L’immane tragedia del Giappone e, qualche giorno, fa i “tremori” nelle faglie dell’area dello stretto hanno un punto in comune. Non certo nell’intensità, gli eventi sismici del Giappone rappresentano uno dei più forti terremoti in termini di energia sprigionata, mai storicamente registrati. L’elemento in comune è l’attivazione, in tutti e due i casi, di faglie sottomarine capaci di generare maremoti.
Chiarisco immediatamente l’enorme differenza dimensionale tra i diversi eventi, soprattutto per evitare quegli allarmismi che, nella nostra indole autocommiserativa, assumono sempre un carattere “Verghiano” di ineluttabilità cui non si accompagna una propositività costruttiva.
Le faglie attivate nel terremoto del Giappone hanno una lunghezza di centinaia e centinaia di chilometri. Quelle dello Stretto sono limitate, in lunghezza, ad alcune decine di chilometri. Nello Stretto, la magnitudo massima mai registrata ha raggiunto nel 1908 i 7.2 della Scala Richter, nel Giappone si è raggiunto il grado 9.0, superato storicamente soltanto altre 2 volte al mondo, nel Cile ed in Alaska. Si chiarisce ancora, per fare le debite proporzioni, che l’incremento di una unità di magnitudo corrisponde ad un incremento di energia rilasciata pari a circa trenta volte.
Oltre quindi all’enorme differenza di scala tra i massimi terremoti possibili storicamente nello Stretto e quelli accaduti in Giappone, si rileva l’effetto collaterale più catastrofico avvenuto in Giappone: il maremoto.
Già dopo il 1908, nella nostra cultura occidentale, tale fenomeno, indotto da un terremoto sottomarino, era conosciuto con questo termine.
La millenaria cultura Nipponica lo aveva, centinaia di anni fa, battezzato con un altro termine: Tsunami (onda nel porto). Termine che divenne drammaticamente noto anche da noi, dopo l’immane evento del 26 dicembre 2004 nell’isola di Sumatra. Centinaia di migliaia di morti, quasi tutti dovuti agli effetti di onde alte anche trenta metri.
Anche l’odierna tragedia del Giappone sottolinea l’impotenza umana nel contrastare un evento contro il quale non bastano le tecnologie antisismiche.
La maggior parte delle vittime anche oggi in Giappone è stata causata dallo Tsunami.
Contro questo fenomeno naturale l’unica prevenzione rimangono i sistemi di allarme, l’evacuazione dei centri abitati, il distacco delle centrali energetiche e l’interruzione delle linee di trasporto.
Anticipo con queste righe la descrizione delle attività di prevenzione possibili per tentare di ridurre gli effetti di un maremoto, rimandando ad una analisi di dettaglio l’attività di prevenzione per gli effetti dei terremoti, da attuare anche e soprattutto mediante l’adozione di efficaci piani di emergenza.
Tornando quindi al fenomeno Tsunami-Maremoto, l’evento è generato dal movimento di enormi masse d’acqua attivato da movimenti di faglie sottomarine.
L’odierno caso del Giappone è analogo quindi al fenomeno, in scala di gran lunga ridotta, avvenuto dopo il terremoto del 1908 nello stretto.
In effetti tra le cause del maremoto del 1908 alcune scuole di pensiero scientifico dibattono, tutt’oggi, su altre cause individuabili in frane sottomarine, sempre comunque innescate dal terremoto. Altre cause possibili di tali eventi sono le frane subaeree dovute ad eruzioni vulcaniche. L’onda anomala generata dallo Stromboli nel 2002 rientra tra tali eventi.
Infine i maremoti sono possibili a seguito di frane dovute a dissesti idrogeologici o comunque a dissesti sempre associati a terremoti che causano movimenti volumetrici violenti di grandi masse di terreno in acqua. (mare, lago, invaso artificiale).
In particolare, per completare la comprensione del fenomeno ed affrontare poi le tecniche di prevenzione possibili, deve preliminarmente chiarirsi che l’area dello stretto è suscettibile agli effetti di un maremoto causato da terremoti sottomarini che si verifichino nelle seguenti aree sismogenetiche del mediterraneo:
– Faglie attive nello Stretto;
– Faglie attive del basso Jonio;
– Faglie attive e vulcani dei fondali del Tirreno;
– Faglie attive dell’Egeo;
Con minore intensità i maremoti possono colpire lo stretto se prodotti da terremoti nel mediterraneo occidentale e nelle isole eolie.
Si chiarisce subito che, per avere l’attivazione di un maremoto significativo, l’energia sprigionata dal sisma deve essere di magnitudo maggiore di 6-6,5 scala Richter.
La conformazione ad imbuto dello stretto concorre poi al verificarsi di un brusco innalzamento delle acque a seguito di onde di pressione dovute ai citati forti terremoti generati nelle aree sismogenetiche sottomarine del mediterraneo o conseguenti a frane sottomarine di notevoli dimensioni.
Notizia di tali eventi nello stretto sono state riscontrate a seguito di uno studio effettuato qualche anno addietro dall’I.N.G.V., a seguito di una mia specifica richiesta, su un edificio monumentale di Messina, l’unico ancora in piedi in riva al mare e risalente a più di duemila anni fa.
Dallo studio della colonna stratigrafica dei terreni adiacenti al manufatto, sono stati individuati, in tempi storici, ben tre eventi accomunabili ad un maremoto.
Ai lettori, scoprire qual è questo monumento.
Torniamo ai maremoti di casa nostra.
L’altezza massima delle onde di maremoto registrata nello stretto sfiora i 10 metri nelle aree a sud della città, arriva a qualche metro nel tratto dell’area portuale e sul litorale nord fino a capo Peloro. Altezza sufficiente, in quest’ultimo sito, a sommergere l’intera penisola di torre Faro.
Chiarito innanzitutto che i maremoti possono essere generati da terremoti di elevata magnitudo è opportuno sottolineare un’altra peculiarità che certo non ci aiuta nella prevenzione.
Il tempo di arrivo delle onde di maremoto nel mediterraneo è praticamente nullo nel caso di eventi causati dall’attivazione delle faglie dello stretto, si allunga a circa 20 minuti nel caso di tsunami scatenati da terremoti nel basso jonio, 30 minuti per terremoti dell’Egeo.
Ma anche con tempi così limitati, causati dalla piccolezza del bacino del mediterraneo, molto può essere fatto ma, a tutt’oggi, non è stato posto in essere dalle Istituzioni di protezione civile preposte.
Qual è lo stato dell’arte dei sistemi di allertamento rapido (early warning) oggi in-esistenti nel mediterraneo ?
Alcuni anni fa è stata posizionata, curai personalmente l’individuazione del sito, la prima stazione meteomarina mediterranea, proprio a Messina, da parte di un’Università del Nord Italia. I segnali di tale stazione sono a tutt’oggi, in fase di settaggio da parte di questo Ente e quindi praticamente inutilizzabili per un sistema rapido di allarme alle popolazioni.
Un sistema a boe è stato messo a punto dal Dipartimento nazionale della protezione civile nel mare antistante la sciara del fuoco a Stromboli. Anche questo sistema è risultato poco efficace ai fini di un efficiente sistema di early warning.
Infine, varie attrezzature sono state varate, da diversi Enti di ricerca, nei fondali del basso tirreno e nel basso jonio. Tutti tentativi che hanno consentito l’affinamento delle tecnologie ma che, ad oggi, non hanno efficacia in termini operativi.
La problematica è così complessa, mi sono spesso sentito istituzionalmente rispondere, che non ha portato, ad oggi, gli Organi nazionali preposti, a mettere a punto un sistema di allertamento rapido a scala mediterranea.
Si, a scala mediterranea. Perché è solo questa la possibilità che abbiamo come popoli che vivono sulle diverse sponde dell’ex mare nostrum.
La brevità dei tempi di arrivo delle onde di maremoto richiederebbe un coordinamento a scala mediterranea con il posizionamento di sensori sottomarini in corrispondenza delle diverse aree sismogenetiche di competenza territoriale, da ovest ad Est: Marocco, Spagna, Francia, Algeria, Italia, Tunisia, Libia, Malta, Egitto, Albania, Grecia, Turchia, Libano, Israele.
Soltanto così, attraverso una regia sopranazionale potrà essere possibile far scattare gli allarmi con sufficiente, se pur breve, anticipo.
Ma quali sono, pertanto, tolte le sirene, gli sms e gli allarmi, ancora lungi dall’essere operativi, le possibilità di prevenzione che possiamo adottare.
Innanzitutto l’immediata reazione all’evento. Deve essere compreso che, lo abbiamo visto drammaticamente in questi giorni, per scampare all’onda assassina occorre salire di quota e pertanto, o allontanarsi dai litorali o salire nei piani alti degli edifici.
I nostri fabbricati infatti, costruiti con strutture in cemento armato, ove abbiano la capacità dissipativa di resistere al terremoto, dovrebbero rimanere in piedi a seguito di un sisma di magnitudo maggiore a 6 gradi Richter capace di attivare un maremoto nello stretto.
Esiste quindi una possibilità concreta di salvezza in quanto gran parte del tessuto urbano costruito nelle parti basse della città presenta strutture idonee a resistere, costruite con criteri antisismici già ampiamente descritti nei precedenti articoli.
Gli abitanti di queste porzioni urbane devono sapere quindi che, dopo un forte terremoto è possibile il verificarsi di un maremoto e pertanto devono salire ai piani alti degli edifici.
Il vademecum delle regole pratiche di autoprotezione dal maremoto prosegue con la prontezza di azione, nell’immediato allontanamento da moli, porti, spiagge, slarghi, piazze, strade di lungomare o prospicienti le aree portuali. Null’altro, allo stato è possibile fare da parte del semplice cittadino.
Le Istituzioni e gli Enti proprietari di centrali energetiche e reti di trasporto invece possono e devono fare molto altro.
I natanti e le navi alla fonda devono essere immediatamente allontanate dalla linea di costa, le linee ferroviarie e stradali costiere devono essere interdette, le centrali termiche disconnesse per evitare esplosioni ed incendi.
Le possibilità di scampo, come si vede, sono poche, ma la capacità di un popolo di reagire ad eventi così imprevedibili, sta proprio nel non credere nell’ineluttabilità degli eventi e, sopratutto, non pensare che l’aiuto o il soccorso debbano venire sempre e soltanto da fuori della nostra persona.
I primi ad avere il dovere e la capacità di reagire siamo noi che ora sappiamo !
Nessun alibi è più possibile.
Leonardo Santoro
Fonte tempostretto.it