Un libro\romanzo interessante. Un documento che serve per ricordare, riconoscere, rammentare, scoprire un tempo… il tempo di una generazione che ha lottato e pagato. Che parla di passione politica, quella incarnata da Giulio e da altri suoi sodali, della volontà di tendere agguati alla storia. Di vite, e ideali sideralmente lontani dal disincanto e dal disimpegno contemporaneo. E’ vero, non ci sono innocenti, anche oggi siamo tutti responsabili del degrado in cui viviamo. Negli stessi anni in cui AR invitava all’impegno estremo, i “contestatori” che pensavano di battersi per liberarci dal capitalismo, lo svincolavano, in realtà, dalle residue tutele etico-politiche, proiettandoci nel regno della mercificazione universale. Forse, qualcuno è più colpevole di altri. La nota pubblicata è di Giovanni Sessa.
Gli anni Sessanta rappresentano per l’italiano medio una sorta di “età dell’oro”. Il decennio nel quale il nostro paese subì un’accelerazione verso l’industrializzazione, in particolare nelle regioni settentrionali, e durante il quale si affermò il “moderno” american way of life. Anni di colonizzazione spirituale e politica, in cui si realizzava la tragedia dello sradicamento di milioni di connazionali, forzatamente urbanizzati e reclusi nelle fabbriche o nelle grigie periferie delle città del Nord. Tutto ciò venne tacitato dal nascente narcisismo di massa, imposto a colpi di pubblicità, al ritmo sincopato delle canzonette che, nei testi dei primi giullari e cantastorie del sistema, si ammantavano di toni contestativi. L’Italia del “Mulino bianco” nacque allora. Un paese in svendita, ai saldi di fine stagione, che viveva una sorta di amplificazione del clima esistenziale e delle atmosfere di resa interiore ben esemplificate da Malaparte nelle pagine de La pelle. Alle spalle il dolore e la lacerazione della guerra civile, degli odi politici insuperabili, non ancora mitigati dalla speranza della pacificazione nazionale. Anzi, si era alla vigilia della seconda fase della guerra fratricida, che divamperà nelle strade e nelle piazze d’Italia nel decennio successivo, in cui “rossi” e “neri” si dettero battaglia e il loro sangue, anziché avere una funzione redentiva, finirà per rafforzare il sistema.
Ecco, è di tale situazione storica che il lettore deve aver contezza, per profittare delle pagine di un recente romanzo che presenta la microstoria di un gruppo politico ed intellettuale, che ha svolto un ruolo centrale in quegli anni. Ci riferiamo al Gruppo di AR formatosi a Padova, nel Veneto bacchettone e democristiano, attorno a Giorgio Freda e Giovanni Ventura. A raccontarne storia e vicende due sorelle, non nuove alla patrie lettere, Anna K. Valerio e Silvia Valerio, nelle pagine di Non ci sono innocenti, da poco nelle librerie per i tipi di AR (per ordini: 082532239, info@libreriaar.com, euro 20,00). L’antefatto della narrazione va rintracciato nel marzo del 1945, quando nell’ area rurale del vicentino un manipolo di brigatisti neri dissotterrò
cadaveri di partigiani gettandoli sul sagrato di un Chiesa. Il sacerdote si era rifiutato di seppellire caduti fascisti, andava punito. La narrazione riparte dal 1967, registrando i fermenti ideali di un gruppo politico, che si riunisce nel centro storico di Padova attorno a Giulio, l’Autocrate. Gli aderenti non hanno nulla a che spartire con i partiti d’area. Sono insofferenti del clima spirituale dell’epoca, non amano i riferimenti “patriottardi” della destra ufficiale e tantomeno quelli moralistici dei baciapile, così numerosi tra i militanti delle organizzazioni missine. Peraltro, l’ambiente “destrorso”, esce dalle pagine del libro, malconcio: composto prevalentemente da “poveri di spirito”. I giovani di AR comprendono che le “destre” dell’epoca, per i retaggi ideali, pur comprensibili, derivanti dalla guerra civile e dalla sconfitta subita, continuavano ad identificare sic et simpliciter il “nemico” nel comunismo. Così, molti militanti “nazionali”, erano incapaci di comprendere quali spazi politici la prassi antiborghese dei gruppi della sinistra estrema avrebbe potuto aprire, ai fini di una comune azione rivoluzionaria.
Da ciò la necessità di un confronto esegetico con i pensatori d’area, condotto in funzione della possibile costruzione dell’azione, maturato negli ambienti di AR. Ben presto venne aperta la storica sede della libreria in Via Patriarcato e fondata l’omonima casa editrice, strumento per la realizzazione di una paideia nazional-rivoluzionaria. Il lettore accorto avrà già intuito che, Non ci sono innocenti, è una risposta letteraria a quanti, in modo volutamente pregiudiziale, si sono occupati di AR e dei drammatici eventi che hanno segnato la vita dei suoi fondatori. Si rileva, infatti, tra le righe, come di quegli anni e di quegli ambienti si sia spesso parlato a sproposito, senza sapere. L’incipitdella distorsione dei fatti può essere individuato nel romanzo malevolo di Ferdinando Camon, Occidente. Ma lungo lo stesso filone interpretativo si è mossa tanta cronaca giornalistica e la cinematografia in tema. Le due autrici, sia pur in modo romanzesco, danno per la prima volta voce ai protagonisti di quelle storie. Lo fanno in modo diretto e passionale, visti i legami affettivi con personaggi di primo piano di Ar. Inducono il lettore, grazie all’affabulazione della narrazione e soprattutto attraverso la suggestiva ricostruzione delle atmosfere, a diffidare dei consolidati cliché interpretativi in tema.
Il lettore meno giovane riconoscerà nei personaggi, tutti indicati con pseudonimi, l’Autocrate, Venturelli, Rodigini, il Vecchio, l’ingegner Tollis, Cesare e tanti altri, protagonisti di primo piano tra i Sessanta e Settanta della destra radicale. Ma è Giulio a dominare la scena, a svolgere il ruolo di polo attrattivo, nel suo tentativo di realizzare in termini politici il cavalcare la tigre teorizzato da Evola. E così lo vediamo sfilare nei cortei studenteschi e dibattere nell’Università occupata con i contestatori, alla ricerca di un coinvolgimento nella comune battaglia antiborghese. Si affacciano, qua e là, riferimenti al nazi-maoismo e alla necessità di trasformare la militanza in militia, al fine di porre in atto la disintegrazione del sistema. Ma il libro presenta anche una sorta di spiegazione in nuce delle scelte radicalmente volitive del protagonista. Lo si evince dai capitoli scritti in corsivo, che intervallano il narrato, nei quali a volte vengono ricordate esperienze che non potevano non segnare la sua vita: ad Adria assistette bambino al pestaggio di suo padre Arcangelo da parte di militanti del Pci, in occasione dell’attentato a Togliatti “Arcangelo era a terra e gli stavano ricacciando indietro il suo fascismo, calciandoglielo in faccia e in testa, sul petto…la faccia di Arcangelo si illuminò di rosso” (p. 195).
L’attività di Giulio pare muoversi nell’endiadi eros-rivoluzione, anzi la seconda sembra divenire la sublimazione della pulsione erotica che è per essenza spinta conoscitiva, anagogica, dato il tratto, per certi aspetti limitante, o non pienamente soddisfacente, dell’intensa vita sentimentale del protagonista, così come emerge dalle pagine del volume. E così il gruppo si organizza, passa all’azione, mette in atto un attentato dimostrativo, senza vittime, al Rettorato dell’Università di Padova e progetta qualcosa di simile, tra pressapochismo organizzativo e sfortuna, per il 25 aprile del 1969 alla Fiera Campionaria di Milano, simbolo della nascente società consumi. La conclusione è così sospesa, lasciata al lettore: il narrato si ferma prima di Piazza Fontana.
La passione politica, incarnata da Giulio e da altri suoi sodali, la volontà di tendere agguati alla storia, è sideralmente lontana dal disincanto e dal disimpegno contemporaneo. E’ vero, non ci sono innocenti, anche oggi siamo tutti responsabili del degrado in cui viviamo. Negli stessi anni in cui AR invitava all’impegno estremo, i “contestatori” che pensavano di battersi per liberarci dal capitalismo, lo svincolavano, in realtà, dalle residue tutele etico-politiche, proiettandoci nel regno della mercificazione universale. Forse, qualcuno è più colpevole di altri.
Autore: Anna K. Valerio – Silvia Valerio
Titolo: Non ci sono innocenti
Collana: Il Cavallo alato
Pp: 414
Prezzo: 20,00€
Il booktrailer di ‘Non ci sono innocenti’.
Una pagina di ‘Non ci sono innocenti’ letta da Claudia Grazia Vismara.
https://www.youtube.com/watch?v=bNTbsj2KU7s
1948. L’attentato a Togliatti nella vita del piccolo Giulio.
L’episodio letto da Silvia Valerio.
1963-2013: cinquant’anni di Ar.
1963. Solo diciotto anni dalla fine della guerra dei fascismi. A Padova, nel quartiere Arcella, ci sono ancora i crateri delle bombe angloamericane e il cielo ha il ricordo dei cerchi di fumo di Pippo, l’inglese spione. È l’anno del primo LP dei Beatles, del celeberrimo discorso di Martin Luther King, “I have a dream”, dei paesi sbranati dalla frana del Vajont, dell’assassinio di Kennedy. L’anno di Marcovaldo in libreria e di 8 ½ al cinema, del primo 007 e del Gattopardo. In TV c’è Mike Bongiorno con i suoi quiz di cultura generale.
Le Edizioni di Ar nascono il 9 dicembre 1963. Freda ha affittato un’ex rimessa in una strada lunga e sfatta del centro, via (nomen omen) Patriarcato, vicinissima al Liviano di Gio Ponti. Si ritrovano lì tra fuoriusciti dal MSI, per lo più ragazzi tra i diciotto e i vent’anni, insieme a un ex brigatista nero ed ex reggente di Ordine Nuovo.
La realtà è poca, ma è l’idea, secondo Freda, che deve giudicare la realtà, non viceversa. Infatti, il nome che il gruppo si dà è un’esortazione anagogica: Ar. Ar è il radicale di quei termini di origine indoeuropea che esprimono la vigoria fisico-morale (aretè, in greco, ‘aristocrazia’), fino ad arrampicarsi nelle implicazioni metafisiche di essa: i vocaboli ordine, rito.
Un radicale linguistico, germe intemporale di significato da completare nel tempo, da sigillare con il proprio operato. Perenne, arcaico, ma pronto a innestarsi nel nuovo presente che lo voglia e sappia assumere. Un’idea senza il confine di una parola, che chiunque sia abbastanza schietto e lucido può comprendere, indovinare e tradurre in azione (un radicale non è circoscritto: è in attesa della sua espansione). L’idea – banale, in fondo – del Bene come l’avrebbe coltivata un antico.
Ar significava stare nel tempo senza esaurirsi in esso. Coltivare, nel tempo, le migliori virtù umane (o dovremo dire aumane, tanto ci sono, qui, lontane?). Dunque, ogni sabato sera, al posto dei festini col mangiadischi, letture rituali in via Patriarcato. Nietzsche, Evola, la biografia di Federico II del Kantorowicz. A leggere è Freda, con la sua voce da basso. Altro che “così è se vi pare”: così è e così deve essere, costi quel che costi in termini di spiacevolezze. Non si poteva accettare che il mondo precipitasse verso la vita comoda, la competizione dei minimi termini, a chi si comprava prima la nuova Seicento, a chi beveva più daiquiri al tavolino di un bar. Si era alzata una nuvola di cipria che neanche l’atomica americana: si rischiava di non vedere più il sole. E Leonardo, genio riconosciuto, che in tempi non sospetti aveva proclamato: “No si volta chi a stella è fiso”. In Italia stava scoppiando mezza guerra civile il giorno in cui spararono a Togliatti: migliaia di rossi inferociti per le strade, e tutto si ricompose per la vittoria di Bartali al Tour de France. Già allora si poteva intuire come sarebbe finita. “Se si tolgono all’uomo le sue catene, si libera solo un animale” – ci ricorda l’abrasivo Nicolás Gómez Dávila, pubblicato da Ar nel 2007.
Ma le catene dell’uomo non devono necessariamente essere le lambiccate analisi del filosofo razionalista, che vuol salvare capra e cavoli mettendo insieme l’ineffabile e la sua dimostrazione. La verità è ai confini con l’irrazionale, è come un radicale linguistico, come il radicale ar: va indovinata, non può frantumarsi in porzioni di comoda ingestione. Deve turbare – sostiene Nietzsche, autore-cardine di Ar. Ma chi legge il Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane, primo volume pubblicato dalle Edizioni di Ar, deve sapere che non ha di fronte i discendenti degli inglesi che seviziavano i boeri nei primi campi di concentramento della storia e capire che si tratta, in fondo, di una terapia d’urto per uscire dalla palude del dopoguerra. C’è il libro e c’è il lettore: tra di loro un destino, forse, di consonanze.
“Un bosco di corna, l’umanità, più fitto del bosco della Ficuzza quand’era bosco davvero. E sai chi se la spassa a passeggiare sulle corna? Primo, tienilo bene a mente: i preti; secondo: i politici, e tanto più dicono di essere col popolo, di volere il bene del popolo, tanto più gli calcano i piedi sulle corna; terzo: quelli come me e come te… È vero che c’è il rischio di mettere il piede in fallo e di restare infilzati, tanto per me quanto per i preti e per i politici: ma anche se mi squarcia dentro, un corno è sempre un corno; e chi lo porta in testa è un cornuto… La soddisfazione, sangue di Dio, la soddisfazione: mi va male, muoio, ma siete dei cornuti…”
È Leonardo Sciascia a offrirci lo scorcio perfetto della società attuale, attraverso la voce di uno di quei suoi personaggi che quando aprono bocca fanno impallidire tutti i filosofi à la page. E, a proposito di destino, e di consonanze: è sempre Sciascia, nel novembre del 1979, a sdegnarsi per come Freda è stato trascinato in Italia dal Costarica, dove si era rifugiato.
Il panorama culturale italiano è così ricco di corna, oggi, che il bosco della Ficuzza, a confronto, pare una radura. Ar splende nel suo altrove (ora una gattabuia, ora Nubicuculia) come un unicum, per libertà di pensiero e sincerità di azione. Cinquant’anni che pubblica libri per i non cornuti: “La soddisfazione, sangue di Dio, la soddisfazione”!…
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