– di Corrado Speziale –
“Caro fratello, ti scrivo…”: ogni frase è stata un’emozione nel monologo di Blas Roca Rey che ha interpretato Vincent van Gogh nel rapporto epistolare col fratello Theo. L’attore è stato accompagnato ai flauti dal maestro Luciano Tristaino. Lo spettacolo, prodotto da Nutrimenti Terrestri, è andato in scena il 30 e 31 agosto al Cortile Teatro Festival, sotto la direzione artistica di Roberto Zorn Bonaventura.
Blas Roca Rey, premiato con lunghissimi applausi, ha rivelato di essere particolarmente legato a questa interpretazione: “Questo per me non è uno spettacolo normale. Lo vivo tanto sulla mia pelle, sulle emozioni. Ogni volta mi dà una gioia immensa”.
È stato uno spettacolo particolarmente intenso, coinvolgente ed emozionante, quello andato in scena all’interno del Cortile Calapaj – D’Alcontres il 30 e 31 agosto. Il suggestivo spazio che ospita gli spettacoli del Cortile Teatro Festival, per due sere, ha fatto da “cornice” speciale all’arte e alla vita di Vincent van Gogh, nella straordinaria interpretazione di Blas Roca Rey, accompagnato ai flauti da Luciano Tristaino.
“Le Lettere a Theo”, produzione di Nutrimenti Terrestri, era inserito nel cartellone del Cortile Teatro Festival, diretto da Roberto Zorn Bonaventura.
La condizione esistenziale di un genio dell’arte con le sue amare, drammatiche riflessioni, nelle lettere all’amato fratello Theo, gallerista a Parigi, è stata elaborata, vissuta e interpretata da Roca in maniera eccellente. L’attore è stato perfetto nei tempi e appassionante, anche attraverso la sua gestualità, nel veicolare i contenuti espressi dall’opera così liberamente adattata dallo stesso. Non era affatto semplice compenetrarsi in un ruolo simile, considerate le implicazioni di carattere psicologico proprie del soggetto, con i suoi drammatici stati d’animo, sfociati nella malattia mentale che ha gravemente segnato gli ultimi periodi della sua vita.
Blas Roca Rey, nella sua recitazione, è stato accompagnato dalle musiche proposte da Luciano Tristaino ai flauti, che hanno caratterizzato le varie situazioni, al passo con le scene che in sequenza rimarcavano le parole di van Gogh. L’avvio è stato nel segno di Erik Satie. Il flautista ha poi accompagnato brillantemente tutto lo spettacolo con adattamenti e rifacimenti di brani di autori classici e non solo, tra cui Debussy e Piazzolla.
“Caro fratello, ti scrivo…”: l’inizio di ogni lettera offre già un’emozione, poiché di lì a poco declina, con la sua complessità, nei vari pensieri dell’artista. Saranno sempre le attente e profonde situazioni originate dagli stati d’animo di van Gogh, elaborate e consegnate alla recitazione di Blas Roca Rey, a stupire la platea. Il tutto, accorpato ad un forte sentimento di passione, ai respiri inquieti, alla solitudine di questo artista immenso, parimenti all’uomo fragile e sofferente che fu, nella costante e accorata ricerca d’aiuto economico e conforto umano al fratello.
“Theo, sarà il mio unico vero, meraviglioso amico, lui crederà nella mia arte forse più di quanto lo farò io stesso. A lui scriverò centinaia di lettere”. L’incanto di ciò che attrae il pittore: “Il cielo, il sole, la luce accecante del sud. Quando dipingo dimentico d’avere sonno, fame e sete, sono molto forte, ma non so mai qual è il mio posto”. I tormenti: “C’è sempre stata molta confusione dentro di me. Ogni tanto la forza va via e mi lascia con la camicia sporca di colori e la testa piena di pensieri”. Vincent sarà sempre accompagnato da difficoltà economiche. Riflette sulla sua condizione sociale ed esistenziale, col fratello cerca innocentemente di giustificarsi come può: “A che cosa potrei essere utile? Mi sento un tipo molto diverso di fannullone, un fannullone per forza”. Talvolta l’ossessione trova contrasto nella speranza: “Non sempre uno sa riconoscere che cos’è che ti rinchiude. Ma dove nasce la simpatia, lì rinasce anche la vita”. La sua grande dignità: “Non mi lamento. Si impara a vedere con gli occhi diversi a contatto con le tristi prove della realtà”.
Roca Rey scava nell’esistenza di van Gogh e conduce lo spettatore nei meandri di una vita sofferta e complicata, facendo vivere la bellezza e la purezza dell’arte attraverso le parole del pittore indirizzate al fratello.
“Bisogna sentire ciò che si disegna. La mano deve continuare ad obbedire a quel sentimento. Cercare d’ucciderlo sarebbe un suicidio e quindi dico…Avanti! Malgrado le ombre, le difficoltà, le preoccupazioni”.
A L’Aia, nel 1882, l’artista vive di stenti, chiede l’essenziale per lavorare e non perdere del tutto la speranza: “Senza il tuo aiuto la mia mano è paralizzata”, scrive a Theo. E pone le sue riflessioni in maniera profonda, ridotto alla solitudine e alla miseria: “Mi sento irritabile, malinconico, ansioso”.
Questa fase dell’artista è un’altalena delle promesse incardinata nella morsa della depressione: “L’arte è gelosa. Non vuole che a lei si preferiscano le malattie. La gente come me non deve ammalarsi, voglio che tu capisca bene la concezione dell’arte. Bisogna lavorare a lungo e duramente per afferrarne l’essenza. Voglio fare dei disegni che vadano al cuore della gente”. Vincent si sforza di essere e apparire per ciò che non è, facendosi coraggio: “Voglio spingermi avanti con tutte le mie forze”. Desidera fortemente che le sue opere, ispirate al linguaggio della natura, sopravvivano al suo malessere.
Sorprende la descrizione delle opere rispetto all’universo che circonda l’artista, dei suoi colori densi, immortalati sulla tela: immagini e forme catturate dalla natura che emanano dall’animo di van Gogh e divengono materia corporale, respiro, elementi indispensabili di vita. “Il problema stava nel vedere la profondità del colore…”
Lo spettacolo, da un palcoscenico essenziale che dà spazio a tanta poesia, esprime le situazioni rappresentandole in tutta la loro natura: lo sfogo, la confessione, l’introspezione, la toccante confidenzialità, l’innocenza. Elementi in cui emerge il grande animo di Van Gogh, con i suoi tormenti e le sue angosce. I suoi disturbi mentali. La solitudine e il dolore del genio che, nonostante tutto, scrive al fratello: “Sto bene, sto migliorando, la pittura è il mio rimedio sovrano”. Vincent ha fame di pane, cure, attenzioni, amore. Esprime una tenerezza che tocca il cuore dell’ascoltatore.
Ad un certo punto è evidente la delusione per i comportamenti del fratello che non vende i suoi dipinti. Descrive con dovizia di particolari I mangiatori di patate, avendo avuto intenzione di regalarlo al fratello per il suo compleanno. La sua svolta nell’interpretazione della natura: “Non va seguita meccanicamente. Forse è una tendenza pericolosa verso il romanticismo, una mancanza di fedeltà al realismo”.
Nel 1885 ad Anversa, città vivace, ritrova la forza: “Le donne fanno più effetto a dipingerle che a possederle anche se…vorrei ambedue le cose”. La voglia di rivalsa e il desiderio di Parigi: “Sento in me un certo potere. Lascia che me ne vada lottando per la mia strada”.
Ad Arles, vivrà il suo periodo più produttivo: paesaggi, nature morte, i girasoli…Ma sarà anche il più drammatico: “Io e il rasoio, io e la notte, io e la mia vita”. E quello dei rimpianti: “Mi assale una certa malinconia pensando con quanta minor fatica si sarebbe potuta vivere la vita invece di fare dell’arte…Quando si fa il pittore o si passa per pazzi o per ricchi”. La terribile esperienza del manicomio, vissuta con grande dignità: “Niente sarebbe stato più piacevole per me del non svegliarmi più”. I suoi desideri cominciano a spegnersi: “Noi artisti siamo l’anfora rotta…”
Blas Roca, con suoni e gesti del linguaggio appropriati, rappresenta il travaglio interiore del van Gogh malato di mente in maniera eccezionale. Il pubblico è partecipe, silenzioso. Conosce il tragico epilogo, ma non il modo con cui ciò si realizzerà.
Intanto, al pittore sopravvengono scrupoli e sensi di colpa: “Sento che le cose stanno cambiando, che potrò ripagare Theo di tutto. Se riuscirò a vivere… Non c’è più tempo. La sabbia della mia clessidra sta finendo”.
La vita dell’immenso pittore olandese finirà Ad Auvers-sur-Oise nel 1890.
“Io sono natura, arte e poesia, e se questo non è abbastanza, che cos’è abbastanza?”
All’interno di quelle quattro pareti del Cortile, trasformato in un contenitore d’emozioni, i lunghissimi applausi per Blas Roca Rey e Luciano Tristaino testimonieranno la bravura degli artisti sul palco per una rappresentazione particolarmente vissuta e partecipata.