Novant’anni fa nasceva a Roma Paolo Signorelli, il leader nazional-rivoluzionario morto il 1 dicembre 2010. Fra il gennaio 1979 e il maggio 1982 il professore di filosofia, ‘cattivo maestro’ dell’eversione nera, aveva già battuto ogni record di mandati di cattura: dopo una detenzione preventiva di 3.618 giorni (fanno 10 anni) ne esce assolto.
per ricordarvi il “professore” alcuni post e note apparsi sulla rete
Recentemente il suo nome è tornato, inopportunamente, sulla cronaca di tanti media dopo che il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha nominato il giornalista Paolo Signorelli – nipote di quel Paolo – su addetto stampa. La Repubblica ci va a nozze e inopportunamente scrive: “Lollobrigida assume come portavoce il nipote dell’ideologo del terrorismo nero”.
Una caduta di stile sottolineato anche da Andrea Colombo. Ex di Potere Operaio. “In questo strillo indignato ci sono tre svarioni di cui ogni persona normale dovrebbe vergognarsi ma purtroppo il 90% degli antifa normale non è. Primo: da quando le colpe dei nonni o degli zii ricadono sui nipoti?
Secondo: Paolo Signorelli ha passato nove anni in carcere, un record, per poi essere assolto. Alla memoria e agli eredi lo Stato democratico dovrebbe solo chiedere scusa.
Terzo: essendo stato sempre assolto è discutibile definire Signorelli “ideologo del terrorismo nero”.
Mi fanno schifo e non dico tanto per dire.
L’attacco vigliacco al nipote di un innocente
Allora ritorno indietro di 47 anni e mi si aprono le virgolette: «Su Signorelli potrei scrivere un romanzo. Certo è che un imputato non può restare in carcere all’infinito!». Questa frase la pronuncia nel 1987 Giuliano Vassalli. A quel tempo è ministro della Giustizia e ormai considerato il più grande avvocato penalista del Paese. Da sempre militante e attivista nel campo dei diritti umani, Vassalli è rimasto turbato dalla pubblicazione del Rapporto annuale di Amnesty International in cui – alla voce “Italia” – veniva espressa preoccupazione per il caso del professor Paolo Signorelli; quelle due righe, seguite da una forte reprimenda sull’uso sconsiderato e liberticida della carcerazione preventiva, vanno praticamente a sentenza. Dal giorno seguente i giornali di sinistra ritirano la loro fiducia al buio nella più caotica e inverosimile inchiesta giudiziaria sull’estremismo neofascista. D’incanto articoli e approfondimenti mutano al punto da venire così intitolati: “È nero? Non garantiamo”. In molti stanno montando su quel treno in cui Paolo Signorelli aveva viaggiato in isolamento, senza mai scendere, di galera in galera. Ci salgono sei anni dopo, ma ben vengano. Fra il gennaio 1979 e il maggio 1982 il professore di filosofia, ‘cattivo maestro’ dell’eversione nera, aveva già battuto ogni record di mandati di cattura: per detenzione di armi, per ricostituzione del disciolto Partito fascista, per associazione sovversiva e banda armata, per concorso nell’omicidio Leandri, per concorso nell’omicidio del giudice Mario Amato, per concorso nell’omicidio del giudice Vittorio Occorsio, per fatti connessi a reati associativi, per spionaggio internazionale, per tentato omicidio nei confronti del leader democristiano cileno Bernardo Leighton e della moglie Anita Fresno, per concorso nella strage di Bologna, per cospirazione politica. In un articolo apparso su “Il Giorno” il suo nome viene collegato a quello di Ali Ağca, mentre in un’altra occasione il giudice inquirente sul caso arriva a chiedergli notizie su Emanuela Orlandi… Insomma è in questo clima folle che le poche righe di Amnesty e di un eccelso giurista, torturato in via Tasso, cominciano a smontare l’incredibile castello di accuse che – una a una divenute assoluzioni – ridaranno all’imputato la libertà dopo una detenzione preventiva di 3.618 giorni (fanno 10 anni).
Se queste poche notizie fossero ancora oggi di dominio pubblico, l’improprio articolo de “la Repubblica” non sarebbe mai uscito. Il suo autore potrebbe oggi dire: «Che potevo saperne? Io nel 1980 avevo solo 14 anni!». Infatti sarebbe stato meglio evitare, perché una storia contemporanea mai vissuta non si può narrare se quell’atmosfera non l’hai annusata e capita. Io stesso, che per anni avevo lavorato in Amnesty, fino al 2007 ero convinto che la parabola della famiglia Signorelli fosse sempre stata fortemente legata al fascismo. E ho saputo che non era vero perché nel 1916 Luchino Signorelli, padre di Paolo, era stato colpito da una scheggia di granata che gli aveva reciso il nervo ottico. Era sull’Isonzo a combattere e divenne cieco di guerra, pensionato e grande invalido. Ricordo ora questo episodio per chiarire che Paolo Signorelli, nato nel 1934, da bambino vissuto fra Roma e Supino (in Ciociaria) non ebbe il tempo di essere né una camicia nera né un saloista, cominciando a occuparsi di politica all’epoca degli scontri per Trieste, della battaglia romana dell’Ambaradàn e così via fino agli scontri di Valle Giulia, a cui i giovani di estrema destra parteciparono in prima fila. Era stato il formarsi di un eretico della destra, che entrava e usciva dal Movimento Sociale, che aveva aderito alla fondazione del Centro studi Ordine Nuovo (poi disciolto nel 1973) e che negli anni precedenti l’arresto si era speso per un possibile avvicinamento fra la destra extraparlamentare e i movimenti dell’Autonomia. Questo in poche parole.
Eppure il caso di Paolo Signorelli rimane ancora oggi all’attenzione disinformata di coloro che si ostinano a immaginarlo nei panni di un terrorista, di uno stagista, di un omicida. A 35 anni di distanza le assoluzioni e la violazione dei diritti umani da lui subita non bastano a spegnere una vulgata priva di ogni senso. Per quanto sentenziato innocente, Signorelli rimane un colpevole postumo. Penso che ciò dipenda dalla dignità con la quale egli seppe vivere quei suoi 10 anni in stato di arresto e soprattutto dalla particolarissima circostanza di non aver mai preteso, da liberato, alcun risarcimento morale, politico o di carriera. Nel 1994 egli sarebbe potuto entrare in Parlamento dalla porta principale, usando la sua vicenda come chiave pacificatrice di una stagione terribile. Scelse invece di non approfittare mai di sé stesso e preferì collaborare e poi dirigere la rivista “Giustizia Giusta”, così da regalare la sua esperienza a chi un giorno ne avrebbe tratto giovamento. Paolo Signorelli morirà nel 2010. Di un tumore, come Enzo Tortora, quale pena accessoria che colpisce gli innocenti usciti a testa alta, vittoriosi, dal loro carcere.
Paolo Signorelli è un bravo ragazzo e un bravo collega che nei giorni scorsi è approdato al ruolo di capo ufficio stampa del ministro Lollobrigida
Ma andiamo al “nostro” Paolo Signorelli perseguitato per le sue idee fasciste e libertarie
Il 1 dicembre 2010, dopo due anni di malattia affrontata con lo stesso coraggio e dignità con cui aveva vissuto, moriva nostro padre Paolo Signorelli. La sua vita è stata tutta dedicata ai principi e ai valori che aveva abbracciato da quando era uno studente del liceo Augusto di Roma, e l’attività politica, che di quei principi e valori è il riflesso, nella società degli uomini avrebbe assorbito tutta la sua esistenza. Le sue idee erano indubbiamente controcorrente, non ortodosse, divisive e lui stesso era un personaggio “scomodo”, un Ribelle, un Eretico come amava definirsi. Era ovvio che un uomo con le sue convinzioni avrebbe finito per scontrarsi con il Potere ed i suoi detentori e pagare il prezzo per la sua irriducibilità in termini di libertà personale.
Fare l’elenco dei procedimenti e dei processi subiti da nostro padre sarebbe lungo e quindi evitiamo di addentrarci nei particolari, basta però considerare che nel decennio 1980/1990 non c’è stata inchiesta contro la cosiddetta “eversione nera” di cui il nostro genitore è stato considerato uno dei leader più importanti e in cui, in un modo o nell’altro, non figurasse tra gli imputati se non il maggiore imputato. Si arrivò anche a toccare il ridicolo quando un organo di stampa riportò la notizia che il “professore nero”, come spesso veniva definito in quegli anni, poteva avere un qualche legame con l’attentato a Papa Wojtyla…
Dopo dieci anni trascorsi in carcere, trasferito da un istituto di pena all’altro (a volte senza neanche informarne noi familiari), con la salute minata da condizioni di detenzione spesso non degne di un paese civile, al termine di decine di processi, il nostro amato padre veniva prosciolto e assolto da tutte le accuse e l’unica condanna riportata riguardava il reato di associazione sovversiva di cui non venivano neanche indicati i sodali (sic). Riguadagnata la libertà ha poi dedicato tutti gli anni a venire, fino alla scomparsa, alla battaglia per i diritti dei detenuti tramite il periodico “Giustizia giusta” già di area radicale e di cui diventò l’anima.
Dopo la sua morte, ovviamente, c’è stato per noi famigliari il momento del dolore e della mancanza di un uomo che, nonostante le sue scelte di vita, non ci ha mai fatto mancare il suo amore e la sua guida; quando questa fase è rientrata nell’accettazione della ineluttabilità della fine terrena abbiamo pensato che il nostro genitore avrebbe finalmente trovato la pace da un’esistenza terrena che non gli aveva risparmiato amarezze ed ingiustizie. Ed infine, noi figli e nostra madre, finchè ha vissuto, credevamo di poterci dedicare alla custodia della sua memoria.
Purtroppo non è stato così, ci siamo sbagliati.
Infatti in questi anni con una periodicità quasi regolare hanno continuato ad essere pubblicati articoli giornalistici che, nella maggior parte dei casi, riportavano le dichiarazioni di questo o quel “testimone della corona” per i quali, nel nostro cattolicissimo paese, abbiamo creato la categoria e il termine di “pentiti”, riguardo il ruolo da lui avuto nelle vicende dell’estrema destra italiana e sempre per fatti per cui, ripetiamo ancora una volta, nostro padre è stato pluri-processato e pluri-assolto. Tanto che ci siamo dovuti affidare agli avvocati per denunciare il “pentito” di turno e la testata giornalistica corresponsabile avendo soddisfazione in alcuni casi mentre, per altri, siamo ancora in attesa della pronuncia del giudice.
Quello che è certo per noi figli è che per nostro padre non c’è pace neanche da morto e nei suoi confronti continua la persecuzione che ha dovuto affrontare in vita. Neanche nostra madre è stata risparmiata da questo “accanimento terapeutico” in versione giudiziaria; nell’ottobre 2019, infatti, gli scrupolosi magistrati della procura di Bologna vennero in trasferta a Roma per interrogarla sulle frequentazioni del marito alla ricerca di chissà quali clamorose rivelazioni da parte di una donna ottantacinquenne peraltro ammalata per una patologia neurodegenerativa. Una schifezza assoluta, di più, una porcata inutile che ebbe, come unico effetto, quello di aggravare il già fragile equilibrio psichico di mamma.
Ma, come si suol dire, “al peggio non c’è mai fine”: ci riferiamo alle motivazioni, di recente pubblicate, della sentenza della Corte di Assise di Bologna pronunciata contro l’imputato Bellini nella quale il nome del nostro congiunto viene citato la bellezza di 250 volte (sic). Chi legge questi motivi, alla fine della lettura, non potrebbe che ricavarne la convinzione che il Professor Paolo Signorelli sia stato un autentico dominus dell’eversione nera, interno ai servizi e segreti, in barba a tutte le sentenze di assoluzione pronunciate negli anni da diversi tribunali della Repubblica e vagliate, in ripetute occasioni, dalla suprema corte di Cassazione la quale, al contrario di quanto affermato dai giudici di Bologna, è spesso entrata nel merito delle accuse rivolte a nostro padre senza limitarsi agli aspetti formali.
Nostro padre è stato un uomo contro, incompatibile con ogni contesto che avesse operato contro il Popolo; quelle affermazioni sono false, ignobili, mortificanti ed offensive per chi non può più ribattere di persona. Al termine di questa nostra lettera chiediamo a lei e a tutti coloro che avranno la pazienza di leggerci se questo processo infinito al nostro genitore sia lecito, giusto, in linea con i principi della nostra civiltà giuridica e se un uomo che in vita ha pagato un duro prezzo per le sue idee non debba essere lasciato in pace almeno da morto visto che, almeno fino a prova contraria, è un morto ASSOLTO!!!
altri ricordi
Chicco Galmozzi, il fondatore di Prima Linea, che, commentando un vecchio post su Signorelli – su fascisteria -, offre una testimonianza “penitenziaria”:
Durante il processo a PL a Milano lo appoggiarono nel nostro piano dello “speciale” di San Vittore. Naturalmente lo tenevano chiuso con aperto solo lo spioncino della blindata, come da consuetudine carceraria andai a chiedergli di cosa avesse bisogno, “sigarette’ mi disse. Gli portai due pacchetti di Gauloise senza filtro. Mi ringraziò dicendo che erano quelle che fumava lui.
Lo reincontrai a metà degli anni ’90 a un convegno sulla “soluzione politica” e finimmo a cena insieme. Parlammo un po’, non del carcere perché lui era in compagnia della moglie alla quale io immaginavo non facesse piacere la cosa. La mia impressione fu di persona amabile e interessante intellettualmente.
Flavia Perina – giornalista – ricorda Signorelli, il suo professore che amava remare controcorrente
Quando fu arrestato, nell’atto di accusa dei giudici di Bologna venne descritto come un cattivo maestro, corruttore e manipolatore di giovani anche in virtù della sua professione. Mezzo De Sanctis, compresi quasi tutti i “compagni”, firmò una lettera ai magistrati per smentire il teorema e raccontarlo come veramente era. Con noi militanti del Msi o del FdG, lui che era caratterialmente insofferente a ogni chiesa di partito, era spesso beffardo, ironico. Insomma, ci prendeva in giro. Ieri su qualche blog, annunciando la sua morte, lo hanno definito “l’innamorato dei Repubblichini di Salò”, ma chi lo conosceva bene sa che se avesse avuto l’età sarebbe entrato e uscito pure dal Pnf come fece dal Movimento sociale, inseguendo il sogno della purezza rivoluzionaria e l’estetica dell’uomo libero che era il suo tratto distintivo. Avrebbe remato controcorrente anche nella Rsi, Signorelli, e anche lì avrebbe cantato cose amare contro l’imborghesimento dell’età adulta, «la moglie grassa, il mutuo e la pancera», come dice una memorabile strofa del Mercenario. Adesso che dobbiamo salutarlo per sempre viene da piangere anche per questo, per le illusioni che abbiamo condiviso con incoscienza e allegria, oltre ogni litigio e diffidenza, oltre le differenze anagrafiche e i ruoli, in quegli incredibili anni Settanta.
Signorelli, il mostro nero che non aveva colpe
Tutto quello che sono lo devo a voi, al vostro amore per la vita e per le cose importanti. Ogni orpello è inutile, la bellezza esteriore è un riflesso di quella dell’anima, la grazia la coerenza, l’essere sono ancora per me alla base di ogni rapporto umano e divino.
Tutta la sofferenza e la ignominia che abbiamo sopportato non ci hanno cambiato, anzi hanno rafforzato le nostre idee e la nostra unione sia nella famiglia che con gli altri. I rapporti veri restano e si solidificano nel tempo attraverso le avversità e i dolori che la vita porta con sé ma anche tramite la gioia che puoi conoscere davvero solo se soffri, se sei capace di toccare il fondo.
Abbiamo sempre rialzato la testa, il nostro onore è cresciuto e maturato, la dignità e la signorilità sono il nostro credo, la generosità il nostro modo di essere anche quando non possiamo, anzi specialmente quando non possiamo! Io so che sono una donna fortunata perché ho avuto un padre enorme e una madre speciale e ne vado fiera. Non ho soldi, non ho case, non ho nulla di quello che oggi la gente cerca, ma ho molto, tutto. Un uomo simile a te, una famiglia speciale come la nostra, un nipote che porta il tuo nome che aspetta una bimba che aspetta con tutto l’amore che un padre può avere verso una figlia.
Spero, e sono sicura che lo sarà, che Flaminia sia altrettanto fortunata come lo sono stata io e fiera del suo “Paolo Signorelli”.
Il mio non è un ricordo padre, ma la certezza di averti a fianco anche grazie alle nostre piccole ritualità come l’aperitivo al sole rivolto a te, guardando il monte Soratte, dove tu ogni sera con il sorriso so che mi osservi credo con un pizzico di orgoglio.
Grazie papà, grazie di essere stato e di continuare ad essere un uomo scomodo, ribelle, diverso e mai scontato. Grazie a mio padre Paolo Signorelli
Ancora Mughini che rende onore e merito al professor Signorelli
Dopo l’attacco forcaiolo del solito quotidiano scende in campo Giampiero Mughini per rendere onore e merito a Paolo Signorelli sr. A Paolo jr., che è un bravo giornalista e ha avuto un incarico fiduciario di “alta amministrazione”, e perciò insindacabile, che dire: buon lavoro …
Caro Dago, vedo che fai il nome e dedichi un articolo a Paolo Signorelli (nato nel 1934, morto nel 2010), un nome che è stato fragoroso nella storia recente della destra italiana. Il nome di uno che a un certo punto apparve essere un Mostro quale non ce n’era stato l’eguale nella nostra storia repubblicana, uno che s’era meritato la bellezza di tre ergastoli da quanti ne aveva messi a morte.
Solo che una dopo l’altra quelle accuse caddero, che dopo dieci anni di cella Paolo scrivesse un imperdibile “Professione imputato” che in tanti ci scaraventammo a leggere e che una trentina d’anni fa nell’aula di un alberghetto romano di Trastevere fummo in molti a riunirci e in un certo modo a risarcire Signorelli. Mi pare fosse stato Francesco Rutelli a organizzare il tutto, c’eravamo io, qualche radicale (forse Valter Vecellio), Giuliano Compagno e altri [anche io, ndb].
Tutti unanimi nel salutare un uomo che era stato ingiustamente giudicato e condannato, un uomo che s’era accanito sì nel professare le sue idee, uno che con me una volta ha ammesso di avere scherzato col fuoco (come tantissimi a sinistra, uno per tutti Antonio Negri), ma che non era affatto un Mostro calzato e vestito. Sono poi rimasto un amico della famiglia Signorelli e innanzitutto di sua figlia, la mia carissima Silvia.
Continuo a pensare che la democrazia italiana sia in debito con lui, non in credito. Purtroppo non ho letto la riedizione di “Professione imputato” cui Pietrangelo Buttafuoco, ha apposto una sua prefazione. Non si può leggere tutto. L’importante è sapere come sono andate le cose in quel rovente groviglio di fatti e di idee minacciose che è stata la storia italiana di quest’ultimo mezzo secolo.
Ps. Un caro saluto alla mia amica Silvia
FONTE: DAGOSPIA
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