Il 27 aprile di dieci anni fa andava via.
Enrico Caruso, classe 1955, di certo è stato “il tipo” che più ha influenzato, negli ultimi decenni a cavallo tra il ‘900 e il 2000 la movida orlandina ed “oltre”.
Musica, cinema, locali, i festival blues.
Sia d’estate che d’inverno quei tempi hanno portato il suo stile. Non c’è stato campo dell’intrattenimento che sia rimasto invariato dopo il suo passaggio, e a distanza di 10anni dalla sua morte, riesce ancora a far parlare di sé.
Il grande Enrico
Difficile non ricordarlo.
In quegli anni e fino alla sua scomparsa Enrico Caruso era una presenza costante.
Tra cinema – a Capo d’Orlando, Pian Verde, Brolo e Gliaca, le arene estive – anche alle Eolie – , i locali di San Gregorio, le discoteche. la prima Balera, e poi il Panta Rei, alias Doc – nella prima versione – ed ancora i bar, la creperia ambulante, i locali – anche improvvisati – che diventavano punti di incontro per tanti.
E’ stato un appassionato di orologi, di moto e dell’inossidabile “maggiolone”, quasi un marchio di fabbrica, tra effimero e politica. Qui instancabile protagonista nel vecchio PCI, area, quest’ultima, dove ha sempre militato sino alle esperienze del PD. Sempre in prima linea rivendicando anche l’identità da “trazziroto“.
Nella sua vita professionale, ma anche umana, ha sfidato a volte le regole, andando dritto come un treno a vapore verso l’obiettivo. Centrandolo sempre in pieno.
Era testardo ma coerente. Umanissimo e rispettoso dell’amicizia e della parola data, fino al punto di farsi quasi male quando si sentiva “tradito”. Ed a volte è capitato.
Era l’alter-ego dell’Uomo delle Stelle, quello di grado di realizzare i sogni che c’erano dietro un grande spettacolo, quello che apriva i cinema, andava ai Festival, ci viveva dentro i suoi locali, come gli eroi di quei fumetti che amava leggere.
Ascoltava il blues. Altro suo marchio di fabbrica, un po’ meno il jazz.
Enrico, amico di tanti.
Riguardava, senza mai stancarsi, il film “The Blues Brothers”e si faceva stampare felpe e maglie con John Belushi e Dan Aykroyd – i fratelli Joliet ed Elwood Blues – e ne ripeteva le battute a memoria.
Quando è morto, all’improvviso, anche se spesso trascurava di badare ai segnali che giungevano dal suo corpo, nutriva e coltivava tanti sogni.
Nuove avventure, sempre nel mondo del cinema, dove già vedeva il nuovo futuro delle sale cinematografiche. Quelle che sono ancora da venire.
“L’Uomo delle stelle”, ancor meglio definirlo per il suo amore verso il cinema l’uomo che sapeva realizzare i “nuovi cinema paradiso”, e per noi è stato il nostro cinema paradiso.
E pochi giorni prima di quel 27 aprile, sorpreso a scrivere su un notes, alla battura: “Stai scrivendo le tue ultime memorie, non è vero?” Enrico rispose con una risata.
La sua.
Ed quando giunse la notizia, ci sentimmo tutti un pò più poveri.
E’ così che lo ricordiamo oggi. Lui che tra Aldebaran, Vega, Orione e Cassiopea pensa ancora che sia possibile realizzare una grande arena del sole, sperando anche che lì abbia trovato le risposte ai suoi dubbi.
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