FOTO & PAESI – La corsa del Maiorchino, a Novara di Sicilia, nelle foto di Carlo Riggi
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FOTO & PAESI – La corsa del Maiorchino, a Novara di Sicilia, nelle foto di Carlo Riggi

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Novara di Sicilia, splendido borgo sui Nebrodi. Una forma di Maiorchino, saporito formaggio stagionato, usata per una gara di abilità e di forza in una corsa a staffetta tra le viuzze del paese.

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Chi vince porta a casa il formaggio, gli altri mediteranno sui piccoli errori compiuti, in attesa della prossima gara.

Occasione di incontro, divertimento, sana rivalità paesana.

Per vedere tutte le foto:

http://www.carloriggi.it

http://www.carloriggi.it/Maiorchino.htm

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La corsa

(dal sito istituzionale del comune)

In lingua italiana “la ruzzola” è un disco di legno che si lancia con la mano facendolo ruzzolare per le strade campestri. In dialetto novarese, invece, “a maiurchèa” è una forma di formaggio pecorino locale (dai 10 ai 12 kilogrammi con uno spessore di 10 – 12 cm. e con un diametro intorno ai 35 cm.) che si lancia con il mazzacorto (lazzàda di m. 3 – 3,50) avvinto lungo la circonferenza. La prima manifestazione popolare della “maiorchìna” a Novara di Sicilia, dovette avere inizio nel primo trentennio del 1600, epoca in cui cominciava ad essere battuta la strada che va dallo spigolo della cappella della Madonna del Carmine (inizio discesa della Matrice) al piano don Michele. Il giuoco della “maiorchìna” non poteva esistere prima, perché non poteva essere praticato nell’angusta via del Passitto, con i suoi vicoli ciechi. Cominciava, invece, ad avere incremento allorquando si gettavano le basi della moresca Casa Fontana, del distrutto lavatoio e della fontana di Vallone Falanga, della Chiesa di San Giorgio, dell’Oratorio di San Filippo Neri, della Chiesa di S. Antonio e dei mulini della Corte Sottana. Durante l’esecuzione dei suddetti lavori, nel primo trentennio del 1600, cominciò ad essere battuta la strada su cui precipitò e rotolò la prima “maiorchìna”. A Novara di Sicilia si pratica ancora, con tanto entusiasmo e tanta partecipazione, seguendo le solite, vecchie e poche regole che governano il giuoco. E’ un giuoco di abilità ma soprattutto di fortuna, tramandato ai posteri dagli “antichi” per la naturale continuazione. Il giuoco consiste nel lanciare la “maiorchìna”, facendo leva sul piede di appoggio fermo (pedi fermu) sul punto segnato, senza alcuna rincorsa, lungo il percorso che va dall’inizio della via Duomo al traguardo fissato alla fine di un muretto del piano don Michele. In caso di una eventuale appendice, dovuta al giuoco, si prosegue come da tradizione, per la stradina che porta ai mulini di Corte Sottana. Indicati dai capitani i due primi giocatori, fatta la conta (u toccu) per stabilire chi deve iniziare il giuoco, i due primi giocatori, rispettivamente intervallati, mugliàda a maiurchèa ‘ntà lazzàda fatta con lo spago da calzolaio, piegato e attorto in otto capi, della lunghezza di non meno di metri 3 – 3,50, ed impeciato, per meglio aderire alla circonferenza, lanciano a maiurchèa lungo il percorso citato (da cantuèa da Chiazza a sarva du chièu don Michèri), e di seguito, i secondi giocatori delle rispettive squadre, alternandosi, dal punto dove è andata a fermarsi.

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La squadra, composta da due o tre tiratori, che con il suo ultimo giocatore raggiunge, oltrepassa e va più lontano da sarva dell’altro, a parità di colpi (lanci), risulta la vincitrice ed ha diritto al possesso della posta in palio: “a maiurchèa”. Il giuoco si svolge nel periodo carnascialesco.Ai margini della strada, teatro e ribalta del giuoco, dopo mezzogiorno, si assiepa tanta folla che, tra l’altro, conoscendo le doti, l’abilità di ogni giocatore-tiratore, evidenzia i pregi e i difetti pronosticando pro o contro il possibile vincitore.

Si vive un’atmosfera di esultanza e di esaltazione, di emulazione e rivalità, di confronti e preferenze, di previsioni e pronostici, mentre, nel brusio della gente, partigiana di una o l’altra parte, si ascoltano voci che invitano a prestare attenzione all’imminente lancio della “maiorchìna” e si ridestano i ricordi di lanci “famosi” di giocatori che hanno fatto la storia del “giuoco della maiorchìna”. Come se si sfogliasse un vocabolario antico, si pronunciano, durante il giuoco, parole di lingue diverse. Si ascoltano parole ed accenti arcaici; sono parole che non si ripetono nell’anno, ma soltanto in occasione della sagra invernale novarese che si svolge nel periodo di Carnevale.

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Eccone alcune:

Preliminari: “u toccu” – “gratta a maiurchèa e strìghila bora o muru” – fagìdivi fa a lazzàda ‘nciàda du scarpàu” – “guàrdici u strittu” – “mòglia bora a maiurchèa”.

Modi, cause ed effetti del lancio: “mòglia bora a lazzàda” – strìngila bella fitta” – “schìccila a màu dritta” – “dacci na runcàda” – “lànzila o spìgu da cappillitta” – “mèttici u strittu p’a cariètta” – “mèttici un giru e menzu i lazzada“ – ‘mbuccàu” – “a ‘mbusciuèu” – “a cattafuccàu” – “si ni niscìu i to lazzu” – “si smugliau” – “si cuglìu” – “sarvàu”.

Avvisi: “guardèmmu” – “i ghemmi” .

Tappe lungo il percorso: “spizzigàu u spigu da casa i Paradùri” – “‘mbuccàu o spigu da Cappillitta da Madonna du Carmu” – sprusciàu cu muru da casa i don Gneziu Sufia” – “pigliàu a scinnùda da Matrìcci” – “si curcàu daventi o buccu i vallò Faànga” – “ci spunnàu a porta ò Pastàu” – “caràu p’a strada du tiattru e scinnìu ‘ntà l’ortu du zì Miccu” – “caràu a San Giorgi a chiappa i Garbàdu” – “si curcàu ‘nto chièu” – “si ‘nziccàu to cattafuccu”.

Numerosi sono gli imprevisti, i trabocchetti, per cui non c’è mai sicurezza di vittoria da ambo le parti e, molto spesso, accade che i giocatori meno esperti prevalgono sui più quotati. Liberandosi da lazzàda (spago) la “maiorchìna” comincia a guadagnare terreno, girando su sé stessa vorticosamente, “rotola, saltella, rimbomba, precipita” lungo la strada, sbattendo qua e la, immettendosi in altri vicoli (vaèlli) non previsti dal gioco, andando poi, non avendo più la forza di girare, a voltarsi e rivoltarsi, adagiandosi a terra, spesso in fossi, che numerosi sono ai margini della strada e spesso andando “a tombolare” sotto le case, incombenti su profonde cavità (cattafùcchi) esistenti tra le case stesse e la strada elevata. Questi pericoli, che danno meno possibilità di vittoria sono disseminati lungo il Vallone Falanga e lungo la via che porta al piano don Michele. Quando la “maiochìna” sollecita, lesta e diritta, percorre l’itinerario prestabilito, coralmente si applaude al bel colpo, riuscito e azzeccato.

E così durante tutti i pomeriggi delle settimane di Carnevale, con l’andata e ritorno degli appassionati “da cantuèa da Chiazza a sarva du chièu don Michèri” si svolge l’avito, popolare “giuoco del maiorchìno” col concorso di un pubblico appassionato e festante dopo una annata di attesa.

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Regolamento del giuoco

Art. 1 Il giuoco consiste nel lanciare il maiorchino lungo il percoso che va “da cantuèa da Chiazza a sarva du chièu don Michèri”;

Art. 2 Ogni squadra deve segnalare, prima dell’inizio della gara, il proprio capitano, che potrà conferire con i giudici di gara per far valere le proprie ragioni “nel caso … ve ne fossero”;

Art. 3 Inizia il giuoco la squadra che risulta sorteggiata per prima (toccu);

Art. 4 Ogni giocatore deve lanciare il maiorchino dal punto segnato, senza alcuna rincorsa, facendo leva sul piede di appoggio (pèdi fermu);

Art. 5 Vince la squadra che raggiunge, per prima il punto di arrivo (a sarva) a parità di lanci (corpi).In caso di una eventuale appendice, si prosegue, come da tradizione, per la stradina che porta ai mulini di Corte Sottana.

Art. 6 Nel caso in cui il maiorchino, durante la gara, dovesse rompersi, verrà segnato il punto dove si fermerà il pezzo più grande e verrà sostituito con un’altra forma di maiorchino di eguale peso;

Art. 7 Per quanto non previsto nel presente “regolamento”, restano sempre in vigore le ataviche e vetuste regole del “Giuoco del Maiorchino a Novara”;

http://www.comune.novara-di-sicilia.me.it/

 

5 Giugno 2014

Autore:

admin


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