Francesca Mambro – Ricordando i fatti di Acca Larentia

Cronaca di ordinaria follia, stragi senza nomi, senza condanne, come quella, 38 anni fa, del 7 gennaio 1978. A Roma, ad Acca Larentia, tre giovani missini uccisi. Per molti un “segno” che cambiò la vita di tanti. Le parole del ricordo di un ex terrorista “nera” Francesca Mambro… lei allora c’era. Si può comunque ben dire – ritornando a quegli anni –  che con Acca Larentia si decretò la fine dell’innocenza per una generazione

« Eravamo pochi, ci conoscevamo più o meno tutti. Con Francesco Ciavatta, poi, avevamo militato insieme nel circolo di via Noto. La reazione immediata, mia e di tanti, fu la paralisi, come quando ti muore un parente.

Ci guardavamo in faccia senza capire e senza sapere che fare, mentre dalle varie sezioni della città affluivano gli altri. Il Movimento sociale italiano non ebbe alcuna reazione nei confronti dei carabinieri, probabilmente per difendere interessi e posizioni che non avevano nulla a che fare con la nostra militanza.

Noi ragazzini venivamo usati per il servizio d’ordine ai comizi di Almirante, quando serviva gente pronta a prendere botte e a ridarle, ma in quell’ occasione dimostrarono che se per difenderci bisognava prendere posizioni scomode, come denunciare i carabinieri e il loro comportamento, allora non valeva la pena.

Per la prima volta i fascisti si ribellarono alle forze dell’ordine. Acca Larentia segnò la rottura definitiva di molti di noi con il Msi.

Quell’atteggiamento tiepido e imbarazzato nei confronti di chi aveva ucciso Stefano (Recchioni, ndr) significava che erano disposti a sacrificarci pur di non mettersi contro le forze dell’ordine. Non poteva più essere casa nostra.

Per la prima volta e per tre giorni i fascisti spareranno contro la polizia. E questo segnò un punto di non ritorno. Anche in seguito, per noi che non eravamo assolutamente quelli che volevano cambiare il Palazzo, rapinare le armi ai poliziotti o ai carabinieri avrà un grande significato.

Che lo facessero altre organizzazioni era normale, il fatto che lo facessero i fascisti cambiava le cose di molto, perché i fascisti fino ad allora erano considerati il braccio armato del potere. »…..

Francesca Mambro

 

 

 

Si può comunque ben dire – ritornando a quegli anni –  che con Acca Larentia si decretò la fine dell’innocenza per una generazione

 

 

Così la videro quelli che nel ’78 stavano a sinistra e oggi invocano il dialogo, così ha scritto Annalisa Terranova ricordando quei giorni

“Più di dieci anni fa dovevo andare in un liceo di Milano con Ignazio La Russa per parlare agli studenti degli anni di piombo.

Doveva essere un gesto di riflessione comune.

Ma la notizia fu divisiva, montò un clima di mobilitazione contraria, non se ne fece niente…”.

A raccontare è Fiorello Cortiana, già senatore dei Verdi, amico di Alex Langer e prima ancora militante di Lotta continua.

Il superamento della violenza di quegli anni per lui, nel 1978, quando il 7 gennaio tre giovani missini cadono uno dopo l’altro in un’angusta e buia strada della periferia di Roma sud, era già in atto: in quel periodo Cortiana è nel servizio d’ordine degli indiani metropolitani e lo scontro con l’area dell’Autonomia è all’ordine del giorno.

“Noi rifiutavamo l’etica e l’estetica della violenza, era il nostro tratto distintivo rispetto ad esempio ai compagni di Potere operaio, che si sentivano depositari della verità e ritenevano di fare la rivoluzione perché usavano le armi.

Il mio collettivo era composto da 150 giovani, due provenivano dal Msi.

Quando rileggo le notizie di quegli anni noto che i giovani si buttavano via, l’adesione all’ideologia dell’odio ha condotto a una grande dissipazione di energia”.

Riflette su Acca Larenzia:

“Fu un’azione studiata per far vedere che occorreva un salto di qualità.

Avviene anche a Milano con l’omicidio di Pedenovi.

Alcune frange invasate volevano con questi omicidi coinvolgere anche altri compagni nel terrorismo.

Per Potere Operaio, per Prima linea, la violenza era un fatto estetico-dimostrativo. Per le Br era un fatto militare”.

E quindi la sinistra dovrebbe riconoscere che il valore dell’antifascismo militante ha condotto a questi lutti, ha fatto versare sangue innocente?

“Se c’è un tratto che ha accompagnato gli anni Settanta – risponde Cortiana – questo è stato la cultura dell’antagonismo.

Ho un nemico quindi so chi sono.

L’antifascismo militante non ha più senso.

Io già allora sentivo Ian Palach come un martire anche mio, ma un altro conto è essere antifascista perché sei contro la dittatura”.

Quel clima di piombo può tornare?

“Le ideologie sono cadute – tira le somme Cortiana – ma lo schema può tornare a ripetersi se i processi che costruiscono le identità politiche si basano ancora sull’antagonismo e non sulla ricerca. Se si cerca il conflitto alla fine il meccanismo si rimette in moto”.

“La strage di Acca Larenzia?

Come l’ha presa la sinistra?

La sinistra l’ha semplicemente rimossa.

Perché riguardava i fascisti, la parte nemica.

È stato, a torto, considerato un atto di terrorismo minore, da archiviare senza quella riflessione e quel senso di umanità che impone di guardare alla morte senza distinzione di colore politico”.

Giovanni Fasanella, autore di libri fondamentali per ricostruire gli anni più oscuri della storia postbellica italiana e in particolare il caso Moro, seguì gli anni di piombo inizialmente come cronista dell’Unità, maturando solo più tardi un’opinione ben precisa su quella vicenda: “Acca Larenzia – afferma oggi – è uno degli episodi più oscuri degli anni di piombo e si inquadra a pieno nella strategia della tensione.

C’era chi aveva interesse a esasperare gli animi.

Gli omicidi rimasti senza responsabili in quegli anni andrebbero letti tutti insieme, parlo di Walter Rossi a Roma, parlo di Fausto e Iaio a Milano…

C’erano menti esterne che si impegnavano in questa strategia, per preparare quel clima di violenza diffusa che è successivo alla strategia stragista.

E a cosa serviva questa eccitazione degli animi? – continua Fasanella – a preparare e a legittimare il terrorismo di destra e di sinistra, terreno nel quale maturano il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, che avviene pochi mesi dopo Acca Larenzia.

Il contesto di una destra in ebollizione e di una sinistra in ebollizione punta a quello.

Bisogna guardare a un piano più alto, con una prospettiva che esula dai singoli episodi di sangue.

La radicalizzazione dello scontro fascismo-antifascismo è solo uno specchietto delle allodole.

Esso conduce all’omicidio politico per eccellenza, che ha la finalità di bloccare la politica del compromesso storico e l’attivismo dell’Italia nel Mediterrano che turbava i servizi francesi e impensieriva quelli inglesi. È evidente che la mia è una visione politica, che esula dagli aspetti giudiziari”.

Secondo Fasanella questa riflessione è mancata a sinistra come a destra, ma “è una riflessione che serve al Paese. Lo schema fascisti contro comunisti è deviante.

Dobbiamo domandarci chi aveva interesse a fare entrare la politica italiana in una fase diversa con la morte di Moro.

E dobbiamo trovare le risposte”. Le risposte Fasanella le ha trovate spulciando documenti britannici desecretati ed è giunto alla conclusione che l’intelligence di quel Paese è intervenuta pesantemente per cambiare il corso della politica italiana: “Gli inglesi nella prima metà dei Settanta arrivano a progettare un golpe in Italia e quel disegno viene accantonato solo per l’opposizione degli Usa e della Germania.

Fin dalla fine della guerra i servizi di quel paese hanno legami sia con elementi fascisti che con elementi legati alla sinistra insurrezionalista, così come sappiamo che i servizi francesi hanno utilizzato il terrorismo rosso.

C’è un documento dei servizi inglesi, da me citato nel mio libro Il golpe inglese, che ha un titolo inquietante, si chiama Appoggio a una diversa azione sovversiva.

Siamo all’inizio di quell’esplosione di violenza che in Italia toccherà il punto più alto con l’omicidio di Aldo Moro”.

“Acca Larenzia è stata la fine dell’età dell’innocenza, per moltissimi di noi”.

Francesco Lo Sardo, giornalista di Europa e autore Rai, nel 1978 aveva diciotto anni ed era legato all’area di Democrazia proletaria.

Faceva politica al Trieste Salario e frequentava il liceo Giulio Cesare.

“Mi ricordo perfettamente – racconta – quando sentii la notizia, su Radio città futura, dove facevo i turni di notte”.

La stessa radio, dunque, dove fu irriso il nome di Francesco Ciavatta.

“Ma per me – dice ancora Lo Sardo – la morte di quei fascisti fu una disgrazia, un lutto, e così per molti dei miei compagni.

La sinistra a Roma, Pci a parte, era un’area fluida, molto frantumata dopo il convegno di Bologna del 1977.

Mancavano luoghi di riflessione e di confronto ma c’era già una divisione molto forte tra chi, come noi, rifiutava l’uso delle armi, se non come strumento di difesa, e chi ne faceva un cardine della mobilitazione rivoluzionaria.

Eravamo tutti immersi nella retorica dell’antifascismo ma lo scontro era soprattutto dentro la sinistra.

Noi non pensavamo che coloro che facevano agguati contro i fascisti fossero compagni che sbagliavano, non li giustificavamo, ma sapevamo che erano comunque del nostro mondo. Il Pci era più ipocrita, affermava che quelli del Movimento erano altro dal Pci ma in questo c’era un elemento di falsità”.

E che idea vi siete fatti della strage di Acca Larenzia?

“Che era maturata dentro alla galassia dell’Autonomia.

Ma noi la elaborammo, questa cosa, sul piano personale più che politico perché appunto mancavano luoghi di riflessione. Molti ambienti della sinistra considerarono quella strage un punto di non ritorno e questo non è mai emerso perché non c’erano interlocutori politici a sinistra che potessero in qualche modo farsi carico di questo disagio. Per questo io oggi sento il dovere di parlare di queste vicende per spiegare che hanno avuto un effetto devastante e per fare una riflessione sui rischi dell’oggi”.

Rischi, secondo Lo Sardo, legati all’esasperazione dovuta alla crisi: “Ci sono pezzi di società di cui non sappiamo niente, poi arrivano fenomeni come i Forconi e non sappiamo come analizzarli, ci fermiamo alla denuncia delle infiltrazioni da destra. Un aspetto marginale.

A mio avviso l’immunizzazione della società dovuta alla tragedia degli anni di piombo è scaduta. Il piombo può tornare.

Tenere aperta la finestra su certe memorie è utile per testimoniare che quelle logiche sono gravissime, sul piano politico ma anche per gli strascichi che producono nelle persone, nelle famiglie, negli amici. Se quel tipo di scontro tornerà a verificarsi non sarà per la contrapposizione tra frange di estrema destra e centri sociali ma perché si vorrà dare uno sbocco violento alla sofferenza sociale. E lì che si deve intervenire per prolungare l’effetto repellente rispetto alla violenza che possiede chi ha vissuto quegli anni”.

“Acca Larenzia? I compagni non ci hanno capito niente di Acca Larenzia. Non abbiamo capito quanto fosse importante. Per voi è stata quello che fu per noi Piazza Fontana. Non abbiamo neanche capito che il terzo morto, quello caduto negli scontri con i carabinieri, cambia tutto”.

Andrea Colombo, giornalista, impegnato nel Movimento del ’77, tra i protagonisti della campagna per l’innocenza di Mambro e Fioravanti accusati della strage di Bologna, autore del libro Storia nera, già redattore del Manifesto e di Liberazione, conferma la rimozione e la superficialità con cui la sua area accolse quelle tre morti.

“Per noi in quel periodo era essenziale lo scontro con il Pci, l’antifascismo era un valore marginale, non fondamentale.

I fascisti non erano un problema politico.

Certo, se ti vengono a menare, ti difendi, ma ci si fermava lì.

Ma ricordo che a Roma, nei mesi precedenti la strage di Acca Larenzia, c’era stato uno stillicidio di aggressioni ai compagni a piazza del Popolo.

Un fatto non banale: perché occupare il centro della città era considerato un fatto che non poteva essere digerito.

Forse Acca Larenzia matura in questo clima.

Di certo fu un’azione militare.

Non ho mai creduto alla tesi che fossero ragazzini che volevano accreditarsi presso gruppi più importanti.

Del resto le Br a Roma cominciano tardi, nel 1976.

E c’era già una galassia di sigle armate. Una parte di queste sigle entra nelle Br con Morucci e un’altra parte mantiene le strutture che aveva.

Dunque la sinistra all’inizio non capisce, comprende tardi. Noi della destra non sapevamo e non capivamo nulla. Il nostro interesse, all’epoca, era lo scontro con lo Stato e con i padroni, tutto il resto era marginale.

E poi a Roma in quella fase non c’era il pericolo fascista, semmai c’era stato nel 1972, quando la percentuale raggiunta dal Msi aveva creato un caso politico, ma nel 1978…”. E allora perché? Tre morti non “necessari” alla strategia dell’estrema sinistra militarizzata che aveva come finalità quella di colpire il Pci e il compromesso storico.

Cosa che accadrà con il sequestro Moro. Ma dall’altra parte, sul versante della destra, c’era qualcuno che sentiva il bisogno di trascinare gli elementi più focosi versa la deriva della lotta armata? Storicamente, quello fu il prodotto della strage di via Acca Larenzia. “Ecco appunto dobbiamo storicizzare – afferma Colombo – storicizzare l’antifascismo, evitare l’accanimento giudiziario sui responsabili.

Gli anni Settanta furono una fase di scontro durissimo.

Le vittime lasciate a terra nello scontro fascisti-antifascisti furono una scia marginale, inutile e crudele. Con picchi di vera barbarie, come l’omicidio di Sergio Ramelli.

Storicizzare – specifica Colombo – significa evitare quello che io vedo oggi, cioè un re-imbarbarimento che alla fine acchiappa tutti, a sinistra come a destra.

Oggi se tornassi a fare la campagna per la strage di Bologna mi darebbero del traditore. E anche dall’altra parte vedo in funzione meccanismi del genere.

L’antifascismo militante era già di retroguardia negli anni Settanta, figuriamoci oggi.

È un problema non politico. Ma non viene abbandonato perché è l’unico collante.

Già nel 1977 più niente a sinistra ci teneva insieme.

Per questo restano attaccati a questo concetto di retroguardia”.

fonte: http://www.secoloditalia.it/

 

Il Film

Una ricostruzione a metà tra documentario e narrazione teatrale. Un uomo sulla sessantina che passeggia per le strade del quartiere Tuscolano, periferia di Roma, e a un tratto vede angoli di città, palazzi, il marmo di un numero civico. Che lo costringono a ricordare. Ma è tutto sfumato, dal colore si passa al bianco e nero. Quello degli anni di piombo. L’uomo intanto arriva in via Acca Larentia, dove il 7 gennaio 1978 vennero uccisi tre giovani attivisti del Fronte della Gioventù (due in un agguato, il terzo in successivi e immediati scontri a fuoco con forze dell’ordine). Eccolo qui, l’inizio di un film che ha tutta l’intenzione di far discutere. Si chiama «Sangue sparso» e sarà presentato martedì sera a Roma GUARDA IL TRAILER.

 

Il videoracconto (da una prospettiva di destra)

Tutto è raccontato da una prospettiva di destra. A partire dalla biografia della regista, Emma Moriconi, 43 anni, giornalista (lavora al Giornale d’Italia, lo dirige Francesco Storace, ex governatore del Lazio e un passato che va da Msi alla Destra, transitando per An), documentarista, attrice. Il «copyright» della pellicola è interamente suo. All’inizio doveva essere una storia per il palcoscenico, ma strada facendo, dopo aver fatto altri lavori con la macchina da presa, «ho cambiato idea, e ho pensato al cinema: un mezzo di comunicazione più adatto».

 

Ricerca sugli atti giudiziari

Poi è stato un lavoro colossale di ricerca. Sugli atti giudiziari «letti e riletti, sui giornali dell’epoca, dal Secolo d’Italia a Lotta continua, gli unici in grado di raccontare cosa avessero in testa i giovani di quegli anni. Intendiamoci: è un film, ma è un film che cerca di avere il passo della rigorosità storica, sia pure raccontata con le emozioni che mi appartengono». E naturalmente interviste con chi quegli anni li aveva vissuti: da protagonista come Storace (giovanissimo militante Fdg e poi da giornalista al Secolo), da testimone, e da semplice comparsa. Un lavoro travasato nel film in sala dal 12 giugno.

Neri contro rossi

Poi il racconta di una storia, quella dell’eccidio di Acca Larentia, che secondo molti rappresentò lo snodo degli anni Settanta. Incrudelendoli sempre più. Neri contro rossi. Rossi contro neri. Agguati, uccisioni, faide, vendette. Come la sera di quel 7 gennaio: al Tuscolano cinque ragazzi si trovano fuori da una sezione missina per andare a svolgere servizio di volantinaggio. Alcuni uomini armati aprono il fuoco su di loro, uccidendone due: Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta. La stessa sera muore Stefano Recchioni durante gli scontri scoppiati con le forze dell’ordine.

 

I misteri: quella Skorpion usata dalle Bierre

I colpevoli della strage, tra assoluzioni, suicidi in carcere, latitanze in Sud America, non si sono mai trovati. Senza contare i tanti misteri. Una delle armi utilizzate nell’agguato, una mitraglietta Skorpion, fu poi rinvenuta, nel 1988, in un covo delle Brigate Rosse, in via Dogali a Milano. Gli esami balistici svelarono poi che, quella stessa arma, fu utilizzata in altri tre omicidi firmati dalle BR: quello dell’economista Ezio Tarantelli nel 1985, dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti nel 1986 e del senatore democristiano Roberto Ruffilli nel 1988. Nel 2013, a seguito di un’interpellanza parlamentare, venne ricostruita la provenienza iniziale dell’arma, che fu originariamente acquistata, nel 1971, dal cantante (e appassionato di armi) Jimmy Fontana e da questi venduta, nel 1977, ad un ispettore di polizia, lasciando però ignoto il modo in cui l’arma sia poi giunta nelle mani dei terroristi.

 

«Tutte quelle morti sono indistintamente una tragedia»

«Volevo raccontare queste storie viste dall’altra parte anche se per me – spiega la regista – quando muore un giovane, di destra o di sinistra, è sempre una tragedia. In questi casi sono tutte vittime innocenti, vittime per caso. Militanti che volevano combattere per un’idea». Di quegli anni, aggiunge, «si ricordano solo fatti come il caso Moro, la strage di Bologna. E di tante vittime invece non si parla mai. Certo – ci tiene a dire la Moricone – ci sono responsabilità anche da parte della destra che comunque ha governato per un periodo abbastanza lungo l’Italia. La cosa che, invece, mi inorgoglisce davvero è il riconoscimento del mio film come opera di interesse culturale da parte dei Beni Culturali, sono davvero grata al ministero. Vuol dire che non è mai troppo tardi riappropriarsi di una parte trascurata della storia».

 

 

 

 

Redazione Scomunicando.it

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