GIUSTO PER DIRE – Sulla morte di “Sara”
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GIUSTO PER DIRE – Sulla morte di “Sara”

Dell’organizzazione armata di cui era stata la principale dirigente dopo l’arresto di Mario Moretti, all’epoca suo compagno, nel 1981 criticava molte cose ma senza sconfessare nulla. Una riflessione sul ricordare i propri caduti di quegli’anni

E’ l’occasione per rileggere quel perido

Nei suoi sette libri, il primo Compagna Luna, pubblicato nel 1998, l’ultimo, Respiro, l’anno scorso, Barbara Balzerani parla pochissimo dei 13 anni passati nelle Brigate rosse, dal 1975, quando scelse di arruolarsi sino all’arresto nel 1985 e poi alla dichiarazione congiunta con cui lei, Renato Curcio e Moretti, nel 1988, dichiararono conclusa l’esperienza della lotta armata in Italia chiedendo che si avviasse la ricerca di una «soluzione politica» che non è mai arrivata. Quel silenzio non vuol dire che la scrittrice scomparsa a 75 anni, dopo una malattia, avesse rinnegato il suo passato o lo volesse nascondere. Dell’organizzazione armata di cui era stata la principale dirigente dopo l’arresto di Mario Moretti, all’epoca suo compagno, nel 1981 criticava molte cose ma senza sconfessare nulla. Senza pentimento perché, pur riconoscendo alcuni errori, Barbara Balzerani si è sempre considerata ed è rimasta sino all’ultimo una rivoluzionaria comunista. Non si sarebbe mai definita una terrorista. Non riteneva di esserlo mai stata.

Ma nei libri e nei suoi scritti c’è di più

Nei suoi libri – da leggere per chi ne ha voglia –  c’è molto di più e c’è anche quel che serve per capire, senza doverla per questo giustificare, la lotta armata italiana.

 

Scrive su Il manifesto Andrea Colombo: “Se Barbara taceva sulla quotidianità di quella esperienza è perché sapeva che il rosario dei nudi fatti non poteva raccontare alcuna verità, avrebbe sempre e comunque ridotto la sua esperienza umana e in fondo anche quella della sua generazione politica, o di una sua parte rilevante, all’arida lettura dei capi d’accusa oppure all’esoterismo delle analisi che le Br sfornavano periodicamente”.

Barbara Balzerani

vive la sua infanzia a Colleferro, famiglia operaia, rabbia profonda per l’ingiustizia sociale che respirava in quella piazza dove i ricchi e i poveri, i padroni e i dipendenti, vivevano gli uni di fronte agli altri: l’arrivo nella metropoli nel 1969, in una città e in un Paese dove soffiava un vento di rivolta e speranza quale mai si era presentato prima e mai più sarebbe tornato; la famiglia, i genitori, la sorella grande che le aveva fatto anche un po’ da madre, e poi gli incontri fuori dal carcere. Quindi la militanza in Potere operaio, poi dal 1975 nella colonna romana delle Br, la trasformazione in «Sara», il nome di battaglia, via Fani, unica donna nel commando che rapì Aldo Moro, la guida delle Br negli anni in cui quell’organizzazione si dissolveva, lacerata dalle scissioni, dal conflitto tra fazioni interne, sempre più sideralmente lontana dalla realtà, persa nella sua logica armata. Dopo la laurea aveva scelto un lavoro difficile e di grande impegno sociale. Poi l’incontro con Moretti, già “clandestino” e Barbara, assumendo il nome di battaglia di “Sara”, sale al vertice delle Br e con il compagno organizza il sequestro Moro, unica donna del commando. Le altre due organiche all’organizzazione, Adriana Faranda e Anna Laura Braghetti, non sono presenti in via Fani.

Fare la rivoluzione per cambiare il mondo non mi ha reso felice. Durante, per la crudezza di viverla. Dopo, per la difficoltà di rielaborarla

Barbara Balzerani sarà ricordata come una ex brigatista, la primula rossa delle Br, la «terrorista», qualcuno non dimenticherà le parole sbagliate che usò in occasione dei 40 anni dalla strage di via Fani. Ci piace ricordarla con un post visto in rete:

“Se intervieni, cambi la Storia, anche se perdi. Se non lo fai, saranno altri a cambiarla, anche per te”.
Dedicato a tutti coloro che erano e sono stati “dalla parte sbagliata” (per gli altri).
Da leggere ancora

Barbara Balzerani .  intervista su Mambro, NAR e altro

Barbara Balzerani: “Che Francesca fosse colpevole o innocente, dico la verità, mi era indifferente. Era troppo lontana da me. E poi io mi ero sempre dichiarata colpevole, lei anche…Con le nostre categorie la sua incoerenza non aveva importanza.”
– E adesso? –
Barbara Balzerani: “Adesso no. Adesso mi interessa. Molto.”
– Perché siete diventate amiche? –
Barbara Balzerani: “No, non è per quello. O non solo. Prima ancora di capire che è innocente guardandola negli occhi, mi sono convinta che non c’entra perché ho cercato di capire la sua storia. No: lei e Giusva Fioravanti non possono aver fatto la strage di Bologna… perché non erano soldatini di Gelli o chi per lui… Questi sbranavano chiunque cercava di irreggimentarli o di accumularli ai servizi… li hanno usati come capri espiatori. Ma quello che colpisce, più del loro destino personale, è un’altra cosa. E cioè che tutti sembrano rassegnati a non conoscere mai chi ha messo davvero le bombe”.
– (…) Perché una ex brigatista rossa convinta che gli anni della lotta armata sono finiti, ma mai dissociata, decide di schierarsi dalla parte di un ex terrorista nera? –
Barbara Balzerani risponde: “L’ho detto, non è una questione di amicizia. È chiaro che la presenza fisica quotidiana di una persona come Francesca è stata una continua provocazione. Una spinta a riflettere sui rapporti tra destra e sinistra, fascismo e antifascismo… ma nonostante sia nata, tra mille difficoltà, un’amicizia vera, la decisione di dire la nostra è stata tutta politica.”
– Cioè? –
Barbara Balzerani: “La nostra possibilità di parola viene sempre contestata.
Dicono: siete colpevoli, avete sparato alla gente, almeno statevene zitti.
Ma noi ci vogliamo illudere che anche la nostra parola possa insinuare qualche piccolo dubbio.
Vogliamo sperare che per la sinistra la voglia di verità sia più importante di tutto il resto.
Che sia il momento di rompere certi tabù e aprire una riflessione su come è stato possibile questo teorema:
‘La strage è fascista, loro sono fascisti, quindi loro hanno fatto la strage’.”
– Non è così? –
Barbara Balzerani: “No, non è così.
Quella dei Nar è la storia dei ribelli di strada che non avevano niente a che fare coi servizi. Niente di niente. Insomma: le pare che servizi mandino della gente a fare delle cose e poi gli facciano scontare degli ergastoli?
Ma quando mai? Non esiste al mondo un agente che faccia la galera.
Gli agenti o scappano o hanno una disgrazia. Ma non vanno in galera.”
– Quando ha conosciuto Francesca Mambro? –
Barbara Balzerani: “Non so, nell’ 87 o nell’88…
Ma l’amicizia è stata una cosa graduale. Non è stato facile, all’inizio.”
Mambro-fioravanti
– Perché fuori… –
Barbara Balzerani: “Beh, fuori ci si sparava. È vero che noi delle Br non abbiamo mai praticato l’antifascismo perché lo consideravamo un discorso storico superato e puntavamo piuttosto sulla Dc. Ed è vero che anche loro ce l’avevano più coi poliziotti o i giudici che con noi. Ma non è che noi Br vivessimo sulla luna. Nei quartieri c’era la guerra. Si sparava. Acca Larentia da una parte. Radio Città Futura dall’altra. C’era l’odio. L’inimicizia. Per noi di sinistra l’antifascismo era una questione genetica. Era scontato.”
– Poi in cella arriva il momento in cui uno chiede all’altro di accendere… –
Barbara Balzerani: “Beh, è chiaro che le cose vanno così. Ci siamo scambiate le prime parole, poi le prime cose, poi abbiamo cominciato a mangiare insieme a festeggiare insieme e a festeggiare insieme i compleanni…
Ma non è una questione di vicinanza forzata. Tu in galera puoi anche scambiare con gli altri un libro o l’accendino senza fare amicizia. Il punto è che dietro lo scambio di accendini è successa un’altra cosa.
E cioè una rivisitazione delle mie categorie.
Diciamo la verità: la sinistra non ha mai fatto una riflessione seria sul fascismo e l’antifascismo.”
– Vuoi dire che è stato anche un bell’alibi… –
Barbara Balzerani: “Uhhh! Altroché. Senza nulla togliere al valore della Resistenza e al fatto che per fortuna i partigiani ci hanno liberato dal fascismo…
Ma il modo in cui questo mito è stato trascinato per decenni, fino all’ultima manifestazione per il 25 aprile a Milano, dico, è stato patetico.
Una subordinazione totale all’essere contro ha praticamente impedito alla sinistra di essere.
Oggi la sinistra dovrebbe capire «perché» la gente vota Berlusconi. Quali sono i nuovi bisogni. Io non credo che Forza Italia abbia vinto solo per le tivù. Non faccio così cretina la popolazione di questo paese.”
– Tornando a Francesca… –

Barbara Balzerani: “Dicevo: non si tratta di solidarietà tra detenute. A me interessa la verità sulle stragi.

Voglio un sapere chi ha messo le bombe.”
Apro i giornali e non c’è niente, accendo la televisione non c’è niente. Sembra quasi che il processo sia stato un affare personale tra la corte e quei tre imputati. Tremendo.
Possibile che dopo poche settimane la verità su Bologna non sia più una notizia?
È dal ‘69 che aspettiamo la verità sulle stragi. Venticinque anni.
E sulla mia generazione questa attesa ha pesato in modo particolare.”
– Anche sulla scelta della lotta armata? –
Barbara Balzerani: “La faccenda era un po’ più complicata, però quell’attesa ha pesato sì.
Scusi: io ho fatto delle scelte traumatiche, ho commesso degli errori, mi sono bruciata la vita «anche» perché non c’era stata data la verità sulle stragi e mi ritrovo 25 anni dopo piazza Fontana con un’altra sentenza indecente.
Chi si accontenta di un colpevole qualsiasi. I Nar poi… Troppo facile scaricare tutto su di loro scoperti sia a destra sia a sinistra. Qui c’è la mancanza totale di una volontà di capire cosa è successo.”
– Così con Francesca vi siete dette: «Non hanno capito né me né te». –
Barbara Balzerani: “È abbastanza vero. Ma non solo: neanche io avevo capito lei. E lei me.
Il rapporto di inimicizia totale era scontato. Quelle erano per entrambe le nostre categorie.”
– E adesso ha capito perché lei è Giusva sparavano? –
Barbara Balzerani: “Beh, lo sforzo l’ho fatto.
Come l’hanno fatto altre Compagne. Anche se il riconoscimento della buona fede non serve a molto, in sé stesso, se non a parlare con una persona guardandola in faccia. Rimane la distanza, il rifiuto di certi modi di concepire la vita… È chiaro che la loro è una scelta molto difficile da comprendere.
Lo dicono loro stessi che a un certo punto la politica non c’entrava nulla. Che la loro era una rivolta senza speranza.”
– Mentre voi… –
Barbara Balzerani: “Ah, noi eravamo perfino convinti di vincere. Pensi un po’…”
– E Francesca ha capito lei? –
Barbara Balzerani: “Io penso di sì. D’altra parte la nostra è una storia talmente «nobile» …
Sicuramente lei è ancora molto distante, in questo senso. Ci sono tante cose che ci dividono.”
– Per esempio? –
Barbara Balzerani: “Mentre per Francesca la cosa più importante sono le persone, le amicizie, quello che ognuno esprime in termini di generosità, per me è tutto è ancora molto mediato dalla politica. Per questo io dico che la mia certezza sulla sua innocenza è basata sull’analisi politica. Non c’entra l’amicizia. Perché per me non è consolante, se non sul piano dei rapporti personali (che però non sono esaustivi di tutto), il parlare di buona fede.
Non mi basta la spiegazione della buona fede. Da questo punto di vista, non riesco, tra virgolette, ad «assolvere» certe scelte.”
– Forse perché anche lei non riesce ad assolvere se stessa… –
Barbara Balzerani: “Vuol dire senza le nostre «mediazioni categoriali»?
Può darsi.
Il giorno in cui io mi dovessi sentire colpevole credo che sarebbe un brutto giorno. Se mi dovessi davvero sentire un’assassina… beh, credo che non ne sopporterei il peso.”
– Ma che cosa vi unisce? –
Barbara Balzerani: “L’averci creduto. Non aver mai pensato di poterci guadagnare in termini opportunistici. L’esserci giocate tutto. Davvero tutto.”
Sette del Corriere della Sera, N.28 1994.
Approfondimento

ognuno pianga, a suo modo, i suoi morti

 

7 Marzo 2024

Autore:

redazione


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