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LA PALESTINA E L’OCCIDENTE – Un conflitto senza fine e nuove battaglie geopolitiche

La questione palestinese, così radicata nella storia del Medio Oriente, continua a suscitare un acceso dibattito e profonde divisioni geopolitiche.

una riflessione sulla geopolitica contemporanea

Fin dalle sue origini, la lotta per la Palestina ha rappresentato uno dei conflitti più emblematici e complessi della storia moderna, spesso accompagnato da incomprensioni e pregiudizi. Guardando al passato, si potrebbe immaginare che molti avrebbero sostenuto i Filistei, già al tempo delle antiche invasioni, quando una tribù rivendicava quella terra come propria, dichiarandola “promessa” da un dio.

Già… la Palestina, il suo popolo.

Il conflitto che oggi conosciamo ha assunto una forma tragica e devastante soprattutto a partire dal 1967, con la Guerra dei Sei Giorni e la conseguente occupazione israeliana di vaste porzioni di territorio palestinese.

Da allora, la Palestina è stata vittima di continui attacchi, occupazioni, e una progressiva erosione del suo territorio. Le guerre e le battaglie tra sionisti e palestinesi, dal Libano alla Cisgiordania, da Gaza a Gerusalemme, hanno segnato il destino di milioni di persone.

Nel corso di questo sanguinoso conflitto, alcuni protagonisti internazionali hanno cercato di dare voce al popolo palestinese, spesso in condizioni di isolamento o indifferenza.

Roger Coudroy, militante della Giovane Europa e guerrigliero tra i fedayn palestinesi, cadde nel 1967 durante una delle prime azioni armate di Fatah, testimoniando l’impegno internazionale per la causa palestinese. E nel 1969, in Italia, venne fondato il Comitato di Solidarietà con il Popolo Palestinese, un’iniziativa che vedeva tra i protagonisti anche Wail Zwaiter, rappresentante del movimento palestinese in Italia, poi assassinato dal Mossad. All’epoca, sostenere la causa palestinese significava spesso essere una voce nel deserto, in un contesto politico internazionale dominato da visioni parziali e da profonde divisioni ideologiche.

Negli anni successivi, la kefiah palestinese è diventata un simbolo trasversale, adottato sia dai movimenti di sinistra che da quelli di destra in segno di solidarietà. Tuttavia, dietro il simbolismo e il sostegno emotivo, la tragedia della Palestina è rimasta costante, con guerre, invasioni e occupazioni che hanno continuato a ripetersi. Da Intifada a Intifada, la sofferenza del popolo palestinese è diventata un elemento centrale della narrazione geopolitica globale, culminando nell’odierna situazione, in cui si parla sempre più di una “soluzione finale” e di pulizia etnica a Gaza e in altre aree.

Parallelamente a questa lotta, un’altra sfida geopolitica si è intensificata sul fronte europeo e mondiale: quella tra l’Occidente e la Russia.

Mentre il Medio Oriente continua a essere teatro di conflitti, l’Europa e la Russia sono coinvolte in una nuova guerra, questa volta più sottile e complessa. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, molti hanno tentato di ridurre la Russia a un semplice giocatore subordinato nella scacchiera internazionale. Tuttavia, la Russia di oggi, sotto la guida di Vladimir Putin, si è riscoperta come una nazione forte, che ha riaffermato le proprie radici e la propria identità storica.

Il ritorno della Russia come potenza internazionale ha scosso gli equilibri, soprattutto di fronte a un Occidente democratico che, con le sue politiche di espansione atlantica e le sue rivoluzioni “colorate”, ha cercato di imporre la propria visione di democrazia e diritti umani. Il conflitto in Ucraina rappresenta il culmine di queste tensioni, con l’Occidente che, attraverso la NATO, conduce una guerra per procura utilizzando la “carne ucraina” per contenere l’avanzata russa.

In questo quadro, l’anglosfera, dominata dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, si configura come un blocco imperialista e neocoloniale che cerca di mantenere la propria egemonia globale. Dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Siria all’Ucraina, l’Occidente ha intrapreso una serie di guerre che hanno dimostrato, a più riprese, i limiti del suo modello di intervento. La ritirata dall’Afghanistan e l’incapacità di stabilizzare l’Iraq sono esempi evidenti di una strategia fallimentare.

Tuttavia, il vero pericolo risiede nella crescente possibilità di un confronto nucleare. Le tensioni in Europa orientale, con la Russia da una parte e la NATO dall’altra, stanno portando il mondo sempre più vicino a una catastrofe globale. In questo contesto, qualsiasi passo che possa indebolire l’imperialismo occidentale è visto come un atto necessario per garantire la pace e la stabilità.

Mentre l’Occidente continua a sventolare la bandiera della democrazia e della libertà, molti vedono in queste azioni un chiaro tentativo di mantenere il controllo su aree strategiche e risorse. Non sorprende quindi che diverse iniziative di pace con la Russia, anche piccole, siano state boicottate da esponenti della sinistra “radicale” o da forze politiche che si autodefiniscono “democratiche”.

Oggi, nel mondo globalizzato e frammentato in cui viviamo, la questione palestinese e il conflitto tra Russia e Occidente rappresentano due facce della stessa medaglia: una lotta per la sovranità e l’indipendenza contro un potere neocoloniale che si traveste da esportatore di libertà.

Le voci che si levano contro questo sistema, per quanto isolate e ostacolate, restano fondamentali per mantenere accesa la fiamma della verità e della giustizia. Che si tratti della Palestina, della Russia o di qualsiasi altro popolo oppresso, l’importanza di queste battaglie risiede nella difesa della libertà e della dignità umana.

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Redazione Scomunicando.it

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