FAVA Vs “LE IENE” – Tra aggressione, critiche e repliche. L’intervista va in Procura
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FAVA Vs “LE IENE” – Tra aggressione, critiche e repliche. L’intervista va in Procura

Al Presidente dell’Antimafia Fava non va come è stata condotta l’intervista de “le Iene”, “Aggredito verbalmente” dice. La replica: “Da noi solo critiche”. E cresce l’attesa di vedere il programma in tv.

Il presidente della commissione siciliana antimafia non ci sta ed ha inviato la copia integrale della registrazione – effettuata in maniera preventiva e “a scopo precauzionale” dell’intervista concessa – domenica sera a Comiso –  al giornalista delle Iene, Gaetano Pecoraro, alle procure di Ragusa e Catania, oltre che alla stampa.
Fava la considera “una violenta aggressione verbale”, “con tante affermazioni false” ed evidenzia che: “Abbiamo registrato l’audio di tutta l’intervista, a titolo precauzionale forti dell’esperienza.
Quando la premessa è che noi abbiamo scritto un mucchio di stronzate – dice il presidente dell’Antimafia regionale – questa è una operazione che non intimidisce per nulla la Commissione: si sbagliano di grosso.
Si è trattato della costruzione di una provocazione durata un’ora e mezza a lungo studiata.
Per la Commissione antimafia era importante condividere questo fatto  – ha detto  Fava che ha incontrato i giornalisti assieme ad alcuni componenti della stessa Commissione, Nicola D’Agostino, Roberta Schillaci e Luisa Lantieri – la percezione di una intimidazione, una aggressione verbale che sul piano delle forme e dei contenuti serviva ad avvertire che dovevamo lasciar perdere il caso Antoci”.
Fava
Infatti oggetto del lungo colloquio era stato il cosiddetto “caso Antoci”, l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, che fu vittima di un attentato oggetto di un’indagine della stesso organo guidato da Fava sfociato, per le sue conclusioni, in una conferenza stampa, all’Ars, oggetto di polemiche e prese di posizioni.
Il giornalista de “Le Iene” replica: “Nessun aggressione, abbiamo mosso solo critiche al lavoro della commissione”.
Fava ha quindi già trasmesso l’audio integrale dell’intervista di 84 minuti alla procura di Ragusa e alla Direzione distrettuale Antimafia di Catania.
Consapevole che poi quell’intervista, nel loro stile di fare “comunicazione” le Iene taglieranno, monteranno, costruiranno in un servizio, ancora non mandato in onda.
Antoci,  l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, fu vittima di un attentato – i cui mandanti ed esecutori sono rimasti ignoti – divenuto oggetto di lavoro d’indagine della stesso organo guidato da Fava e nei giorni scorso oggetto ancora di attente valutazioni dei vertici della Procura, dell’Arma, del Ministero degli Interni sulla natura mafiosa del gesto criminale.
Lo scorso ottobre la commissione regionale aveva depositato la relazione finale di quell’indagine formulando tre ipotesi su quell’agguato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi: un attentato mafioso fallito, un atto puramente dimostrativo, una simulazione, con Antoci comunque vittima in ognuno dei tre casi, ma sollevando dubbi e perplessità su dinamiche, intenzioni, telefonate e quant’altro.
Claudio Fava ha spiegato che il file con l’audio, registrato a sua volta con un telefonino mentre era in corso l’intervista all’interno di un hotel a Comiso dove per tre giorni ha tenuto laboratori di scrittura, raccontando che “Domenica scorsa ero a Comiso, sono stato avvicinato in un albergo da un giornalista delle Iene che mi ha proposto una intervista sul caso Antoci, intervista che ho concesso di buon grado pur non essendo mai stato avvertito della loro visita – racconta Fava – Ma non è stata una intervista ma una aggressione molto violenta nei tonioffensiva nei contenuti e minacciosa nelle forme: senza domande ma con affermazioni false e calunniose e provocazioni“.
Fava parla di una “imbarazzante quantità di falsità dette dal giornalista in questa finta intervista.
Mi è stato detto che ‘avevamo dato la miccia a tutti i mafiosi dei Nebrodi‘, che nella relazione ‘avevamo riportato solo stronzate‘.
Per Claudia Fava in quell’intervista non c’era alcuna intenzione giornalistica e per lui è trattato di una aggressione che non prevedeva alcuna domanda ma solo provocazioni e per questo la trasmissione del file “alla Procura di Ragusa e alla dda di Catania si è resa necessaria “per le loro opportune valutazioni”.

Gaetano Pecoraro, autore dell’intervista, giornalista de Le Iene replica:. “Non ho fatto nessuna aggressione all’onorevole Fava ma gli ho gentilmente chiesto un’intervista che lui ha accettato di fare, non ho mai fatto nessuna intimidazione o minaccia né a lui né alla Commissione, non ho alle nostre spalle nessun mandante se non la nostra redazione e l’amore per il lavoro che faccio” e aggiunge “Ci siamo semplicemente permessi di muovere delle critiche sul lavoro svolto dalla Commissione Antimafia riguardo all’attentato ad Antoci e agli uomini della sua scorta. Ad ogni modo, ogni telespettatore, quando l’inchiesta andrà in onda, potrà farsi la propria idea”.

Ed ora sono in tanti ad aspettare questo servizio, anche perchè dalla conferenza stampa di Fava ad oggi tante cose si sono “aggiunte alla scena del crimine”, prese di posizioni, interviste, confutazioni su quanto emerso da quella stampa, premiazioni, riconoscimenti, encomi e puntualizzazione nelle parole e nei fatti.

Vedremo.

Chi è Gaetano Pecoraro:

Mi chiamo Gaetano Pecoraro e sono nato a Palermo nel 1984. Mi sono laureato in Storia Contemporanea nel 2007.
Durante gli studi, a 20 anni, inizio a consumare le suole delle scarpe per le strade di Partinico e Corleone con Pino Maniaci, nella piccola emittente televisiva antimafia “Telejato”.

Mi occupo di criminalità organizzata e scopro il mio amore per il giornalismo.

Provo a entrare in diverse scuole di giornalismo, finché a 23 anni vengo selezionato dalla Iulm di Milano. Due anni dopo comincio a lavorare al Fatto Quotidiano dove mi occupo di giudiziaria e politica.

Nel 2010 dopo una breve esperienza a Exit (La7), passo all’inchiesta televisiva, la mia vera passione. Divento un inviato del programma “Gli intoccabili”, di Gianluigi Nuzzi. Mi occupo di politica, di Vaticano e vatileaks.

Nel 2011 comincio a lavorare a Piazzapulita, con Corrado Formigli e Alessandro Sortino. Faccio inchieste su politica, sprechi, criminalità organizzata, ambiente e immigrazione.

Nel 2012 vinco il premio Mario Francese, sezione Giovani; nel 2016 il premio Franco Giustolisi con un’inchiesta sulle vittime dell’uranio impoverito e nel 2017 il premio internazionale L’anello debole Comunità di Capo d’Arco.

Ciclicamente si parla de Le Iene e del senso dell’esistenza di questa trasmissione nell’ecosistema televisivo italiano e del suo modo di fare giornalismo.

Le domande sono più o meno sempre le stesse: è giornalismo? Come fa ad andare in onda da vent’anni senza alcun problema? Ma soprattutto: nel 2020 c’è chi guarda Le Iene con convinzione? La risposta a quest’ultima domanda è, con tutta evidenza, sì.

Il programma è percepito come una sorta di watchdog delle ingiustizie delle nostre vite, dai finti medici al malaffare più spinto, condito con una certa dose di moralismo intervallata da filmati e sketch satirico-demenziali perché, dopo tutto, bisogna godersela. Le Iene assolve a questo ruolo in pratica da sempre, considerato che va in onda ininterrottamente dal 1997— alla regia Davide Parenti -.

Si tratta della versione italiana dell’argentino Caiga quien caiga, trasmesso dal 1995 al 2014 su América TV, un format praticamente identico a quello che abbiamo visto negli ultimi vent’anni, conduttori in giacca e cravatta inclusi e si inserisce “nella stagione della nascita dell’ infotainment, programmi che trattano temi di informazione ma la spettacolarizzano, vanno alla ricerca di formule inusuali prevalentemente mutuate dal mondo dello spettacolo”.

Di fatto opera un rinnovamento abbastanza deciso del linguaggio televisivo italiano determinando, scrive un sociologo, “una grande curiosità, suscitata soprattutto dall’uso della provocazione, intesa in senso generale: lo scherzo, la messa alle strette di un politico, il parlare di certi temi ritenuti tabù o comunque cui ci si accostava con prudenza. Tra l’altro Le Iene coinvolgono un pubblico giovane, che di solito si tiene lontano da quei temi lì, se non sono trattati in una maniera originale. Magari adesso l’attenzione si è ridimensionata, perché sono passati vent’anni e le cose poi si ripetono un po’, però in quel momento l’effetto è stato dirompente.”

Di certo, piaccia o non piaccia Le Iene è uno dei programmi più nazional-popolari degli ultimi vent’anni. Ciò che ha fatto guadagnare al programma l’aura di rispetto sociale di cui gode, comunque, sono le inchieste, presentate sempre come scomode e rivelatrici di una qualche verità occultata. Ora si deve riconoscere a Le Iene un merito: a volte hanno trattato temi che scarsamente trovano spazio, come eutanasia e suicidio assistito o abusi di polizia, o spunti che poi si sono trasformati in indagini della magistratura.

Il punto è che spesso si tratta di filmati volti a scatenare reazioni basilari dell’animo umano. Nello specifico: commozione, allarme e indignazione. In quest’ultima categoria rientra la maggior parte delle inchieste. Al di là dello sbattere il mostro in prima pagina, però, non c’è molto: la realtà appare parecchio semplificata tra buoni e cattivi, con l’effetto di ingrassare quel sano desiderio di forca dell’italiano medio. Nella perenne rincorsa al sensazionalismo, il programma ha finito per rilanciare anche notizie non verificate o vere e proprie bufale, con risvolti tutt’altro che innocui.

Gianpietro Mazzoleni, docente di Comunicazione politica e Sociologia della comunicazione dell’Università degli studi di Milano, scrive che i programmi di “infotainment 2.0” come Le Iene negli anni hanno accentuato la componente di diffusione di informazione, trattando “temi e avvenimenti di interesse pubblico secondo la retorica discorsiva della denuncia sociale: rifacendosi a loro modo all’idea della ‘Tv di servizio pubblico’, essi si propongono come attori sociali, se non parte politica in difesa del cittadino, e dichiarano una volontà fortemente interventista.”
La politica stessa è indubbiamente il bersaglio principale de Le Iene. Un esempio è il servizio sulle droghe a Montecitorio nel 2006. Matteo Viviani, fingendo di voler intervistare deputati a caso davanti al Parlamento, faceva passare da una truccatrice un tampone sulla loro fronte spacciandolo per cipria. Il test—la cui “infallibilità del 100%” è stata contestata da esperti—aveva mostrato come su 50 parlamentari rimasti anonimi, 16 fossero risultati positivi a cannabis o cocaina. Il servizio non è mai andato in onda, perché bloccato dal Garante sulla privacy, e nel 2008 la Cassazione hacondannato Le Iene al pagamento di una multa di 15.192 euro poiché dal momento che tutti i parlamentari potevano essere “indiscriminatamente sospettati di assumere stupefacenti,” l’istituzione avrebbe “subito un nocumento alla sua immagine pubblica e alla sua onorabilità.”
Nel corso di una puntata, Viviani e Andrea Pellizzari (una delle prime iene che è stato anche conduttore) hanno parlato della condanna ironizzando sull’accostamento di parole “parlamento” e “onorabilità”, mandando in onda alcune delle immagini più basse della nostra storia politica recente: il festeggiamento con spumante e mortadella alla caduta del governo Prodi nel 2008. Cosa c’entra con l’uso di stupefacenti? Assolutamente nulla, ma rende alla perfezione l’idea dell’ennesimo smacco ai danni dei cittadini desiderosi di sapere come stanno davvero le cose: in parlamento sono drogati e non ce lo vogliono dire.

L’idea della classe politica che viene fuori da Le Iene combacia perfettamente con il concetto di Casta con cui siamo stati bombardati negli ultimi dieci anni: sprechi, marcio, privilegi, inciuci. Il programma in questo caso, assolve al ruolo di giustiziere: indica e ridicolizza il nemico, e la gente (cioè gli spettatori) può così sentirsi migliore e onesta.

L’iniezione bisettimanale di sfiducia e scetticismo nelle istituzioni ha portato in fondo a una convinzione ormai molto radicata: di fronte a ogni disservizio o ingiustizia c’è sempre qualcuno che dice che “ci sarebbe da chiamare Le Iene” (o Striscia la Notizia, a seconda dei casi). È un atteggiamento trasversale, al punto che rivolgersi a un programma televisivo per denunciare anche solo un malfunzionamento è considerato un proposito di buon senso.

Non solo: Le Iene continuano anche ad avere un peso nella formazione dell’opinione di parte degli italiani, con decine di coetanei che iniziano le discussioni con “L’ho visto alle Iene.” E questo nonostante i grandi e piccoli abbagli presi nel tempo dalla trasmissione.

Secondo il professor Simonelli, c’è un altro elemento da considerare: nonostante continuino a presentarsi come “provocatori,” programmi come Le Iene o Striscia la Notizia “sono fenomeni che, pur essendo nati come innovativi e anticonformisti, in realtà hanno stabilito un’istituzione. C’è una certa ritualità.

Le Iene è come il Festival di Sanremo oramai.” Ed esattamente come quest’ultimo, non solo continua a essere guardato da milioni di persone, ma potrebbe avere davanti a sé una storia ancora lunga.

Tratto da https://www.vice.com/it/article/d3zxvx/le-iene-programma-tv-problemi-blue-whale

13 Febbraio 2020

Autore:

redazione


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