Riceviamo e pubblichiamo la nota di Marco Letizia.
Durante il primo turno della campagna elettorale fu Tinaglia, candidato a Sindaco di Reset, a provarci: Accorinti viene accusato di essere il volto pubblico di una pletora di rancorosi comunisti-estremisti che, non avendo mai potuto godere di un grande consenso, hanno sfruttato e usato l’immagine “neutra” del professore No Ponte per infiltrarsi dentro la lista.
Abbiamo visto come gli è finita. Oggi, al ballottaggio, essendo fuori tutti gli altri, questo rigoroso e serio argomento rimane a carico dell’unico avversario di Accorinti, cioè Calabrò.
Ma questa polemica spicciola, che guarda solo a questioni di tipo nominalistico, può darci comunque lo spunto per riflettere su cosa sia oggi definibile in un modo o in un altro.
Anche le idiozie strumentali, del resto, possono essere oggetto di grande riflessione. Anzi, smascherare le intenzioni che stanno dietro la retorica demagogica, è il più alto compito di un pensiero critico che si propone di affrontare le questioni davvero alla radice.
Innanzitutto, però, occorre dire la verità, mettendo i fatti sul tavolo. Si, dentro la lista Cambiamo Messina dal basso è presente una componente dichiaratamente di sinistra.
Innanzitutto, però, occorre dire la verità, mettendo i fatti sul tavolo. Si, dentro la lista Cambiamo Messina dal basso è presente una componente dichiaratamente di sinistra.
Questo di per se è un fatto che, se considerato nel complesso delle relazioni che ha prodotto questa aggregazione politica, non mi sembra degno di una speciale attenzione analitica.
Che senso ha dire che dietro la lista di Accorinti c’è una componente di sinistra?
Equivarrebbe a dire che c’è una componente cattolica, una ambientalista ecc… L’impossibilità di inquadrare il fenomeno in schemi analitici classici dovrebbe già di per sé convincerci della assoluta pretestuosità di queste dichiarazioni, del resto del tutto comprensibili nell’economia discorsiva di una forza neo-democristiana che da anni ha rotto i ponti con la tradizione del movimento operaio italiano e internazionale.
Ma se vogliamo stare al gioco retorico di Calabrò, diamo per buona l’idea che la lista di Accorinti sia una lista di estrema sinistra (cosa che per me, onestamente, sarebbe solo un attributo e non un problema: ma questi sono punti di vista) e chiediamoci: quali punti programmatici esprimono al meglio questa identità politica?
Bene. Se essere di estrema sinistra vuol dire pretendere che lo Stretto di Messina non sia privatizzato da pochi gruppi di potere (Franzantonio in testa) e che divenga un luogo comune nel quale la comunità non solo possa rispecchiarsi ma instaurare rapporti sociali e produttivi non escludenti e non speculativi (per es: istituire la flotta comunale), allora la lista di Accorinti è di estrema sinistra.
Se essere di estrema sinistra significa valorizzare le esperienze di lotta dal basso e di autogoverno dei beni comuni contro le politiche di spartizione clientelare e contro la cementificazione della città allora la lista di Accorinti è di estrema sinistra.
Se essere di estrema sinistra significa promuovere la partecipazione popolare attraverso consulte tematiche e attraverso tavoli di consultazione larghi, allora Accorinti è di estrema sinistra.
Se essere di estrema sinistra vuol dire rifiuti zero, verde pubblico, piste ciclabili, trasporti efficienti e garantiti; se essere di estrema sinistra vuol dire che l’acqua non si vende ai privati, che i servizi sociali e i centri di aggregazione giovanili sono una risorsa e non un costo per questa città, allora la lista di Accorinti è di estrema sinistra.
Dopo queste semplici considerazioni, abbiamo ancora bisogno di dar credito a queste banali e strumentali argomentazioni di circostanza?
C’è un centro-”sinistra” che, mentre battezza e pontifica le larghe intese, attacca proprio quei fondamenti ideologici dai quali trae ancora oggi, per una distorsione semantica collettiva, buona parte dei propri consensi.
Bene. Se essere di estrema sinistra vuol dire pretendere che lo Stretto di Messina non sia privatizzato da pochi gruppi di potere (Franzantonio in testa) e che divenga un luogo comune nel quale la comunità non solo possa rispecchiarsi ma instaurare rapporti sociali e produttivi non escludenti e non speculativi (per es: istituire la flotta comunale), allora la lista di Accorinti è di estrema sinistra.
Se essere di estrema sinistra significa valorizzare le esperienze di lotta dal basso e di autogoverno dei beni comuni contro le politiche di spartizione clientelare e contro la cementificazione della città allora la lista di Accorinti è di estrema sinistra.
Se essere di estrema sinistra significa promuovere la partecipazione popolare attraverso consulte tematiche e attraverso tavoli di consultazione larghi, allora Accorinti è di estrema sinistra.
Se essere di estrema sinistra vuol dire rifiuti zero, verde pubblico, piste ciclabili, trasporti efficienti e garantiti; se essere di estrema sinistra vuol dire che l’acqua non si vende ai privati, che i servizi sociali e i centri di aggregazione giovanili sono una risorsa e non un costo per questa città, allora la lista di Accorinti è di estrema sinistra.
Dopo queste semplici considerazioni, abbiamo ancora bisogno di dar credito a queste banali e strumentali argomentazioni di circostanza?
C’è un centro-”sinistra” che, mentre battezza e pontifica le larghe intese, attacca proprio quei fondamenti ideologici dai quali trae ancora oggi, per una distorsione semantica collettiva, buona parte dei propri consensi.
E una forza nuova, non etichettabile, che, seppur non abbia messo in risalto nessuna identità specifica, riesce a pronunciare alcune parole chiave che fanno risuonare sentimenti comuni, pratiche condivise e prospettive di cambiamento.
Riesce a movimentare un entusiasmo collettivo come mai si era visto. Collettività, comune, pratiche di condivisione: se i percorsi della sinistra istituzionale si arenano sullo scoglio neo-liberale del privato e del pubblico, solo chi oggi ricompone territorialmente una soggettività plurale riesce a dar senso e fiato alle parole e alle voci delle quali, da sempre la socialdemocrazia democristiana si è, parassitariamente, nutrita.
Calabrò si rassegni, siamo semplicemente inarrestabili.