Assolto perché il fatto non sussiste. Ribaltato il giudizio del tribunale di Patti in oCrte d’Appello, a Messina. Non diffamò Tano Grasso.
Aver riportato un commento politico di una terza persona, pur inserendo alcuni passaggi dell’articolo non può essere considerato reato.
Per questo Giuseppe Lazzaro, difeso dall’avvocato Alessandro Pruiti, viene fuori dalle beghe processuali dopo l’accusa di diffamazione promossa dal presidente della Federazione Antiracket, Tano Grasso.
Lazzaro era stato condannato dal tribunale di Patti al risarcimento dei danni in sede civile ed al pagamento di un’ammenda. Un giudizio che stava stretto al giornalista orlandino che è ricorso in appello e qui c’è stato il ribaltamento della sentenza.
La Corte d’Appello ha evidenziato che “senza scomodare il diritto di cronaca” il giornalista ha riportato un commendo proveniente da una figura istituzionale.
Per i giudici messinesi il richiamo a quanto detto dalla Cassazione è punto fermo quando evidenzia che “il giornalista che riferisca opinioni o dichiarazioni di terzi è esente da responsabilità quando la dichiarazione della persona riportata costituisca di per sé stessa un fatto rilevante”. Al punto che la “stampa verrebbe meno al suo compito informativo se lo tacesse”.
La vicenda è datata.
Nel settembre settembre del 2007 Lazzaro pubblicava su GlPress, il suo sito d’informazione, un articolo relativo ai fondi stanziati per l’antiracket. Qui si rifacevaa a quanto affermato dall’allora sindaco di Capo d’Orlando Enzo Sindoni che chiedeva un’equa ripartizione di quei fondi a chi ne avesse diritto.
Lazzaro aggiungeva che la nota rappresentava una frecciata a Tano Grasso senza chiamarlo direttamente in causa, e quindi Grasso presentò querela.
Una storia che richiama anche quella stagione di vecchi veleni
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