Per lui la coltura del nocciolo siciliano, in particolare della zona dei Nebrodi, incarna un modello di sviluppo virtuoso del tessuto produttivo agroalimentare regionale, poiché esalta le naturali qualità della terra e le trasforma in una risorsa economica ed occupazionale.
Ha sposato con convinzione la causa sostenuta dalla comunità dei produttori nebroidei della nocciola, e da anni chiede a gran voce il rilancio del comparto corilicolo nebroideo – puntando anche sui mercati esteri, quelli del nord europa ma anche sulla valorizzazione del prodotto il loco.
Recentemente ha sostenuto:
Che la coltura del nocciolo riveste un ruolo particolarmente importante nell’area dei Nebrodi, dove costituisce un elemento fondamentale per il tessuto economico dell’intera dorsale e una fonte di occupazione significativa, tanto da assorbire una forza lavoro che rappresenta, su base provinciale, quasi l’80 per cento dell’intero comparto agricolo e che il nocciolo prodotto nell’area dei Nebrodi è un prodotto di eccellenza, grazie all’assoluta mancanza di utilizzazione di prodotti di sintesi. Purtroppo, a fronte di tutte le sue ricadute positive sull’economia locale, questa coltivazione presenta anche delle marcate difficoltà legate alle caratteristiche del territorio, con la conseguente lievitazione dei costi spesso difficile da affrontare per i piccoli produttori locali, che devono fare i conti anche con la riproduzione delle cimici e di colonie di ghiri, nocive per le coltivazioni e causa dell’abbandono di vaste aree agricole.
E nell’ottica del mantenimento degli standard qualitativi sia delle produzioni che dei terreni stessi, dando voce alla ‘Comunità della nocciola dei Nebrodi’ è fautore del far testare l’impiego di “Dissuasori biodinamici”, un metodo innovativo per l’assoluta atossicità dei prodotti utilizzati, la cui validità è stata già dimostrata da studi di settore e dall’applicazione in varie aree del Nord Italia, Piemonte in particolare.