Cultura

ENZO CAPUTO – Sulle Foibe c’è molto ancora da dire

LE FOIBE LIQUIDE DOVE L’OBLIO DURA ANCORA

Sull’argomento l’opinione del collega Enzo Caputo, che si occupa di Foibe fin dal 2000. Lui è l’autore del libro “Maria Pasquinelli dal pantano d’Italia è nato un fiore”, che parla proprio di quel periodo buio della storia italiana
Ma le tenebre non sono ancora del tutto dissipate anche se, a volte, l’inferno restituisce altri orrori come in Slovenia lo scorso agosto del 2020. Duecentocinquanta poveri resti trovati nella foresta di Kocevski. Di questi circa 150 di età compresa tra 15 e 17 anni magari figli dei domobranzi, le truppe slovene che combattevano contro Tito.
“Condotto nei sotterranei della Caserma Vittorio Veneto, trasformati in carceri, fui imbarcato con altri 64 prigionieri presso San Demetrio il 24 dicembre 1944. Giunti in mezzo al canale, i prigionieri furono gettati con una pietra al collo nel mezzo del canale”. “Da tre fosse comuni ne recupera ben 106. Il suo operato fa scalpore. I partigiani dalle montagne la minacciano di morte ma non cede, Italiana prima ancora che allieva della Scuola Mistica Fascista di Roma, forza se stessa al punto da stabilire un contatto con i partigiani della “Franchi” scrive una relazione sugli infoibati.
“Spazzeremo dal nostro territorio le pietre della torre nemica distrutta e le getteremo nel mare profondo dell’oblio. Al posto di Zara distrutta sorgerà una nuova Zadar, che sarà la nostra vedetta sull’Adriatico”. Con queste parole il poeta croato Vladimir Nazor “santificava” in un comizio le foibe liquide dove furono gettati gli italiani con una pietra al collo seguendo quella parvenza di diritto che improvvisati “Tribunali del Popolo” elargivano con cappio e con il piombo.
“Il Tribunale Militare del Territorio dell’VIII Corpo, Consiglio presso il Comando del Circondario di Zara, nel dibattimento tenuto addì 10 novembre 1944, ha emesso la sentenza con la quale vengono condannati come criminali di guerra e nemici del popolo, ai sensi degli articoli 14 e 15 dell’Ordinanza sui Tribunali militari, alla pena di morte mediante fucilazione e alla confisca del patrimonio le seguenti persone” e giù un lungo elenco di condannati il cui principale reato era di essere italiani.
Era il 31 ottobre del 1944 quando Zara smise di essere italiana. La città, pur non essendo un obbiettivo militare, fu sottoposta, su richiesta di Tito a continui bombardamenti che si protrassero dal mese di novembre del ’43 fino a tutto ottobre del ’44. Oltre 500 tonnellate di bombe distrussero tutto ciò che c’era da distruggere e alla fine del mese i titini entrarono nelle macerie di quella che era stata la “città del Vate”. IL Giorno del Ricordo è anche questo. A Zara non c’erano le Doline ma a sostituirle c’era il mare che inghiottiva senza lasciare tracce e c’erano le fiamme che divorarono la presenza italiana, Riporto un passaggio del libro di R. Menia, “10 Febbraio. Dalle Foibe all’Esodo”, 2020).
“In mare fu assassinato Nicolò Luxardo, assieme alla moglie Bianca: portati via su di una barca per un interrogatorio, dopo che un processo partigiano li aveva appena assolti, vennero annegati nelle acque di Selve, oltre gli scogli di Zara il 30 settembre 1944. I loro corpi, trasportati dalla corrente, furono ritrovati alcuni giorni dopo più a nord, dal parroco di Sale, sull’Isola Lunga e dallo stesso segretamente sepolti. Anche il fratello Piero scomparve in quei giorni e di lui nulla si seppe mai più. Ma alla giustizia partigiana non bastava. Un anno dopo il suo assassinio, il 22 novembre 1945, Nicolò Luxardo veniva processato “in contumacia” e condannato a morte ed alla confisca di tutti i beni.
Era il modo per appropriarsi dell’antica fabbrica dei Luxardo che aveva reso famosa Zara nel mondo per il suo “Maraschino”, quello che Gabriele D’Annunzio aveva battezzato “alla mensa di Fiume, ‘Sangue Morlacco’”.
Nelle storie del martirio dalmata, è rimasta tristemente famosa la vicenda del farmacista Pietro Tìcina, affogato nel mare dell’isola di Ugliano nei primi giorni del novembre 1944 con una pietra al collo assieme alla moglie, una figlia, il genero, un fratello e una nipotina di sei anni. Mentre veniva gettato in mare si aggrappò a un partigiano che portò a fondo con sé nel buio delle acque e della morte. Il fatto venne riportato con un’illustrazione a piena pagina dalla “Domenica del Corriere” di allora.
Di quegli annegamenti raccontò Simone Vlahovich, di Zara, scampato alla morte grazie alla pietra che si era sfilata dalla sua corda. Nuotando sott’acqua e riemergendo più in là senza farsi vedere, riuscì a raggiungere la riva e salvarsi. Questa la sua testimonianza: “Condotto nei sotterranei della Caserma Vittorio Veneto, trasformati in carceri, fui imbarcato con altri 64 prigionieri presso San Demetrio il 24 dicembre 1944. Giunti in mezzo al canale, i prigionieri furono gettati con una pietra al collo nel mezzo del canale”. Vennero massacrate famiglie intere: i fratelli Desposti, i fratelli Calmetta, tutti costretti a scavarsi una fossa prima della fucilazione.
Ad un terzo fratello dei Calmetta venne schiacciato il cranio prima di essere impiccato per i piedi a un palo. Tra annegati, fucilati, lapidati, impiccati, altre centinaia di italiani di Zara e dintorni si aggiunsero ai duemila che erano morti sotto i bombardamenti americani. La marcia funebre di Zara fu cantata in quei giorni di sangue, con sinistro orgoglio, dal poeta croato Vladimir Nazor in un comizio tenuto il 27 marzo 1945 tra le rovine della città distrutta, annunciando la rifondazione di “una nuova Zara, completamente croata”: “Spazzeremo dal nostro territorio le pietre della torre nemica distrutta e le getteremo nel mare profondo dell’oblio. Al posto di Zara distrutta sorgerà una nuova Zadar, che sarà la nostra vedetta sull’Adriatico”. La caccia all’italiano era al suo apice e si sarebbe conclusa con una vera e propria pulizia etnica della zona. Ma già un anno prima, l’11 settembre del ‘43 i ribelli del sedicente Maresciallo Tito erano entrati a Spalato rimanendoci fino al 26 dello stesso mese quando le avanguardie della divisione SS “Prinz Eugen” li ricacciarono indietro.
E fu allora che circolarono le prime voci di esecuzioni sommarie di italiani. Anche se nessuno sapeva con certezza dove erano stati buttati i corpi già si vocifera di quei crateri dove si erano fermate le corriere della morte titine pieni di uomini e donne poi misteriosamente spariti. Ma a chi potevano interessare in quel momento quei miseri cadaveri? A nessuno salvo che a una donna minuta con una volontà di ferro si chiamava Maria Pasquinelli che chiede, sgomita, si fa arrestare ma alla fine ottiene dai tedeschi il permesso di scavare. Dai crateri infernali vengono issati i primi cadaveri. Da tre fosse comuni ne recupera ben 106. Il suo operato fa scalpore.
I partigiani dalle montagne la minacciano di morte ma non cede, Italiana prima ancora che allieva della Scuola Mistica Fascista di Roma, forza se stessa al punto da stabilire un contatto con i partigiani della “Franchi” scrive una relazione sugli infoibati destinata al Presidente del Consiglio del regno del Sud Bonomi, altre copie le manda al Comandante della X Mas, al Comitato di Liberazione di Udine , ai partigiani della
“Osoppo e a Italo sauro figlio dell’eroe della Grande Guerra.
Lo scopo era quello di creare un Fronte Comune fatto da italiani.
Poi tutto si perde nei meandri della resa e su quei martiri scende l’oblio durato quasi settant’anni che permea anche i libri di storia perché forse la Ragion di Stato così voleva. Ma le tenebre non sono ancora del tutto dissipate anche se, a volte, l’inferno restituisce altri orrori come in Slovenia lo scorso agosto del 2020. Duecentocinquanta poveri resti trovati nella foresta di Kocevski. Di questi circa 150 di età compresa tra 15 e 17 anni magari figli dei domobranzi, le truppe slovene che combattevano contro Tito.
Enzo Caputo
io Ricordo 2023
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Redazione Scomunicando.it

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