GIULIA QUARANTA PROVENZANO – “Non c’è alcunché di più vero dell’evidenza che tutte le arti tendono alla musica…”
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GIULIA QUARANTA PROVENZANO – “Non c’è alcunché di più vero dell’evidenza che tutte le arti tendono alla musica…”

“L’arte tende alla musica” la riflessione della blogger e critica Giulia Quaranta Provenzano

Oggi vi proponiamo la riflessione della blogger e critica Giulia Quaranta Provenzano, la quale ha spiegato che <<Non c’è alcunché di più vero dell’evidenza che l’arte tende alla musica, e anche tutte le arti in generale!, alla bellezza che è armonia sublime nonché figlia delle stelle ogni volta che ricompone i contrastanti tasselli di un puzzle immenso quale è l’esistenza>> – cit. derivante dall’ascolto di Roberto Benigni in occasione della prima serata del Festival di Sanremo 2023…

Spesso nelle mie interviste non riesco a fare a meno di domandare a cantanti, musicisti, ballerini, attori, scrittori, autori, artigiani, aziende e brand indipendenti ma non soltanto a loro cosa pensano che sia la bellezza e quale ritengono che sia il suo principale pregio… ché, in verità, è proprio la beltà il mio motore e ciò che mi porta a muovere ogni passo sempre entusiasta e desiderosa di immergermi in quella linfa vitale – tanto anelata da pressoché tutti noi e troppe volte abusata da non pochi individui – chiamata amore.

Ebbene cos’è, però, il bello? Il bello, a mio avviso, è armonia – anche, anzi soprattutto e specialmente, nelle antitesi. Ecco allora che personalmente non lo riscontro nell’impostata e presunta perfezione del piatto, di un volto impassibile o comunque disteso bensì nelle facce e nei luoghi, nelle situazioni e negli stati d’animo, nei dubbi attanaglianti e negli interrogativi inesausti che vengono comunemente definiti sgradevoli… sgradevoli perché, maieuticamente, “disturbanti” una superficialità senza rughe e una velocità flashante che fingono di accarezzare con delicatezza chi simpatizza con esse ma che equivalgono piuttosto e non di rado a girarsi a priori dall’altra parte rispetto ai pungenti ipotetici punti interrogativi che si potrebbero presentare loro se solo si desse spazio, tempo, modo al ricercare e pensare. Certo è che anche la scienza invita a sorridere in quanto è, la tale, un’azione che fa bene alla salute – ed è, non a caso, con i rassicuranti sorrisi che si empatizza (mentre le emozioni negative altrui rimangono immancabilmente distanti dalla bolla d’interesse della maggioranza della gente).

Io sono una giovane donna che non ama le statistiche e ancor meno le generalizzazioni, tuttavia l’analisi sì… ed è possibile negare che ad esempio su un autobus o su un treno o su un aereo etc., se si sente qualcuno contrariato, benché esponga delle valide ragioni, è difficile “simpatizzare” con lui (a differenza che con coloro che sorridono)? Sorridere induce il rilascio della dopamina, che aumenta il senso di felicità e della serotonina, che rafforza la risposta allo stress quindi non mi sorprende che sia proprio l’armonia, che si palesa e prova con il sorriso sulle labbra, quello che di più piacevole può esservi al mondo – soltanto che, dal mio punto di vista, la compiutezza è un’illusione finché si vive e quando si vive non v’è staticità possibile, perciò neppure consonanza senza sperimentazione e quell’arcobaleno di colori, sovente contrastanti, che non dovrebbe esimere alcuno dal percepire e accogliere in sé la pioggia e il nero sopra e sotto la propria umanità.

Non dimenticherò mai le parole che mi scrisse il mio allenatore, come si definiva lui, d’un corso e di uno stage attoriale a cui presi parte alcuni anni fa: “Le persone che come noi si fanno sempre molte domande non saranno mai felici, ma vedranno tutte quelle sfumature che altre persone mai riusciranno neppure a scorgere”. Costui ha smosso in me una consapevolezza profonda, che volevo negare e ha riportato alle cosiddette “orecchie del cuore” l’eco dei desii mai sopiti di quella bambina che avevo chiuso a tripla mandata in cantina. Grazie a lui ho trovato la forza di smuovere la volontà al di là di ogni giustificazione finalizzata al “capitale garantito” e a fare “bella figura” cercando scioccamente, quanto disperatamente, di non deludere chi aveva puntato su una Giulia esistente solo in aspettative a me estranee e che cioè non mi rappresentavano autenticamente. Il bene non si può comprare, neanche al più caro pezzo, perdendo se stessi per rispondere al riflesso di un Frankenstein qualsiasi… o fuoco fatuo che poi, così, presto si diviene.

…Ecco, per me, bella è l’arte e parimenti tutte le arti! Tutte le arti che, sottolineo, tendono alla musica in quanto – come ha affermato Roberto Benigni in occasione della prima serata della 73esima edizione del Festival di Sanremo [clicca qui https://www.raiplay.it/video/2023/02/Sanremo-2023-prima-serata-Roberto-Benigni-mattatore-allAriston-09c6d8f8-0ae4-491f-b276-0e6c43ff2ab0.html per ascoltare l’intervento completo dell’attore, comico, regista e sceneggiatore italiano all’Ariston] – essa è l’anello tra il visibile e l’invisibile, tra ossimori appunto. Musica che amo non unicamente in quanto songwriter ma perché, pur semplicemente come ascoltatrice, mi rendo chiaramente conto che è quel “quid” che riesce a far vibrare corde impolverate o addirittura incellofanate a prescindere da età, sesso, religione, ceto sociale, nazione, epoca… e sì, non v’è alcunché di più vero dell’evidenza che l’arte tende alla musica, alla beltà che è armonia sublime nonché figlia delle stelle ogni volta che ricompone i contrastanti tasselli di un puzzle immenso quale è l’esistenza. L’arte è evocativa e rivoluzionaria, è uno schiaffo al potere d’un “dio (che parla, appare) da una macchina” religiosamente inteso o in accezione profana che sia.

Ammetto inoltre che, per l’appunto a proposito del Festival di Sanremo 2023, mi ha immediatamente colpito la potenza del brano di Lazza [clicca qui https://youtu.be/A5ab7U9RVLE per ascoltare “Cenere”]. A iosa non fanno tutti altro che ripetere che la canzone scritta da Jacopo Lazzarini e Davide Petrella, con le musiche di questi due e di Dario Faini, racconti una storia d’amore turbolenta – come il sound, come il ritmo pronto a esplodere già nel primo ritornello – ma, sinceramente, mi piacerebbe che ci si soffermasse non di meno sull’affascinante significato più imo dei versi di questo interessantissimo pezzo. Non basta la constatazione che <<tutto può avere un lieto fine, come per la fenice che rinasce dalle sue stesse ceneri; la parte finale del brano apre a uno sviluppo positivo della relazione arrivata al suo punto più basso – cit. “Ormai nemmeno facciamo l’amore/ Direi piuttosto che facciamo l’odio”>>, bensì è un peccato non andare semanticamente maggiormente in profondità e comprendere che la scelta (conscia o inconscia non fa differenza per quello che concerne il significato, come da mia formazione secondo Metodo Meqrima) dei vocaboli è degna di una sensibilità finissima e superlativamente immaginifica.

La Spazialità Dinamica del suddetto Metodo Mascialino non lascia scampo ai fraintendimenti ossia <<(…) Aiutami a sparire come cenere/ Mi sento un nodo alla gola/ Nel buio balli da sola/ Spazzami via come cenere// Ti dirò cosa si prova/ Tanto non vedevi l’ora/ Puoi cancellare il mio nome/ Farmi sparire nel fumo// Come un pugnale nel cuore/ Come se fossi nessuno/ Via come cenere, cenere// Vorrei/ Che andassi via/ Lontana da me/ Ma sei la terapia// Rinasceremo insieme dalla cenere/ Mi sento un nodo alla gola/ Nel buio balli da sola/ Bella che mi sembri Venere// Scendi che il tempo non vola/ Sono qua sotto da un’ora/ Tu sei più calda del Sole// Io invece freddo mercurio/ Lasciamo quelle parole/ Dimenticate nel buio/ Via come cenere, cenere>> [clicca https://g.co/kgs/8oY8Ny qui per leggere il testo della canzone “Cenere”, di Lazza] indica l’urgenza del superamento di una forse per taluni ipotizzata impotenza, tuttavia di sicuro apparente poiché non propria di chi, nel caso in cui sparisca, lo fa – come la cenere, come il metallo mercurio e come il pianeta Mercurio – in una sorta di “resurrezione” e moto ascendente… verso chi è talmente bella e “surriscaldante” da non potervi rinunciare di orbitarvi attorno, più vicino di chiunque altro. È, quella del protagonista del pezzo, una metaforica lontananza e mancanza di incontri emotivi che fa credere che si sia di fronte a un uomo prostrato e in uno stato involutivo solamente se non si è in grado di verificare verso dove è direzionata la freddezza della superficie e un grigio non sostanzialmente indefinito ma peculiare di chi si presenta qui non ritratto eroticamente, non incerto e non indefinito o depresso. All’opposto, i sostantivi all’interno delle frasi evidenziate ivi, sono tracce e preludio a un nuovo vivere successivo alla purificazione avvenuta in un’intima combustione tant’è che simbolicamente, per la sua somiglianza alla polvere e stante il suo essere il residuo freddo dopo l’estinzione del fuoco, la cenere di Jacopo Lazzarini è invece quanto esiste di più affine al rosso della passione… passione quale medicina e veleno – per gli antichi Greci, pharmakos aveva un duplice significato ovvero la facoltà di curare e altresì la dimensione diametralmente opposta di recare danno e uccidere.

Cos’altro aggiungere ancora, adesso? Beh, sono convinta che siano superflue le lungaggini… non mi rimane dunque che salutare i lettori, grata se vorranno condividere tale mia sorta di rimaneggiato flusso di coscienza nella speranza di aver trasmesso almeno un pizzico di curiosità e consapevole io in primis che l’arte fa sognare e che – come sottolineato dal prima citato Roberto Benigni inerentemente la Costituzione italiana – essa sia un sogno a opera di donne e uomini svegli. Ebbene concludo perciò con l’esplicitare che dalla mia prospettiva il bello, l’opera d’arte, è una sognante visione e visionario è colui/colei che ha l’audacia di frequentare il futuro con gioia e con fedeltà a sé e a tutte le proprie crepe dalle quali fuoriescono chiaroscuri sicuramente non ruffiani o comunque meno adulatori delle tinte che vi si discostano di netto.

15 Febbraio 2023

Autore:

redazione


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