“A chi Alain Delon? A noi!” L’etichetta di fascista al più bello del cinema infiamma Cannes
E se il fascismo diventasse bello? Come Alain Delon, per esempio?
Forse pensava proprio a lui Sylvia Plath quando ad un’amica scrisse che, in fondo, «ogni donna ama una fascista».
È un po’ ne è convinta anche un’icona del femminismo senza frontiere come Natalia Aspesi che ha maternamente rimbrottato le erinni di Women and Hollywood impegnate in un corpo a corpo con la giuria del Festival di Cannes che non ne vuol sapere di revocare ad Alain Delon il Leone d’oro alla carriera, nonostante le stesse erinni di cui sopra lo “accusino” di essere «amico di Jean Marie Le Pen e quindi fascista».
«È fascistissimo, ma cambiate bersaglio», ha avvertito la Aspesi dalle colonne di Repubblica.
Difficile darle torto.
Ai simboli non si fa la guerra. Soprattutto se, come Delon, evocano desideri inconfessabili e mai sopiti rimpianti.
La scrittrice non lo dice, ma lo fa capire: sarebbe un autogol prestare al “mostro fascista” il volto, ancorché invecchiato, di un divo che ha fatto sognare ad occhi aperti milioni di donne.
Mica come lo sfratto corrivo di un minuscolo editore dal Salone del libro di Torino.
Ma ormai l’assist involontario è partito e sarebbe un delitto non schiacciare la palla: inchiodiamo perciò Delon alla croce del fascista e portiamolo in processione.
Sì, il protagonista del Gattopardo è più “nero” di Calimero.
Gli piacciono solo le donne, aborrisce le nozze gay e userebbe il lanciafiamme contro chiunque se ne vada in giro per il mondo a caccia di uteri a noleggio. È virile, individualista, adorabile canaglia quanto basta per alzarsi di mezza spanna sulle anonime masse di mezze maniche e travet.
Alain Delon, uno di noi.
Tratto dall’interessante articolo di Marzio Dalla Casta
E’ stato un giovane ribelle, eppure oggi più che mai, Alain Delon, andando oltre i suoi 83 anni, si conferma convinto in maniera granitica di scelte e idee fin qui praticate e rivendicate, anche a costo di sollevazioni popolari. E adesso (è nato l’8 novembre 1935 a Sceaux nell’Alta Senna) si ritrova ad affrontare la sfida più difficile del suo lungo autunno da “patriarca solitario”: sopravvivere al suo mito di duro e puro, nella vita e nel cinema, senza farsi schiacciare.
Alain Delon
Connotati angelici e sguardo glaciale, uniti a modi decisi e oggi anche a tratti burberi, hanno contribuito alla nascita del mito cinematografico di Delon che, negli anni, si è nutrito dei successi riscossi con i ruoli da duro, seducente quanto impavido; del protagonista dal destino tragicamente segnato, antieroe per vocazione sia che sul grande schermo militasse tra i malavitosi marsigliesi, sia che il copione lo volesse nei ranghi della polizia parigina.
Eppure oggi, dopo i ritratti intramontabili resi in Borsalino, Il clan dei marsigliesi, Il Gattopardo, (solo per citare qualche titolo del suo lungo e blasonatissimo palma res di successi cinefili e di riscontri popolari), si ritrova, ancora una volta, a dover sconfiggere l’ombra della depressione; l’incubo dell’angoscia del tempo che passa, e il fantasma scomodo dei francesi che continuano a non accettare le sue idee conservatrici, da lui sempre rivendicate a dispetto di tutto e di tutti, anche in epoche non sospette, quando magari poteva essere davvero scomodo dichiararsi “a destra”.
Idee, le sue, sulla vita e sul mondo, ribadite una volta di più – e non semplicemente a maggior ragione – all’indomani dei recenti successi elettorali ottenuti dal Front National di Marine Le Pen.
Delon e l’endorsment al Front National
Basterebbe, allora, ricordare come, solo recentemente, intervistato dal quotidiano svizzero Le Matin, Delon abbia esultato perchè, a suo dire, «il Front National non è più solo» e perchè «la gente non ne può più che gli si parli come fanno oggi. Vogliono l’azione, vogliono un’altra cosa». E soprattutto, non vogliono accettare l’endorsment di Delon al Fn. Di più: non perdonano all’attore di aver sotenuto e ripetuto a più riprese come «l’ascesa sia del Mcg (Movimento dei cittadini di Ginevra) in Svizzera, sia del Front National in Francia, sia del tutto edificante. Le persone hanno conosciuto una Francia diversa sotto De Gaulle o sotto lo stesso Mitterrand. Ecco perché Mcg e Front National hanno un posto così importante, e questo io l’approvo, lo sostengo e lo comprendo perfettamente». Insomma, i francesi proprio non perdonano al loro attore simobolo il suo essere firamente conservatore. Non digeriscono le reiterate dichiarazioni di stima da lui rivolte a Marine Le Pen. Quel suo dimostrarsi politicamente scorretto tanto da arrivare a dire apertamente: «Approvo e sostengo l’ascesa alle Europee del Front National di Marine Le Pen». Il coraggio delle proprie idee, insomma, non è apprezzabile solo quando viene da destra?
Sembrerebbe proprio così: e a conferma, dopo l’assist al FN costato l’ostracismo del pubblico francese a Delon, è arrivato negli ultimi mesi anche lo sdegno rilanciato dai paladini delle nozze gay, resi furiosi dall’attore che, con la solita proverbiale franchezza, a riguardo è arrivato a dichiarare senza filtri diplomatici o veli di ipocrisia ideologica, di trovare «innaturale l’omosessualità». Evidentemente, allora, porsi al di fuori degli schemi dell’autorità “morale” della sinistra non paga: e la “gauche” d’oltralpe è tornata a dichiarare guerra al mitico istrione, aggiungendo il suo nome alla lista nera dei “nemici” da sconfiggere. Una lista di cui, guarda caso, fa parte anche la mitica BB.
La vita, la carriera, la vecchiaia
Per quanto concerne invece argomenti più propriamente spettacolari e tempi recentissimi, per amor di cronaca non possiamo non ricordare che l’attore divide spesso la scena teatrale con la giovane figlia Anouchka; che si è riconciliato con il primogenito Anthony, che ha regalato agli amici la maggior parte degli oggetti che scandirono i suoi trionfi e venduto la maggior parte delle sue proprietà. Che vive in solitudine tra la Svizzera (di cui è cittadino dalla metà degli anni ’90) e la Francia profonda, nella vasta proprietà dove ha sepolto i suoi cani (ben 45) e ha preparato la cappella funebre per sé e per le donne e i figli che vorranno ritrovarlo, un’ultima volta. Insomma, non possiamo non sottolineare, sempre per amore di cronaca, come sia un crepuscolo tormentato quello che sta vivendo da qualche tempo a questa parte uno dei volti simbolo della Francia; uno degli indiscussi protagonisti della scena cinematografica internazionale, figlio del piccolo proprietario di un cinema di provincia e di una farmacista, abbandonato dai genitori divorziati ad appena quattro anni. Dato da piccolo in affidamento, cresciuto da giovane ribelle, costantemente punito a scuola, insofferente della disciplina ma capace di canalizzare energie e talento nella passione per il cinema. Un uomo, un attore, un mito…
Dal fatto quotidiano scrive Davide Turrini
Cannes 2019, Alain Delon: ritratto della Palma d’oro alla carriera. Amori, successi, cani e amicizie scomode
Va bene, Jean-Marie Le Pen lo conobbe nel 1954 in Indocina quando erano soldati in fuga dai vietnamiti vincitori. Amici, spesso d’accordo, mille altre volte no. Delon ha poi ricevuto onorificenze professionali nazionali da un ministro socialista come Jack Lang, ha poi espresso vicinanza politica con De Gaulle prima e i gollisti degli anni novanta poi, ma ha anche dichiarato diverse volte di aver parteggiato per candidati socialisti come Jospin e Anna Hidalgo come sindaco di Parigi. Con Marie Le Pen, inoltre, i rapporti sono pessimi. E allora? E allora il samurai di Melville, il duro dagli occhi d’acciaio, non era un progressista per natura in un paese ampiamente gollista, quindi antifascista, da 60 anni. E poi cosa chiedere a un attore all’apice della fama internazionale che si incaponisce per produrre nel 1976 con la sua casa di produzione Adel un capolavoro sull’olocausto come Mr. Klein, diretto da un regista dichiaratamente omosessuale come Jospeh Losey? Mr. Klein sarà un insuccesso di pubblico clamoroso, ma Delon andrà sempre fiero di questa scelta.
Madame e monsieur, tourner la page. “Ciò che sono è frutto del caso”, spiegava l’attore dall’infanzia infelice nato in un paesino della campagna, genitori separati, bambino letteralmente badato dalla moglie di un signore che lavorava dentro a un carcere, collegi cattolici assortiti nell’adolescenza. Si racconta perfino che quando da ragazzo spiantato passava per Pigalle a Parigi le “belle di notte” lo rifocillassero con minestre e letti caldi. Il magnetismo animale, lo sguardo malinconico, il dolce ed irrequieto Alain fece perdere la testa ad un notorio comunista come Luchino Visconti. Ed è a questo corto circuito che dobbiamo la sua esplosione definitiva quando gli anni sono a malapena 30: Rocco e i suoi fratelli, dove è l’immigrato pugile che piange addolorato dell’odio che prova all’improvviso e che scarica con pugni micidiali, e Il Gattopardo dove è un impetuoso Tancredi.
Delon, si sappia, muore 27 volte al cinema. E in nessun caso resuscita. Dicevamo dei tragici noir a cui si sottopone incontrando un sinistro e crepuscolare senso di morte grazie a Jean Pierre Melville con cappello da cowboy: Frank Costello faccia d’angelo (Le samourai), Le cercle rouge, Un flic. Delon è all’apice della sua bellezza e del suo successo proprio durante gli anni della contestazione, sdraiato in costume da bagno e occhiali da sole sul bordo de La piscina di Deray.
Nel 1970 fa coppia con il collega/rivale Jean Paul Belmondo in Borsalino. Belmondo più guascone e fisico da lotta greco romana, Delon comunque robusto ma più proporzionato e aggraziato. Cappotto cammello, barba incolta e tormento interiore sarà un professore riminese ne La prima notte di quiete di Zurlini, poi l’intuizione della Adel Production che gli permise un discorso di autonomia e indipendenza tra il chapliniano e il truffautiano. L’incontro e la prima esperienza con il “patron” Jean Gabin era già avvenuta in Colpo grosso al casinò (1963), quando Delon sarebbe costato troppo per la produzione di Henri Verneuil e così propose di lavorare gratis con solo i diritti per l’estero del film. Ma con la Adel, Delon nel 1973 si toglierà lo sfizio di arruolare Gabin in un film da lui prodotto e recitarci (Due contro la città di José Giovanni).
Poi chiaro, prima degli anni ottanta con Godard, Schlondorff e Jacques Deray, Delon finisce nel gorgo dell’omicidio di Anton Markovic, la sua guardia del corpo uccisa nel 1968 da qualcuno che tutt’ora risulta ignoto.
Per quell’occasione nefasta si scoprì che Delon era intimo amico di Francois Marcantoni, colui che venne subito additato come colpevole (e scagionato nel ’76). In mezzo sembrava ci fossero foto compromettenti della moglie dell’allora primo ministro George Pompidou. Marcantoni venne dipinto come un delinquente senza scrupoli anche se si venne poi a sapere che nel ‘43 aveva fatto la Resistenza ed era stato pure torturato dalla Gestapo. Marcantoni del resto era amico fraterno anche di “Bebel” Belmondo. Fatecelo ricordare, allora, il misogino, razzista e omofobo Delon 83enne mentre abbraccia e sbaciucchia i suoi cani. Dieci, venti, trenta.
La carica dei 101. Trentacinque il numero delle lapidi dei cani sepolti tra i 58 ettari della sua splendida tenuta a Douchy nel Loiret. Alain, oggi malato di cuore, piuttosto triste e solitario, ha anche detto che vorrà essere inumato nella cappella di fianco a loro. E che il piccolo Loubo dovrà morire tra le sue braccia con profondo sconforto degli animalisti. “Se muoio prima io lo farò sopprimere, voglio che muoia con me”. Il cinema l’ha salvato dalla morte, ha spesso raccontato Delon. Speriamo allora che attenda ancora un po’.
Magari in attesa del film definitivo, quello dell’addio che ancora non c’è stato. Oltre le polemiche idiote c’è un attore inimitabile. Lasciatecelo guardare e ricordare soprattutto quando in primo piano fissa stringendo un po’ quegli occhi glaciali la cinecamera. È storia del cinema scolpita nella memoria.