Adesso che la Corte Costituzionale ha ammesso due dei tre quesiti sull’acqua la campagna referendaria entro nel vivo. Nel mese di giugno saremo chiamati ad esprimere una scelta importante, a decidere su un bene essenziale.
Grazie a milione e quattrocentomila donne e uomini che hanno sottoscritto i referendum, l’intero popolo italiano sarà chiamato a pronunciarsi su una grande battaglia di civiltà: decidere se l’acqua debba essere un bene comune, un diritto umano universale e quindi gestita in forma pubblica e partecipativa o una merce da mettere a disposizione del mercato e dei grandi capitali finanziari, anche stranieri.
Noi pensiamo che i referendum siano un’espressione sostanziale della democrazia, attraverso la quale i cittadini esercitano la sovranità popolare su scelte essenziali della politica che riguardano l’esistenza collettiva.
L’acqua è oggi minacciata dai cambiamenti climatici, da un modello economico insostenibile, dai processi industriali aggressivi.
Ma soprattutto l’acqua è sotto attacco da parte di chi vuole privatizzarla, gestendola come una merce qualsiasi per un tornaconto monetario.
Acqua come fonte di guadagno per pochi invece che fonte di vita per tutti.
L’acqua ci appartiene ma appartiene anche alle generazioni future, difenderla significa difendere se stessi, le nostre speranze, il nostro futuro, la vita stessa.
Senza acqua non c’è vita: ciò basta per escludere le risorse idriche dalla sfera di un commercio senza regole.
Noi abbiamo pensato che fosse possibile risolvere i problemi con la politica, che quest’ultima fosse al servizio del bene comune, del bene pubblico.
Invece la politica ha concepito una norma inaccettabile, ed ha addirittura dimenticato alcune regole fondamentali del libero mercato e cioè che bisogna essere liberi non solo di vendere, ma anche di comprare.
Ma se qualcuno possiede qualcosa di indispensabile per la stessa esistenza, allora la liberta di acquistare non esiste.
L’acqua, l’aria, le sementi, la salute, l’educazione, la fertilità dei suoli, la bellezza dei paesaggi, la creatività, non possono essere assimilate alle altre categorie di merci.
Il diritto ha bisogno di nuovi paradigmi per gestire “beni comuni”.
Se i beni comuni diventano proprietà di qualcuno, tutti gli altri ad esclusione di quel “qualcuno” ne avranno un danno e la loro vita sarà in pericolo. I beni comuni sono “a titolarità diffusa”, appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive. Devono essere amministrati muovendo dal principio di solidarietà.
Incorporano la dimensione del futuro, e quindi devono essere governati anche nell’interesse delle generazioni che verranno.
Adesso siamo a questo punto: esiste una norma che rende l’acqua privatizzabile, con il referendum possiamo cancellarla.
Occorre però che vadano a votare almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto.
Nelle ultime elezioni gli aventi diritto al voto erano 47 milioni, approssimativamente è necessario che circa 25 milioni di cittadini si recano alle urne per votare.
Certo prima di fare questo è importante che siano informati, che sappiano dove informarsi, che capiscano che questa è una battaglia importantissima.
Occorre iniziare a far da noi.
Usciamo insieme da questo pantano, creiamo in ogni comune un soggetto nuovo a cui fare riferimento per informare e difendere i cittadini sull’importanza dei beni comuni.
Oggi lavoriamo sull’acqua, ma le emergenze non mancano; dalle scelte sul nucleare, alle emergenze delle strade ai paesi pieni di rifiuti, dalla mancanze di materiale nella scuola a cominciare dalla carta igienica, dalle polveri sottili nell’aria, ecc.
La politica dei partiti non esiste più e in questa fase non ha le energie culturali necessarie per invertire la rotta.
Occorre, quindi, che i cittadini si attrezzino indipendentemente dalle bandiere e dalle sigle; non è importante il cappello che portiamo ma le idee che abbiamo, le azioni che sappiamo produrre.
Dobbiamo muoverci abbiamo bisogno di strutture leggere, legati ai municipi, alle parrocchie, a tutti i luoghi dove si può parlare, trasmettere l’importanza della battaglia a tutela di un interesse di tutti .
Occorre che tutti i territori si mobilitano, sia i paesi che le grandi città perchè solo così potremo portare 25 milioni di italiani a votare, 25 milioni di uomini e donne che renderanno validi i referendum e se la vittoria sarà del “sì” ciò porterà ad invertire la rotta sulla gestione dei servizi idrici e più in generale su tutti i beni comuni.
Teodoro Lamonica del Forum Regionale Acqua Pubblica
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