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L’ESPRESSO & IL CASO ANTOCI – Cui prodest?

     

“Cani sciolti” così, secondo indiscrezioni filtrate dagli ambienti investigativi, sono definiti gli autori che misero in atto, lo scorso 18 maggio, l’attentato al presidente del Parco, Giuseppe Antoci, in un’azione definita “militare” e il settimanale “L’Espresso” in un servizio a firma di Francesco Viviano rivela quanto intercettato. A parlare sono alcuni presunti esponenti di diversi clan dei Nebrodi. Loro cercano di capire chi ha messo in atto il gesto che nei fatto blocca ogni movimento sui nebrodi vista la forte reazione dello Stato. Ma l’articolo fa anche insinuazioni pesanti si parla di denunce anonime, c’è clima di dossieraggio… e a questo punto la domanda sorge spontanea: Cui prodest? A chi serve tutto ciò? Perchè ora e non prima o dopo… Perchè il “Mascariamento” . Di certo i prossimi eventi, anche in tema di definizioni delle strategie e nomi e elettorali daranno risposte a chi c’è dietro, chi manovra, chi ha imbastito il gioco al massacro con denunce anonime alle Procure … un Grande Vecchio (qui, ironicamente raffigurato con quello di Alan Ford disegnato da Max Bunker) che ben conosce la forza dell’informazione a orologeria. E lo stesso Antoci richiama “[…] i soliti dossieraggi a cui la Sicilia purtroppo è abituata come del resto l’esperienza di Giovanni Falcone ci insegna.”

“Potrebbero essere stati i catanesi”, si chiede uno degli interlocutori intercettati. “Ce l’avrebbero detto – ribatte l’altro – ci avrebbero quantomeno avvertiti per evitarci guai”.

Così, si legge sul settimanale L’Espresso in edicolo quell’agguato ad Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi uscitone illeso, non ha ancora un colpevole. Ma a cercare il responsabile, oltre alle forze dell’ordine, ci sono i boss e i loro uomini.

Antoci, quel 18 maggio aveva partecipato a un convegno antimafia, tornava verso casa su un’automobile blindata con due poliziotti di scorta, percorreva la strada che da Cesarò porta a San Fratello quando qualcuno spara dei colpi di fucile. I pallettoni sfondano la lamiera nella parte bassa dello sportello posteriore dove Antoci è seduto. La macchina era bersaglio facile, bloccata in mezzo la strada intransitabile per alcuni massi messi lì a chiuderla.
Si registra un conflitto a fuoco  al quale partecipano anche gli agenti di una second auto che seguiva quella del Presidente. Qui c’era anche Daniele Manganaro reggente del commissariato di Sant’Agata di Militello.

Gli attentatori fuggono.

Antoci racconta così quei tragici momenti:  Lo riporta ancora all’Espresso, ma l’aveva reso noto a tutti nei giorni subito dopo il grave fatto:

«Il mio capo scorta mi ha immediatamente preso e messo sotto il sedile, si è posto sopra di me, mentre continuavo a sentire gli spari».
«L’autista ha fermato l’auto, è sceso, ha aperto il fuoco e lo stesso ha fatto il mio capo scorta. Dietro eravamo seguiti dalla vettura del dottor Manganaro, che pur non essendo personale addetto alla mia scorta è arrivato, grazie a Dio, durante l’agguato. È così che sono stato salvato. Erano almeno 5 o 6, e avevano molotov da lanciare per scatenare un incendio nell’auto, costringerci a scendere e quindi ucciderci».
Scattano le indagine, il territorio viene blindato, non si muove più nulla.
La mafia non può più far affari… Ecco la rabbia dei Boss.
Ma nonostante lo spiegamento di uomini, mezzi e le manovre dell’Intellegentia non emerge ancora nulla… o almeno così pare.
Un’inchiesta difficile
Ora si scoprono alcune intercettazioni – sono decine dice l’Espresso che ne da per primo la notizia – che rivelano che gli uomini di Cosa nostra sono interessati a capire come si sono svolti i fatti e soprattutto a scoprire chi ha agito senza il loro permess
Ma nell’articolo si gettano ombre si insinuano sospetti, e subito il dirigente del commissariato santagatese  commenta: “Attraverso i miei legali chiederò l’accesso agli atti e la verifica di quanto viene riportato dalla stampa, per tutelarmi eventualmente nelle sedi opportune”.

Giuseppe Antoci afferma: “E’ evidente che la nostra azione forte di legalità sul territorio abbia creato fastidio ai clan. Non conosco provenienza e attendibilità delle intercettazioni riportate dall’Espresso. Quel che è certo è che i risultati concreti, con le operazioni della magistratura e delle forze di polizia continuano a darci ragione. Tutto il resto, comprese le valutazioni sugli anonimi di cui, per abitudine diffido sempre, lo lascio al giudizio degli inquirenti verso i quali nutro profonda fiducia, stima e gratitudine, come nutro riconoscenza nei confronti delle forze di Polizia, in particolare del vice questore Manganaro, il cui lavoro suo e dei suoi uomini, ha consentito di far finalmente luce su ampi aspetti bui della criminalità che per decenni ha controllato il territorio dei Nebrodi, su tutte le ormai note vicende degli abigeati, della macellazione clandestina e della gestione illecita dei contributi”. europei. Appare chiaro che ai cittadini onesti tutto ciò fa piacere ad altri, invece, toglie il sonno e fa attivare il tipico modello mafioso del mascariamento attraverso i soliti dossieraggi a cui la Sicilia purtroppo è abituata come del resto l’esperienza di Giovanni Falcone ci insegna.”

Appunto.

E la domanda è spontanea: Cui prodest?

 

Redazione Scomunicando.it

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