L’Argimusco è un altopiano che si trova in Sicilia, poco a nord dell’Etna, all’incirca al confine tra i monti Nebrodi e i Peloritani, diviso tra i comuni di Montalbano Elicona, Tripi (che sorge sul sito dell’antica Abacaenum) e Roccella Valdemone.
L’altopiano si eleva ad un’ altezza superiore ai mille metri.
Su questo vasto pianoro s’innalzano enormi macigni (megaliti) di calcare che vento e pioggia hanno eroso, modellandoli in strane forme inquietanti.
Molto probabilmente si tratta di formazioni naturali ma la loro forma ha acceso la fantasia delle popolazioni locali.
Visibile da lunga distanza, l’Argimusco ha creato in molti l’idea che in passato sia stato un luogo sacro, dove si consumavano antichi riti propiziatori e di ringraziamento che rievocano riti e misteri persi nella notte dei tempi.
In ogni caso dall’altopiano si gode un panorama a 360° che spazia dalla costa tirrenica compresa tra Tindari e Milazzo, con le isole Eolie sullo sfondo, fino all’Etna dalla parte opposta.
Di: Sicilia Terra Di Suli Di Mari Di Ventu
Ci piace segnalare questo scritto. ed aggiungiamo per una maggiore conoscenza del sito, e non per confutare il testo, alcune note pubblicate sull’argimiusco, rimandando il lettore, se vuole, di scorrre nell’archivio di scomunicando per leggere i servizi sui solstizi proprio all’argimuisco.
tratto da “Nebrodi Eolie”
Un misterioso viaggio nel tempo… L’Argimusco è un altopiano situato poco a nord dell’Etna, al confine tra i Nebrodi e i Peloritani. In questa zona sorgono numerosi megaliti, antichi menhir, dolmen e maestose formazioni rocciose frutto dell’opera di popolazioni preistoriche e dell’azione del vento. Tra i megaliti più affascinanti si riconoscono l’aquila, la Dea, i simboli della fertilità…
Il sito megalitico dell’ Argimusco – dal greco “argimoschion” “altopiano delle grandi propaggini” – si estende su un vasto pianoro posto a 1200 metri sul mare in un’area a nord dell’Etna, al confine tra i monti Nebrodi e i Peloritani, a poche centinaia di metri dal Bosco di Malabotta, oggi Riserva Naturale Orientata. Il panorama che si gode una volta raggiunta l’area è stupefacente: a Nord lo sguardo, dopo essere planato su verdi distese di campi degradanti verso il mar Tirreno, raggiunge le Isole Eolie. A Sud, oltre la valle dell’Alcantara, è la maestosa mole del vulcano Etna a fare da scena ai menhir, alle sagome e ai volti di pietra che si ergono su questo pianoro inconsuetamente verdeggiante di felci anche in piena estate. Ad Ovest è possibile scorgere distintamente Capo Calavà sulla costa nei pressi di Gioiosa Marea, più in fondo Cefalù. Ad Est il Capo di Milazzo, che precede l’approssimarsi dello Stretto di Messina e più a Sud-Est l’inconfondibile Rocca di Novara di Sicilia.
Questo dell’Argimusco è probabilmente l’unico esempio di sito megalitico in Sicilia (in altre aree si rinvengono costruzioni analoghe ai cubburi, necropoli, ma mai realtà paragonabili a queste). Qui in epoche remote sarebbe stata localizzata una di quelle rare aree adibite alla celebrazione di riti primordiali o all’osservazione degli astri e dei cicli delle stagioni.
Sembra che già nel periodo preistorico ci fosse la presenza umana all’Argimusco; probabilmente fu abitato dai “Giganti”, prima popolazione della Sicilia, uomini robusti ed altissimi che praticavano la pastorizia e che preferivano abitare su delle alture per paura del diluvio vissuto anni prima dai loro avi.
L’ordine che segue è quello che corrisponde all’itinerario tracciato nell’altipiano, ma la loro posizione assume un significato particolare a seconda se la si consideri rispetto ai punti cardinali (con un’origine posta al centro ideale del complesso megalitico) o rispetto al massiccio considerato principale e cioè quello dell’Orante/Osservatorio Luni-solare. Le rocche dell’Argimusco sono frutto dell’opera umana o dell’azione dell’erosione eolica? Probabilmente di entrambe. Purtroppo gli studi condotti finora sull’area forniscono solo risposte approssimative, ma certamente affascinanti e nuove e approfondite indagini sarebbero davvero decisive per assegnare a questo luogo magico la sua giusta collocazione storico-sociale e ambientale.
Di seguito un elenco indicativo (non esaustivo), secondo l’ordine di disposizione lungo il sentiero che rende attualmente fruibile l’area.
Menhir Maschile e Femminile (dal bretone Men = Pietra e Hir = Lungo) ben visibili da due diverse prospettive (quello femminile va osservato preferibilmente da valle), simboli di fertilità e di nascita. il varco creato fra i due monoliti consente di osservare il sorgere del sole.
Il volto. Ci sono molte rocce che possono ricondurre a profili umani, ma alcuni sono più espressivi di altri.
l’Aquila, inequivocabile figura che nelle antiche tradizioni scorta le anime dei defunti alla loro dimora eterna. Non a caso il becco punta in direzione di un necropoli.
il Santuario – Pluviometro, una rocca caratterizzata da incisioni parallele utilizzate per la raccolta dell’acqua che veniva convogliata in delle vaschette, a scopo di misurazione ma anche per le cerimonie legate alla pioggia.
l’Orante, detta anche la Dea Neolitica (oggi, in linea con la nostra cultura cristiana: la Madonna), uno splendido profilo di donna in atteggiamento di preghiera, perfettamente delineata nei dettagli. L’aureola, il velo, il volto, le mani giunte, l’abito lungo. Questa figura mistica attira l’osservatore, ma più quest’ultimo si avvicina a lei più le sue sembianze svaniscono.
l’Osservatorio luni-solare (posto sullo stesso megalite dell’orante), un vero e proprio sestante perfettamente riconoscibile e funzionante, affiancato a una vasca per la raccolta dell’acqua.
la Grande Rupe, un maestoso megalite con un gigantesco volto, allineato all’orante con cui crea un varco da cui è possibile osservare il tramonto (che esalta il profilo della dea).
Le rocche incavalcate (Dolmen crollati di portella Calvagna. Dolmen = parola di origine mista, in parte bretone = Tre pietre – detta, infatti, anche Trilite).
Senza uno specifico significato mistico/religioso, sono i “Parti della Roccia”, considerati semplicemente delle forme di erosione che, lasciando intatti i nuclei interni della roccia, hanno dato risultati insoliti. Si presentano come sfere quasi perfette (o porzioni di sfere) che sbucano dalla roccia. Ce ne sono diversi sparsi nel sito.
Per saperne di più riproponiamo il testo
Le misteriose formazioni rocciose che si presentano in tutta la loro imponenza nei pressi del paese di Montalbano Elicona, in provincia di Messina, sono state interpretate da alcuni come semplice opera della natura, da altri come opera degli uomini neolitici di Sicilia in tempi molto antichi. Così le suggestive sagome della Vergine in preghiera, del volto maschile e dell’Aquila vengono considerate ora come bizzarri scherzi della natura, ora come l’opera di una misteriosa civiltà che lasciò altri esempi simili non solo in Italia ma in tutto il mondo. Curiosamente però i megaliti più notevoli di questa “Stonehenge italiana”, come definita da qualcuno, presentano precisi orientamenti agli equinozi ed ai solstizi…
Quando alcuni anni fa vennero scoperti i megaliti dell’Argimusco, una località poco distante da Montalbano Elicona, in provincia di Messina, il mondo degli studiosi si divise tra coloro che assegnavano un’origine assolutamente naturale e casuale alla forma e alla disposizione delle formazioni rocciose, e coloro che invece li riconducevano, in tutto o in parte, all’azione dell’uomo del neolitico.
Il luogo venne equiparato alle grandi strutture megalitiche dell’Europa settentrionale, come Stonehenge, Carnac, Skara Brae, ecc. mentre vi fu anche chi ne attribuì l’origine al mitico popolo dei Giganti, uomini di alta statura menzionati in molte fonti antiche. Vedendoli tuttavia sotto il punto di vista semplicemente della struttura e dei fenomeni astronomici, non si può fare a meno di riconoscere che i megaliti dell’Argimusco celino funzioni analoghe a quelle dei grandi calendari di pietra del nord Europa, e dunque una storia antichissima e sconosciuta.
Il luogo innanzitutto è inserito in un vero e proprio “spazio sacro” che va ben al di là del principale raggruppamento di pietre. Sorge su di un altopiano a 1200 m. sul livello del mare, le cui coordinate esatte sono 37° 59′ N, 15° 2′ E. Esattamente a sud – al centro di due basse colline – si staglia la parte sommitale del cratere dell’Etna. In direzione degli altri tre punti cardinali, altrettante cime montuose o collinari sembrano “inquadrare” a bella posta l’orientamento del sito.
Sotto il punto di vista strettamente geologico, i massi si dimostrano essere dei conglomerati calcarei, facilmente sottoposti quindi, per la poca durezza della pietra, sia all’erosione degli agenti atmosferici (di cui è certamente innegabile l’azione nel corso dei millenni passati), come anche in teoria al lavoro dell’uomo. Alcune hanno forme caratteristiche ed estremamente suggestive. Nel gruppo megalitico principale, dalla pianta circolare, si notano in primo luogo due menhir, uno più slanciato e snello, alto una ventina di metri, ed uno più basso e massiccio, di poco più di dieci metri. Comunemente essi vengono designati come “simboli sessuali maschile e femminile”.
In tutte le parti del mondo si ritrovano volti antropomorfi di grandi dimensioni che hanno tutta l’aria di non essere stati creati dalla natura, bensì dall’opera di popoli sconosciuti in tempi molto antichi, con metodi e scopi ancora a noi oscuri. In Sicilia stessa nei pressi di Petralìa, in provincia di Palermo, si possono vedere altre figure, antropomorfe e zoomorfe, presenti sulle pareti di un canalone e studiate dalla ricercatrice di origine russa Emilia Sakharova. Lo stato di forte erosione ad opera degli agenti atmosferici nel corso del tempo se testimoniano da un lato la lontana antichità di queste sculture – risalenti forse a diecimila anni fa – ne rendono problematica l’inequivocabile identificazione come opera dell’uomo e non della natura.
A Montalbano Elicona se non può esservi dubbio che i gruppi di pietre più grandi, a giudicare dalla loro mole, siano certamente opera della natura, molti indizi fanno pensare che i menhir, la disposizione di alcune pietre più piccole, e le curiose sagome dell’Orante e dell’Aquila siano al contrario di origine umana.
Questa sorta di “pietra-testimone”, al centro del gruppo circolare di menhir e megaliti con “i volti”, potrebbe rappresentare un punto di osservazione privilegiato dal quale rilevare altri fenomeni astronomici significativi. In direzione sud-ovest ad esempio un masso nei pressi della coppia di menhir potrebbe trovarsi lì in maniera non casuale per segnalare il tramonto nel solstizio invernale, mentre dalla parte opposta il sole sorge nel solstizio d’estate tra i due profili della dea in preghiera e quello maschile, forse un’antichissima testimonianza di un culto celeste legato alla fertilità. E’ necessario comunque effettuare altri rilevamenti ed osservazioni, anche allo scopo di capire se vi siano altre pietre orientate ad altri fenomeni astronomici significativi, come le fasi lunari, o le posizioni di alcune stelle particolari nella volta celeste. A questo proposito si può riportare una curiosa osservazione che potrebbe aprire la via ad altre ricerche. Nella carta celeste delle nostre costellazioni tradizionali la raffigurazione femminile della Vergine ha immediatamente alla sua sinistra il gruppo maschile di Boote (il mitologico custode dei buoi Arcade, figlio di Zeus e della ninfa Callisto) mentre alla sua destra c’è un volatile. Quest’ultimo tuttavia non è l’Aquila bensì il Corvo.
Alla sinistra di Boote vi è inoltre la costellazione filiforme del Serpente.
Nel caso dei megaliti dell’Argimusco, l’Aquila, la donna in preghiera, il profilo maschile di fronte ad essa ed il menhir più alto potrebbero raffigurare analoghe costellazioni del cielo di quella remota antichità, presumibilmente all’alba di un solstizio d’estate, l’unico evento astronomico significativo in occasione del quale si presentano sopra l’orizzonte tutte e quattro le costellazioni del Corvo-Aquila, della Vergine-Orante, dell’uomo-Boote e del Serpente-menhir (il tramonto infatti coinvolgerebbe altri gruppi di stelle dalla parte opposta del cielo, mentre l’alba all’equinozio ne nasconderebbe qualcuna come il Corvo). Sulla base del programma astronomico “Stellarium” questa configurazione si presenterebbe solo intorno al 10.000 a. C. , epoca nella quale appunto il sole sorgeva al solstizio d’estate, in direzione nord-est in corrispondenza della costellazione della Vergine. In tale occasione la costellazione del Corvo era esattamente ad Est, per metà al disopra dell’orizzonte, proprio dietro al megalite dell’Aquila, mentre a sinistra-ovest della Vergine-Orante apparivano le costellazioni di Boote e del Serpente.
La datazione dei megaliti di Montalbano Elicona si presenta d’altra parte non poco difficoltosa: nessuna fonte antica ne fa cenno, ed allo stato attuale non è stato riportato alla luce dal sottosuolo del sito alcun reperto (anche perchè, ad essere sinceri, non è stato fatto ancora alcuno scavo ufficiale, né alcun serio studio). Nelle vicinanze esistono i resti di “dolmen” di pietra appartenenti ad una necropoli (che di per sé potrebbe essere anche molto successiva ai megaliti) purtroppo quasi completamente smantellata dai pastori nei secoli scorsi allo scopo di trarne materiale da costruzione. I “cubburi”, infine, caratteristiche costruzioni in pietra del luogo, affini per stile all’architettura nuragica ed ai “Sesi” di Pantelleria, appartengono ad un’epoca sicuramente molto più recente, anche se ancora non ben definita per la solita mancanza di seri studi archeologici.
Ammesso tuttavia che i megaliti di Montalbano Elicona abbiano un’età tanto antica, sembra ancora più probabile che la funzione di questa “Stonehenge di Sicilia” com’è stata definita da qualcuno, fosse esclusivamente religiosa, legata ai culti astronomici solari e stagionali di morte e rinascita della natura e della vita stessa, come poi perduranti anche in età storica e nella successiva religione cristiana, fino ai nostri giorni.
Bibliografia: Giulio Magli, Misteri e scoperte dell’archeoastronomia, Newton Compton editori, Roma 2006 (a p. 19 e sgg. viene riportato lo studio della Grotta di Lascaux). Maria Longhena, Nota. Le immagini fra il testo sono state scattate dall’autore, ma sono liberamente fruibili da chiunque. L’articolo è pubblicato sul sito dell’autore, al link: http://www.cataniacultura.com/143-montalbano.htm Widmer Berni, La Genesi nella pietra, in: Fenix n. 9, luglio 2009, X Publishing ed. Roma (articolo su Gobekli Tepe e le altre antichissime città scoperte recentemente in Turchia).
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