«Vivere, soltanto vivere, in quel momento, in quel luogo, senza mappe, senza orologio, senza niente, solo io e la natura».
A scrivere era Christopher Mccandless, il giovane che si rifugiò in Alaska e che ha ispirato il film “Into the wild”.
Età e luogo diverso, forse Don Nunzio Giuffrè, aveva fatto la sua scelta, e lo pensava mentre costruiva lui stesso, provetto muratore prima, capo mastro e infine imprenditore edile brolese, il “suo” rifugio, tra i boschi di Caronia , luoghi di funghi e cingiali.
Una zona impervia, senza luce, nè acqua corrente, senza riscaldamento che poi divenne da capanno di caccia, luogo ideale per passarci sia l’inverno che d’estate giornate con la famiglia e con gli amici.
Infatti s’ingegnò a portaci l’acqua dl una sorgente lì vicino, a riscaldarla con il grande camino, e illuminarla con l’aiuto di un generatore.
Un capanno prima spartano, ma poi sempre più accogliente, raggiungibile attraverso una impervia strada sterrata, che ad ogni stagione ripuliva da frane e sterpi, dove incontrava volpi e istrici, che si erano abituati a vederlo transitare, sentendolo quasi uno di loro.
Don Nunzio, sposato e padre di due figli, amava star in quei luoghi, a contatto con la natura.
Una passione trasferita ora al figlio Nino, che in quel fazzoletto di terra dentro il bosco, difficile da raggiungere, ora, ci va regolarmente, nel suo ricordo, rammentando le sue parole, i suoi insegnamenti, la sua coerenza e la sua onestà da uomo e padre probo.
Così la famiglia ha voluto ricordando, con una grande stele in pietra, opera del Maestro Alfredo Iraci, amico di famiglia, che l’ha realizzata.
Un omaggio a lui e alla sua “terra”, quel bosco di Caronia, aspro ma ricco di verde e di scoperte che ne accoglieva le risate ed il sapore del buon cibo che ama cuocere per gli amici che avevano l’onore di esser accolti nel rifugio di Don Nunzio.
Qui la natura è perfetta, incontaminata, rispettata, prima da Don Nunzio ora dai suoi familiari, quando ci vanno, che hanno stabilito particolari patti con chi in quei sottoboschi ci vive – gli animali nel sottobosco – ed i rapaci che lo sorvolano, inquietanti, ma splendidi, dall’alto.
Un particolarissimo regno dove si possono vivere esperienze incredibili, fare incontri quasi mistici con chi ha deciso di far tra le rocce il suo eremo e che vive senza luce, senza alcun tipo di riscaldamento, sfruttando l’acqua di torrenti che scorrono tra i faggi e le radure del bosco.
Quando d’inverno veniva la neve, questa zona del Parco, che dal rifugio di Giuffrè, in pochi attimi conduce a quota 957 slm per poi portare a lago Zilio, e che mantiene sulle mappe nomi evocativi quali “casa scansavento”, “portella scoriavacca”, “portella Cerasa”, “monte Trefinaidi” e che con le sue scorciatoie, note a pochi, porta a Capizzi,, scavalcando quota 1.350, Don Nunzio vi giungeva, felice come un bambino, si accucciava per la battuta di caccia, ma quella alla fine era la scusa per andarci, si soffermava a guardasi intorno, diceva che ci voleva la maglia di lana anche d’estate, e poi raccontava, e lo amava fare, sul lungomare brolese, agli amici, delle sue avventure e della bellezza di quei luoghi.
Conosceva gli allevatori, i pastori, e spesso a loro portava dolci e buon vino, uniti dal comune senso di rispetto dei luoghi e della parola data.
Ora, da quando lui è andato via, quando ci si sale, riordinando il cortile battuto dal vento, rimettendo a posto la palizzata, e rimandando a regime la cucina, dove amava tener in perfetta fila pentolini e scodelle, buone per riscaldare il latte appena munto, c’è purtroppo silenzio, anche se i nipoti cantano e ridono, lasciandosi dondolare sull’amaca che lui aveva realizzato proprio per loro. C”è silenzio. Manca il suo tipici parlare, la sua risata, il suo saggio sapere.
Per chi legge e non consce – non avendo avuto l’opportunità di incontrarlo – Don Nunzio è bene sapere che è stato uno dei personaggi più conosciuti e caratteristici della storia recente del paese.
Nunzio Giuffrè, classe 1931, era infatti famoso in tutto il comprensorio nebroideo per le sue passioni, la sua straordinaria visione della vita, la sua personalità.
In quell’angolo di marciapiede, tra la via Marina ed il lungomare, accanto al “Gattopardo”, dove amava stare seduto a farsi accarezzare dalla brezza marina, con la sua immancabile “MS” tra le dita, osservando lo scoglio di Brolo, nessuno sfuggiva al suo saluto, all’invito per un caffè, al commento galante, al giudizio sui fatti del giorno.
Apparteneva a quella generazione venuta fuori con fatica dalle macerie sociali della seconda guerra mondiale, culminata nel 1943 con lo sbarco, a Brolo, degli Alleati, Nunzio Giuffrè ha dovuto guadagnarsi da vivere sin da giovanissimo in un piccolo paese la cui economia era fondata sul latifondo e sulla piccola borghesia terriera, e quindi in mano a pochissimi “potenti”, e c’è voluto del tempo prima che quel sistema venisse superato.
Egli è stato tra i primissimi a dedicarsi, da artigiano, all’edilizia, divenendo poi, senza peraltro mai ricorrere a strategie speculative, un piccolo e stimatissimo imprenditore del settore.
Come tanti volenterosi ed intraprendenti giovani di allora, si dà da fare rimboccandosi le maniche per gestire un’attività in crescita, dimostrando un’impareggiabile maestria nel realizzare manufatti in muratura di pietrame o mattoni.
Unisce alla sue passioni, la grande generosità ed il senso di condivisione dei momenti piacevoli con parenti ed amici, ai quali riservava talvolta anche incredibili scherzi, che segneranno il ricordo nella mente di tutti coloro che l’hanno conosciuto e frequentato. Nei “ruggenti anni ‘60”, quando invero Brolo aveva ben poco di che ruggire, Nunzio Giuffrè è stato il primo a comparire in paese con un fantastico motoscafo fuoribordo, 40 cavalli o giù di lì, permutato attraverso un’operazione con un ricco americano che dovette rientrare oltreoceano. Fu così il primo, così, ad assaporare l’esclusivo (è proprio il caso di dirlo, visti i tempi) “caffè a Vulcano” assieme agli amici che di tanto in tanto ospitava in barca, con rientro immediato sul litorale brolese. Sempre in quegli anni, fu il primo a possedere la leggendaria Giulia Alfa Romeo 1300, a bordo della quale percorreva, rombando, le vie di Brolo e dintorni.
Per il resto, le passioni della sua vita, praticate fino all’ultimo con grande intensità, sono state la caccia e la pesca, anche ad alti livelli; le escursioni, sia a piedi che sulle jeep, lungo i sentieri dei Nebrodi che da Monte Soro a Floresta, lungo le dorsali del Biviere, fino a Caronia non conoscevano segreti per lui sempre alla ricerca di funghi, di cui era grande esperto. Da qui la voglia di costruirsi il rifugio tra le sugheraie sui Nebrodi.
E’ stato un uomo che ha saputo vivere, affrontando le sfide con passione e coraggio, ricorrendo talvolta anche ad una giusta dose di ironia.
E’ stato sicuramente un “bel” brolese.
fotoalbum
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PIPPO LIONE – E’ morto questa notte un “Signore” della politica brolese
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DEDICHE E RICORDI – A Brolo tutti pronti per il Torneo dei Tornei di Tennis
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LA MORTE DI PIETRO MIRAGLIA – IL GIUDICE BROLESE SI È ACCASCIATO DURANTE UN’UDIENZA. INUTILI I SOCCORSI
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STORIE BROLESI- Foto che fissano brindisi e incontri aziendali di fine anno, ma che dicono molto di più
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