di Simone Jacca
Il principio di turismo sostenibile è stato definito nel 1988 dall’Organizzazione mondiale del turismo: «Le attività turistiche sono sostenibili quando si sviluppano in modo tale da mantenersi vitali in un’area turistica per un tempo illimitato, non alterano l’ambiente (naturale, sociale ed artistico) e non ostacolano o inibiscono lo sviluppo di altre attività sociali ed economiche». Sicuramente può risultare difficile rinunciare a Porto Cervo, o alla Costa Azzurra, o a Milano Marittima. Almeno per alcuni.
Tuttavia, ci sono almeno tre motivi per scegliere mete diverse, magari evitando di trovarsi imbottigliati nel traffico, di trovare tutte le spiagge a pagamento e allo stesso tempo spendere fior di quattrini solo perché il posto è “in”!
È rispettoso dell’ambiente
Turismo sostenibile vuol dire innanzitutto minimizzare l’impatto ambientale delle strutture e delle attività legate ad esso. Questo vale soprattutto per i Paesi del Terzo Mondo, o in via di sviluppo, dove il patrimonio ambientale è tanto ricco quanto fragile. Molte organizzazioni ambientaliste organizzano dei veri e propri tour che valorizzano le bellezze di certi luoghi senza minare il delicatissimo equilibrio naturale che li caratterizza.
Per questo motivo è altrettanto importante limitare l’affluenza dei turisti entro una soglia appunto detta “sostenibile” che possa garantire la conservazione degli spazi e allo stesso tempo la qualità dell’esperienza turistica.
È rispettoso delle culture locali
Un altro importante obiettivo che si propone questo tipo di turismo è la valorizzazione e la difesa delle culture e dei costumi del luogo. Il patrimonio artistico, le feste tradizionali, i prodotti tipici, la musica, le bellezze naturali sono considerate delle parti attive del viaggio e non delle vetrine nude e crude. Il turista, in questo modo, non viene considerato un estraneo, ma un elemento integrato alla cultura e alle usanze del paese che lo ospita.
I vantaggi, oltre che culturali, sono anche economici. Le mete interessate, infatti, vivono un processo di distribuzione degli introiti molto più equo e orizzontale, evitando le “forbici” tipiche del turismo occidentale dove chi può o riesce si accaparra tutto il bottino, a danno di chi finisce per diventare l’ultimo anello della catena.
È economico
Sono ormai ampiamente verificate le differenze sostanziali in termini di costo tra il turismo sostenibile e quello… tradizionale. I motivi sono vari. Per primo quello più logico: si tratta quasi sempre di luoghi meno ambiti, ma non per questo meno interessanti. E la più classica delle leggi dell’economia ci conferma che quando diminuisce la domanda cala il prezzo.
Ma non solo: la notevole e ammirabile collaborazione che si instaura tra il turista e la popolazione del luogo rende il viaggio più conveniente per entrambi. Vengono a mancare, infatti, tutte quelle figure intermedie (guide, operatori, accompagnatori) che spesso aumentano il costo del viaggio, inserendo un servizio che può essere effettuato dal residente, alla metà del prezzo.
Dunque, ci guadagnano tutti, tranne le agenzie!
Per dirla in altre parole…
Una definizione “felice” del turismo sostenibile l’ha sicuramente formulata il Wwf, dando un tocco di chiarezza e di eleganza che speriamo possa invogliare sempre più turisti a scegliere una meta diverse e, soprattutto, un modo diverso di viaggiare:
«Un turismo capace di durare nel tempo mantenendo i suoi valori quali-quantitativi. Cioè suscettibile di far coincidere, nel breve e nel lungo periodo, le aspettative dei residenti con quelle dei turisti senza diminuire il livello qualitativo dell’esperienza turistica e senza danneggiare i valori ambientali del territorio interessato dal fenomeno».
L’immagine: particolare di Mexico 01, fotografia di Giovanni Guadagnoli (www.giovanniguadagnoli.it).