema appunto sta nell’andare a fondo. Giuda viene designato storicamente come il “traditore”, ma l’unica sua colpa equivale a quella di essere stato tremendamente umano.
Immagina di amare qualcuno alla follia. Immagina di non condividerne più il pensiero. Immagina di sentirti messo da parte poco tempo dopo da qualcuno più giovane di te. E soprattutto immagina il totale silenzio di colui/lei che ami. Saresti rimasto fermo ad aspettare? Giuda voleva smuovere le acque, voleva aprire gli occhi al maestro, voleva punirlo. Non ucciderlo. Giuda ha tradito Joshua perché lo “amava troppo”.
E , inconsapevolmente, da presunto salvatore ne è diventato il carnefice. Avendo bene in mente questo, appare chiaro il motivo del suicidio. E non sta tanto in ciò che ha fatto quanto nel suo Inferno personale.
Io rappresentavo la “Coercizione” di Giuda e Giuda. Stritolato da una gabbia interiore che esso stesso ha costruito per torturarsi senza sosta. Non vuole il Perdono, non lo concederebbe a se stesso. Trova nella sofferenza l’unico modo di esistere. Infine mi chiedo Che differenza c’e tra noi e Giuda, se non quella di essere stato troppo umano? Quanti potrebbero dire che avrebbero agito Diversamente?
Comprensione per tutti noi che condanniamo l’umanità una volta al giorno. Avrebbe voluto questo, Joshua.
(Ad Alessandra Borgosano) Cosa vuol dire per te recitare? E ancora, quali sono, secondo la tua opinione, i requisiti necessari per fare teatro?
Recitare…è vivere, in tanti modi, in tanti luoghi, in qualsiasi modo: essere chiunque pur rimanendo te stessa. Cercare qualcosa, qualcuno, non importa se lo trovi o meno, l’importante è cercare. La passione, è quella che ti guida. Ti rifinisce la tecnica, ti rende completo forse. Ma se non hai la passione, la tenacia a guidarti resti incompleto. Devi averlo dentro. E devi saperlo buttare fuori anche se ti costerà e farà male: provare e riprovare. Come dice De Filippo: “L’attore muore senza mai poter dire di aver raggiunto la perfezione”.
Luca Scaffidi Militone – scomunicando.it
Estratto da “Processo a Gesù” (1955) di Diego Fabbri.
GIUDA (agitando la corda) Il mio suicidio —impiccato all’albero — dovrebbe almeno farvi
riflettere. Dovrebbe convincervi che c’era ben altro in me oltre il denaro.
GIOVANNI Non cercare di alleviare la tua colpa. Tu solo hai compiuto il misfatto.
GIUDA (sbottando) Io! Ma voi — tutti voi — che avete fatto per impedirlo?
PIETRO Se l’avessi saputo, sta sicuro che te lo avrei impedito con queste mani!
GIUDA Lo so, Pietro, tu l’avresti fatto, sei impetuoso e manesco — ma gli altri?
PIETRO Io non l’immaginavo nemmeno. Debbo anzi dire che non ti ritenevo capace di tanto.
GIUDA C’era, però, chi sapeva e non fiatò, e lasciò fare! Chiedo a te, Giovanni; a te che eri il puro,
l’angelico, il prediletto tra tutti noi. Ti chiedo: perché non mi fermasti la sera famosa della cena
quando mi vedesti uscire prima che ci fossimo alzati da tavola? Il maestro t’aveva già confidato che sarei
stato io a tradirlo, ti aveva già svelato il segno: «Quello che inzupperà un po’ di pane nel mio piatto,
è lui che mi tradisce». Tu mi vedesti compiere il gesto, e mi guardasti. Dunque, sapevi. Ma non ti
sei mosso. Non hai detto: «Fermati, Giuda; aspetta, che vai a fare?». Perché non ti sei aggrappato a
me, perché non mi hai impedito con la forza di varcare la porta, perché non hai gridato a tutti: «E’
lui il traditore! Fermiamolo!” Perché non l’hai fatto? Pietro l’avrebbe fatto!
GIOVANNI (un po’ scosso) Non potevo parlare. Lui, non l’avrebbe permesso.
GIUDA Non importa! Dovevi disobbedirgli, se gli volevi davvero bene! Sapevi che gli avrei fatto
del male. È che tu lo credevi onnipotente, e pregustavi la gioia malsana di vedermi scoperto,
smascherato, umiliato, scacciato dal gruppo. Così saresti rimasto veramente solo, accanto a lui!
Non c’era né amore né pietà nei tuoi occhi quando mi guardasti uscire. (A Davide) Degli altri non
parlo nemmeno! Erano intenti a spiarsi l’un l’altro cercando d’indovinare chi tra di loro fosse il
traditore. Lo aveva detto un momento prima: «Tra voi c’è uno che mi tradisce»… e ognuno
dubitava dell’altro. Nessuno, in fondo, aveva la coscienza tranquilla.
PIETRO Forse. Tu solo, però, l’avevi veramente sporca, perché tu solo andavi a metterlo a morte.
GIUDA (gridando) No! Io lo tradivo, è vero; io lo tradivo per trenta denari, però — dovete crederlo
— io non sapevo che sarebbe stato messo a morte, crocifisso! Non lo sapevo! Pensavo che sarebbe
stato soltanto imprigionato, isolato… Le cose presero invece un piega impreveduta. La morte — ve
lo giuro! — non era nei patti!
Qui il collegamento al comunicato stampa da noi pubblicato: http://scomunicando.hopto.org/eventi/teatro-a-messina-il-figlio-delluomo