Una breve nota, quella del consigliere comunale Gaetano Scaffidi che amplifica quanto si legge in questi giorni suoi social, il disagio avvertito nel non aver i dati sui contagi, sull’andamento dell’epidemia a Brolo.
Di certo c’è una grande scusante, il fatto che l’esecutivo, a Brolo è stato di fatto è stato azzerato nella sua operatività dal confinamento a casa, tra obbligatorio e preventivo, ma forse anche questo non basta, come anche il fatto imputabile alla non fluidità dell’informazione da parte degli apparti medici, ormai anche loro al collasso operativo.
I dati sono importanti e non solo sotto il profilo numerico.
Gaetano Scaffidi, evidenzia il suo dire, puntando l’indice sul bollettino quotidiano pubblicato da un comune nebroideo, quello di Raccuja, sulla situazione Covid in quel paese.
“Ovviamente – scrive Scaffidi, questo – il bollettino – è accompagnato da un testo che illustra nel dettaglio la situazione. E aggiungendo sottolinea:”È molto simile a quella che giornalmente pubblicano praticamente tutti i Comuni limitrofi. Ed è quello che ritengo debba fare il Comune di Brolo”.
Il consigliere comunale aggiunge: “Senza volere alimentare polemiche o fare strumentalizzazione. Chi amministra ha il diritto ed il dovere di fare delle scelte e di prendere le decisioni che si ritengono più opportune a tutela della salute pubblica, è giusto così. Altresì ha anche il dovere, in un momento molto particolare come questo, di informare, in maniera esaustiva, la cittadinanza. Cittadinanza brolese che a mio modo di vedere si sta comportando in maniera assolutamente esemplare, con assoluto rispetto delle regole e con grande senso di responsabilità”.
Di fatto sembra che già domani il comune brolese sarà pronto a dar dati e la giusta, quanto costante, informazione.
Intanto cresce l’inquietudine, tra la gente, alimentata da fonti e voci, incontrollabili, ma anche fatta da “certezze”, che non certificate, rimangono nel limbo del non detto o del chi con un laconico “qui lo dico e qui lo nego” racconta dati, fatti, persone, luoghi, creando ancor più inquietudini.
Che ben venga la corretta informazione, istituzionale, magari asfittica, (a volte quasi criptica), ma certa.
Ma soprattutto che ben venga il rispetto delle norme, delle regole.
Non farlo vuol dire il “non” rispetto di uno dei più supremi valori, sia umani che costituzionali: la salute.
Il rispetto delle misure imposte, dal governo, dalle regioni, dal nostra stessa intelligenza, appare, anzitutto, una faccenda etica, coinvolgendo la salvaguardia sia della propria persona che degli altri consociati, in considerazione del bene che potrebbe risultarne compromesso. Ma se la coscienza non basta entra in campo la legge con pene severissime.
E vogliamo rammentare, a parte quelle che evidenti, sull’uso della mascherina, sulla mobilità anche sul rischio contagio.
Chi ha sintomi e non si mette in quarantena, commette un reato.
Contrarre la malattia non è nè infamante, nè qualche cosa della quale vergonarsene.. ma solo da curare. Essere consapevoli di poter essere positivo, ci deve indurre a mettere in atto comportamenti di salvaguardia, aver la certezza di essersi ammalato e non andare in isolamento, seguendo la profilassi sanitaria e amministrativa è un reato gravissimo.
Ogni giorno i mass media elencano i sintomi caratteristici del Covid-19 (tosse, febbre, affanno, ecc.). Chi presenta tali sintomi deve avvertire le Autorità sanitarie (telefonando ai numeri dedicati all’emergenza epidemiologica) e mettersi in quarantena. C’è il divieto di uscire di casa per chi ha sintomi da infezione respiratoria e febbre maggiore di 37,5°, in caso contrario rischia, oltre all’imputazione per violazione dei provvedimenti dell’autorità, l’imputazione per lesioni personali volontarie, nella forma consumata o tentata, come pure l’omicidio doloso. Più in dettaglio, se la condotta, sorretta dal dolo eventuale, e quindi tramite l’accettazione del rischio di contagiare altri, cagioni lesioni o addirittura la morte, l’imputazione si eleva a lesioni personali e fino all’omicidio doloso. Identica pena si applica a chi ha avuto contatti con persone positive al virus e prosegue ad avere rapporti sociali, oppure a lavorare con altri individui senza adottare precauzioni o informarle.
Chi nasconde di essere positivo
La fattispecie è stata già ampliamente elaborata dalla giurisprudenza per i malati di HIV che, nella consapevolezza della contagiosità della patologia di cui sono portatori, e quindi con intenzione (dolo diretto) non adottano le necessarie cautele per evitare il contagio. Similmente, chi è consapevole di avere il coronavirus ma non lo dichiara, contravvenendo alle regole di isolamento domiciliare e quarantena, oltre all’imputazione ex art. 650 c.p. (Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità), rischia l’imputazione di lesioni personali e di omicidio volontario, anche solo nella forma tentata. Più precisamente, qualora dolosamente si ponga in contatto con altri soggetti, e a causa di tale condotta ne provochi la morte, rischia le severissime pene (fino a 21 anni di reclusione) per l’omicidio volontario.