È in uscita La pornofotografa e il cardinale, pamphlet su una celebre pentita e di un processo infame nella Roma di Pio IX
Si intitola La pornofotografa e il cardinale – storia di una pentita celebre e di un processo infame nella Roma papalina del 1862 ed è il nuovo saggio con cui Mauro Mellini, noto avvocato del Foro romano, ex parlamentare radicale negli anni Settanta e Ottanta e più tardi membro del Consiglio superiore della magistratura, si riaffaccia sulla scena editoriale grazie al tandem ormai consolidato con l’editore Bonfirraro. Il libro sarà in libreria a partire dalla prima settimana di novembre.
L’uomo politico, novant’anni e non sentirli, il saggista appassionato e l’avvocato di peso, dalla vita trascorsa sempre in prima fila a imbracciare la penna a fianco delle grandi cause, ritorna tra pochi giorni in libreria con un testo acuto e intelligente – impreziosito dall’attenta e misurata prefazione del giornalista Guido Vitiello – che va a ritroso nella storia, approfondendo ancora una volta il fenomeno distorto del “pentitismo”: una tesi “fuori dal coro”, la sua, che risultava profetica già nel 1982, anno in cui uscì la prima edizione dell’opera, di poco antecedente al caso Tortora, che portava il titolo Eminenza, la pentita ha parlato. Da quel momento l’ex radicale cominciò le sue riflessioni attorno quello che definì “lo sciagurato e disinvolto ritorno al sistema dei pentiti”.
Lo spaccato del saggio è ampiamente storico: nel 1862, infatti, la Roma papalina è scossa da uno scandalo senza precedenti: la regina di Napoli, Maria Sofia Wittelsbach, ultima regina consorte del Regno delle Due Sicilie, e sorella minore di Sissi, appena deposta dai piemontesi dopo l’assedio di Gaeta e rifugiatasi col marito a Roma sarebbe stata fotografata nuda. E quelle foto sarebbero state messe in circolazione da agenti liberali filo-piemontesi.
Tutto vero tranne che per un dettaglio: le foto della regina nuda erano un fotomontaggio, forse uno dei primi della storia della fotografia. La polizia pontificia verrà a capo del complotto grazie alle rivelazioni di una disinibita pentita, Costanza Vaccari Diotallevi, che con le sue rivelazioni accettò di servire la lotta intestina al governo pontificio tra il capo della Polizia, De Merode, e il cardinale Segretario di Stato Antonelli.
Rivisto nella forma e nel contenuto, ne La pornofotografa e il cardinale, a distanza di ben 35 anni, Mellini ribadisce le sue tesi lucide, di un’attualità sconcertante, scavando a fondo uno dei temi più caldi che infiammano tutt’oggi il dibattito politico contemporaneo, denunciando ancora una volta le storture più pericolose del sistema giudiziario e interpretando come tritacarne una certa giustizia malata, costruita quasi esclusivamente sulle rivelazioni, vere o presunte, dei “pentiti”.
Strenuo difensore del garantismo, uomo libero, mai sottoposto al guinzaglio dei potenti, coerente fino al punto da capire che non avrebbe potuto servire per sempre il suo paese, a differenza dei mestieranti della politica, Mellini continua così l’osmosi tra l’esercizio della sua professione e quella editoriale, che lo ha condotto negli ultimi anni a pubblicare titoli dall’indubbia fortuna con Bonfirraro editore, caratterizzati da una lucida attenzione all’attualità che a volte si è rivelata quasi profetica. È così che prendono vita Il partito dei magistrati, Gli Arrabbiati d’Italia, Il mercato dei Marò e, ultimo in ordine di tempo, Lo Stupidario del Sì, le ragioni del No, in merito al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre.
«Non credete ai pentiti», scriveva Manzoni in quel capolavoro di letteratura civile che fu “Storia della colonna infame”. «Il cosiddetto “pentitismo” nasce dall’abuso dei magistrati, che assicurano ai mafiosi premi che la legge non prevede in cambio delle loro rivelazioni», ha affermato più volte Mellini, il cui scritto induce a pensare a molti altri casi, da Buscetta a Massimo Ciancimino, passando dalla caccia alle streghe delle Br, fino ad arrivare alle chiare menzogne – riconosciute su più livelli – dei quattro dibattimenti sulla strage di Via D’Amelio, si alza forte il grido di condanna verso un fenomeno che ha finito per intossicare buona parte dei processi e ha portato lontana, se non impossibile, la scoperta di una già di per sé fragile verità, giudiziaria e storica e civile.
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