Riflessioni della blogger Giulia Quaranta Provenzano
Oggi vi proponiamo un’ennesima riflessione e analisi della blogger e critica imperiese Giulia Quaranta Provenzano. L’anche fotografa d’arte e scrittrice aveva già anticipato che <<Olly è un cantante genovese che il mare lo ha profondo dentro di sé e lo fa uscire ogni volta potente in tutte le sue canzoni>> in quanto, come ha affermato proprio la trentatreenne ligure, in esse Federico Olivieri vi dipinge e racconta di archetipi umani che – esseri fragili, finiti e limiti per transeunte natura mortale – attingono e risalgono però inesausti dalle difficoltà, come onde dalla risacca, nel tentativo di rinascere finalmente con la loro verità costitutiva.
Sì, io sono nata a Imperia e attualmente vi risiedo… il mare, l’acqua è un elemento imprescindibile quanto vitale per me ma invero lo è per tutti noi esseri umani in viaggio tra conscio e inconscio e che eppure talvolta ci troviamo in tempesta e magari pure ad aggiungere le nostre lacrime alle già più o meno in parte salate ferite. Le profondità della mente e quelle del cuore non sempre dialogano fra loro e riescono a combaciare e così – come canta Olly in “Menomale che c’è il mare” [clicca qui https://g.co/kgs/bthFgm per leggere il testo] – a un certo punto ci si rende conto che tra volersi e tollerarsi c’è una differenza grande, un’idea e una persona si possono assomigliare (sia che si tratti di quello che si desiderava e si credeva di essere che di quello che si desiderava e si credeva fosse una certa altra persona) ma poi tutto si gioca, sta e si risolve nel come si agisce… un po’ come a dire che sono i fatti quelli che contano, quelli attraverso cui la speranza e l’intenzione si concretizzano e mostrano il fiore che siamo davvero …del quale il pensiero aveva piantano il seme.
L’acqua è simbolo dell’inconscio ed è altresì simbolo del mare uterino tuttavia nessuno di noi può esimersi, prima o poi, di fuoriuscirvi e di solcarlo e persino di andare da una sponda all’altra in un viaggio individuativo in cui siamo tutti chiamati a confrontarci e a relazionarci soprattutto con noi stessi e non solamente e non soltanto nelle giornate di sole, bensì anche nelle intemperie. Ognuno di noi dovrebbe cioè assumersi la responsabilità di essere l’unico capitano della propria vita e intraprendere la rotta che più attrae e si sente conforme e adatta a sé, a prescindere dalla paura delle conseguenza che non dipendono da un nostro capriccio imputabile a colpa o dall’audacia come sinonimo di superficialità. Ecco dunque che è sulle onde e tra le onde d’alto mare che siamo appunto chiamati, volenti o nolenti se non ci si vuole lasciare affondare senza possibilità altra alcuna, a rispondere e a far credito alla nave d’una coscienza non più ormeggiata a riva in balia del vento. Il viaggio della nave-coscienza ha avvio solo se forti della sopracitata audacia d’una volontà più urgente dell’inconscio-mare che così, grazie alla nostra azione di soggetti e non oggetti, non contiene più limitativamente la coscienza che in esso si è originata.
Ecco quindi che <<menomale che c’è il mare, che si porta ogni pensiero a mischiarsi con il cielo e non tornare mai più>> se si è persone sveglie nell’accezione di sognatori intesi come coloro che sognando arrivano prima di chi pensa [sognatori del discorso di Roberto Benigni al Festival di Sanremo 2023, clicca qui https://www.raiplay.it/video/2023/02/Sanremo-2023-prima-serata-Roberto-Benigni-mattatore-allAriston-09c6d8f8-0ae4-491f-b276-0e6c43ff2ab0.html per ascoltare l’intervento completo dell’attore, comico, regista e sceneggiatore italiano all’Ariston] poiché l’immaginare che qualcosa possa accadere è preludio all’agire e al porre, di conseguenza, un anello tra visibile e invisibile nonché tra conscio e inconscio, tra desio – desiderio nell’accezione etimologica di “condizione in cui sono assenti le stelle”, alle quali si anela – e realtà attuale attuata. Chi sogna attinge al proprio inconscio in ascolto e in direzione dei propri desideri, facendosi in tal modo unico artefice del proprio vivere in un atto autocentricamente rivoluzionario nell’inverarsi in autenticità nel momento in cui si dà uno schiaffo a qualsiasi potere estraneo da sé e ciò in nome di una frequentazione gioiosa di quello che era stato sempre e soltanto postumo rinvio al futuro.
Ebbene, è ossia quando sogni ad occhi aperti che non le chiudi le persiane [clicca qui https://youtu.be/MC4VYKpqGP4 per ascoltare la canzone “Menomale che c’è il mare”, di Olly] ovvero che ci si apre alla vita e alle sue possibilità da scegliere con sincerità a se stessi e che pertanto non si frappongono più barriere a separare potenza e atto, interno ed esterno ma la possibilità immaginata si traduce e si fa appunto azione concreta in accordo alle proprie ime sensazioni ed emozioni… nozze ossia del mare, che comunemente è femminile e rappresenta l’istinto, con il maschile cielo quale simbolo di potere e ambizione in una ribaltata nuova nascita che vede proprio il mare e non il cielo essere motore portante della rinascita e generazione in quanto è dall’acqua del piacere fine a se stesso, acqua che fluisce inesausta e non è stagnante, che viene la vita e non da imposizioni a opera di un’autorità estranea alle profondità della propria psiche, dell’anima …E, non a caso, tale mare ci fa sentire bene e ci attrae perché – secondo lo scienziato Wallace J. Nichols che ha scritto il libro “Blue Mind. Mente e Acqua” – quando la nostra mente è vicina ad esso induce la produzione di sostanze chimiche che causano reazioni di felicità, serenità ed eccitazione (e come ignorare il fatto che il nostro corpo è fatto al 70% di acqua ed è come se subisse l’attrazione di tutta l’altra acqua presente sulla Terra?!).
Quello di Olly è un invito – a prescindere da che lui sia consapevole o meno del messaggio più profondo del suo brano – a fare come i pescatori che fischiano, fanno e tu canta la-la-lalala e tutto si risolverà in un attimo ossia a farci immagine noi stessi della vita (come loro, così pure noi, contrapposti ai cacciatore quali emblemi dell’immagine della morte) e ciò grazie all’espressione di sé, della propria individualità, dei propri sentimenti a cui il canto si collega. La-la-lalala che indica un luogo distante da chi prima non li nominava neppure i sentimenti, figurarsi mettersi in contatto con essi e assecondarli, e distante anche da chi ascolta senza però disporsi amichevolmente e di buon grado verso le sensazioni incoraggianti del metaforico cantare altrui. Cantare che ha il potere di modificare positivamente e fattivamente qualcosa nel sognatore, riflettendosi sulla sua realtà non più rispondente all’eco di un volere estraneo perché appiccicato addosso per essere in accordo a terzi ma dissonanti con se stessi.