– di Corrado Speziale –
Lunedì 19 luglio, alle 21,30, nell’incantevole area del Parco Horcynus Orca, il grande trombettista sardo, con il suo collaudatissimo trio composto da
Tempo di Chet, con Paolo Fresu alla tromba e al flicorno, Dino Rubino al piano e Marco Bardoscia al contrabbasso, sarà proposto lunedì 19 luglio, alle ore 21,30 nell’area del Parco Horcynus Orca, che si affaccia nell’incantevole scenario dello Stretto. L’evento sarà preceduto, alle 18,30, dalla presentazione del libro “La storia del jazz in 50 ritratti” di Paolo Fresu e da Vittorio “Vic” Albani, edito da Centauria Edizioni.
Tempo di Chet – La Versione di Chet Baker, è un progetto musicale di Paolo Fresu che nasce come opera teatrale, per la regia di Leo Muscato, con attore protagonista Alessandro Averone, sulla movimentata e al tempo stesso intensa e misteriosa vita del trombettista bianco di Yale, le cui avventure umane e artistiche sono state portate in scena in maniera eccellente con grande successo nei teatri del nord e centro Italia a cavallo tra il 2018 e il 2019.
Adesso, senza scene, tutta la “poesia” di Chet si concentra nella mente e nell’animo dei tre musicisti, che attraverso i loro strumenti hanno la capacità di far rivivere la passione, l’arte, i tormenti e i misteri del trombettista californiano. La struttura del progetto musicale si fonda su standard interpretati spesso da Chet Baker, unitamente a brani scritti appositamente per l’opera teatrale da Paolo Fresu ed altri rispettivamente composti per la stessa finalità da Dino Rubino e Marco Bardoscia. Completano il progetto due brani di Fresu in cui spicca la batteria “spazzolata” di Stefano Bagnoli.
“Tutta la musica ha un carattere cool, come è sempre stata quella di Chet Baker, in bilico fra il suo disordine interiore e una architettura musicale tesa verso una perfezione melodica, armonica e ritmica, quasi maniacale”,
Con questa frase, sempre il trombettista sardo aveva introdotto la performance del trio per Tempo di Chet, in versione musicale, sbarcato in Sicilia nell’ottobre 2019 con sei concerti in tre giorni al Monk, suggestivo e accogliente jazz club di Catania, diretto proprio da Dino Rubino. Quella di Messina, pertanto è la seconda occasione nell’Isola e la prima delle due di questa estate. La prossima sarà il prossimo 30 luglio a Santa Venerina, per la rassegna “Jazz in Vigna”.
A Messina, alla vigilia, si registra così il buon risultato organizzativo di Salvo Trimarchi e dei direttori artistici della sezione Musica Nomade dell’Horcynus Festival, Giacomo Farina e Luigi Polimeni.
Giovanni Renzo incontrò per la prima volta Paolo Fresu nel 1985 ai seminari di Siena Jazz, quando quest’ultimo era insegnante alla prime armi. I due si ritrovarono in quella circostanza in un ensemble diretta da Bruno Tommaso. Lì nacque la loro amicizia.
Per motivi di forza maggiore, lunedì il pianista messinese non potrà vivere l’amarcord con Fresu e gli altri amici. Lo abbiamo così interpellato chiedendo un ricordo di quel concerto per l’Horcynus.
“La nascita del Parco Letterario è strettamente legata alla presenza di Paolo. Infatti, quel 25 novembre del 1999 veniva ufficialmente inaugurato con un concerto poi immortalato in un album prodotto proprio dal Parco Horcynus, “Il mare”, una suite di mie composizioni ispirate all’omonimo libro di Jules Michelet. Sul palco con me c’erano Paolo e il Quintetto Suono e Ritmo, frutto del laboratorio tenuto da Giovanna La Maestra e Angelo Tripodo. Con questa stessa formazione l’anno precedente avevamo aperto il Festival Time in Jazz di Berchidda. Fu per me un momento magico,
Paolo Fresu, da sempre amatissimo dal pubblico messinese, lunedì sera riceverà il Premio Horcynus Orca 2021. Un riconoscimento super meritato per chi, nel segno della “bellezza” della musica nel “cambiamento”, soltanto negli ultimi tredici anni a Messina, escludendo la provincia, con quello di lunedì, avrà tenuto dieci concerti, condividendo il palco con vari musicisti di fama internazionale. A tali eventi, si aggiungono quelli degli anni precedenti e le performance del Bosco in Concerto, tenutesi sui monti peloritani, in cui il trombettista, a testimonianza della sua proverbiale semplicità, ha sempre preferito essere considerato uno fra i tanti protagonisti, al pari dei ragazzi del laboratorio Suono e Ritmo, con cui collabora costantemente.
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