Le tremende alluvioni che dal 2009 al 2011 hanno devastato i villaggi di Messina e i comuni della provincia, hanno lasciato un segno indelebile nel territorio e nel tessuto sociale. Si è trattato di fenomeni meteorologici di estrema gravità, vere e proprie bombe d’acqua che hanno colpito d’improvviso le colline, polverizzandole e trascinando ogni cosa in un apocalisse di fango e morte.
Un mare di melma ha sotterrato al suo passaggio case, auto, negozi, aziende e vite umane. Si tratta di sciagure di notevole entità, se si pensa, che dopo il terremoto del 1908, non erano mai morte tante persone nella provincia peloritana per eventi di questo tipo.
Dopo quattro alluvioni negli ultimi tre anni saranno infatti, 40 le vittime, tra le quali quattro bambini di età compresa tra i due e i dieci anni. Decine i feriti, alcuni dei quali porteranno per sempre i segni sul loro corpo. Una catastrofe naturale che per la sua imponenza ha cambiato anche il paesaggio dei fondali marini e delle colline.
Oltre 800 milioni di euro i danni e migliaia gli sfollati che, di colpo, hanno perso tutto quello che avevano: case, auto, attività commerciali.
Ma le alluvioni hanno pure cancellato speranze, sogni, illusioni e i progetti di molte esistenze. Hanno costretto tutti a vivere nel bisogno quotidiano di cose che era normale avere come una coperta, un tetto, o una letto. All’indomani dell’ alluvione dell’uno ottobre del 2009, negli occhi delle persone si leggeva, oltre al dolore e l’estrema disperazione, la fine di una comune identità che si identificava con un territorio. Il destino ha sembrato voler giocare alla roulette russa distribuendo catastrofi anche in seguito nel messinese.
Il 14 febbraio del 2010, un altro nubifragio fa muovere la terra a San Fratello e in tutta l’area dei Nebrodi. Voragini incredibili e crepe profonde spuntano nei paesi, costringono i residenti ad abbandonare le proprie abitazioni. Non ci sono morti, tuttavia la disperazione è grande lo stesso. A marzo 2011, poi di nuovo, alcuni quartieri della città di Messina sono invasi dall’acqua e solo per caso non ci sono vittime. Il fango però, invade strade, case e negozi e trascina automobili, sopprimendo intere porzioni di territorio. Dopo pochi mesi, ancora l’irreparabile il 22 novembre 2011. Un violentissimo temporale si abbatte sulla zona tirrenica del messinese, ventiquattro comuni sono travolti dalla pioggia e le colline fragili si disintegrano. Una delle frane distrugge due case e muoiono altre tre persone a Saponara.
Ho seguito da vicino come giornalista tutti questi catastrofici eventi, osservando come borghi dove la vita scorreva tranquilla, si sono trasformati improvvisamente, nel teatro di un inferno. Ho impresse nella mente scene che non dimenticherò mai: cadaveri nel fango, case crollate a metà, decine di montagne di macchine accatastate l’un l’altra, grida di aiuto da ogni portone.
Tutto questo, mentre i soccorritori trasportavano i feriti e i tanti volontari con le mani scavavano nelle macerie cercando disperatamente il corpo di un familiare.
Quello che più mi è rimasto impresso è la disperazione nei loro occhi. Uomini, donne e bambini distrutti e stanchi che, con il lutto nel cuore, si allontanavano dalle loro abitazioni consapevoli che la loro esistenza era stata rovinata da poche ore di pioggia. Nei mesi i volti di quelle persone non hanno perso la smorfia di angoscia perché tutti si sono dimenticati di loro.
Ho deciso di raccontare le loro storie, che non possono essere descritte solo da un numero freddo nelle statistiche, o rese chiaramente nelle poche righe un articolo. La comunicazione ha spietate regole: subito il clamore mediatico passa al prossimo evento di morte, cercando una tragedia più grande che faccia notizia.
Il malessere che si respirava nei giorni dopo le alluvioni però, non lascerà mai queste persone, il dolore li accompagnerà per tutta la vita, la straziante angoscia anzi, a giorni, si farà sentire più forte. Il loro mondo non è più le stesso dopo quello che è accaduto.
Lo show del circo mediatico globalizzato continua, ma le preoccupazioni, le flebili speranze, la ansie quotidiane di queste persone non possono essere messe da parte.
Leggendo queste pagine i rappresentanti delle istituzioni e i semplici cittadini saranno almeno ogni tanto assaliti dal tarlo dell’inquietudine, e si chiederanno se è stato fatto veramente abbastanza per chi è stato colpito da queste situazioni dolorose. Si interrogheranno su quanto è stato predisposto prima degli eventi per evitare quello che è accaduto e sul supporto economico, psicologico e umano dato in seguito a queste popolazioni.
In realtà, ci sono state molte passerelle inutili e vuote promesse, e spesso è stata evidente una colpevole approssimazione insieme a impacci burocratici ridicoli, razzismo e accuse balorde senza riscontri oggettivi.
Le alluvioni del messinese sono poi da subito diventate tragedie di serie B, presto oscurate dai grandi mezzi di comunicazione e dimenticate dai cittadini del resto d’Italia.
Nessuno per mesi è sembrato più interessarsi a questa gente, e la delusione è stata evidente nel grido di aiuto lanciato dai parenti delle vittime o nelle richieste dei residenti costretti a elemosinare finanziamenti bloccati o spesi per altre cause, con pretesti dell’ultima ora. La solidarietà nazionale è stata quasi assente anche per incaute dichiarazioni di alcuni rappresentanti istituzionali.
Quest’ultimi hanno infatti, tacciato borghi millenari di essere luoghi di abusivismo pur non essendo la verità. Da qui, è derivata la poca attenzione e i risibili fondi ottenuti per persone che da vittime sono state identificate come colpevoli. Gli alluvionati però, non si sono fatti trascinare nel fango delle supposizioni meschine e delle frasi volgari e stupide, intrise d’ignoranza. Hanno preso atto dell’errore e sono andati avanti con dignità.
Molti gli interrogativi che si cercano di chiarire nel libro. Risulterà evidente che si è trattato di eventi prevedibili e evitabili, pur se effettivamente inusuali per forza e intensità. Ci sono responsabilità oggettive su quanto accaduto. Più volte d’altronde, c’erano stati dei segnali d’allarme che tutte le istituzioni dal governo nazionale, a quello regionale ai singoli comuni non hanno voluto considerare. Doveva far riflettere già l’alluvione nella stessa zona ionica del 2007, durante la quale la devastazione fu chiara, anche se non ci furono morti.
L’esperienza avrebbe dovuto imporre dei lavori di messa in sicurezza, e avrebbe dovuto sollecitare precauzione, serietà e velocità negli interventi.
Ma niente di tutto ciò è avvenuto, e sono seguite altre catastrofi di anno in anno. L’abbandono delle coltivazioni e la deforestazione in questi paesi da anni era poi sotto gli occhi di tutti, si è preferito rimandare e lasciare nel cassetto provvedimenti per favorire altre comunità.
I colpevoli dunque, indipendentemente da quelli che saranno individuati dalla magistratura, sono già certi. Si tratta di una tragedia di Stato, frutto di una trascuratezza criminale e di poca conoscenza delle vere esigenze della popolazione.
Il continuo rimpallo di responsabilità e gli assurdi ritardi che sono seguiti per i finanziamenti e nel post alluvioni, non hanno fatto altro che rabbuiare di più gli alluvionati, convinti sempre più di essere stati lasciati soli. Molte le accuse lanciate ai vari governi che da alcune scelte sembrano aver voluto favorire il processo di ricrescita solo in altri territori martoriati, distribuendo risorse più in altre zone che nel messinese. Fatti oggettivi che seguono il filo rosso di una questione Meridionale mai risolta nei decenni.
Quello che più mi ha colpito delle popolazioni alluvionate, è stato il loro desiderio di ricominciare nonostante tutto.
Hanno preso coscienza dei problemi, cercando di risolverli. Non hanno voluto lasciare i loro paesi, abbandonando ogni ipotesi di new town. Invece che pensare ad un altrove, si sono concentrati su come migliorare quello che esisteva, ricostruendo con più attenzione considerando questi nuovi eventi di grande intensità temporalesca. Un ruolo importante hanno avuto i comitati di cittadini, che hanno lavorato giorno e notte per far nascere qualcosa di positivo dalle macerie.
Descrivendo gli eventi ho voluto mettere in evidenza il punto di vista, di queste persone, le loro sofferenze e i loro desideri. Si dovrà ricostruire oltre alle case, l’identità di queste comunità, poiché mentre le conseguenze delle alluvioni in termini architettonici sono riscontrabili immediatamente nei crolli e in tempi successivi negli abbattimenti per le lesioni strutturali, gli effetti sul tessuto sociale necessitano di più tempo. In quest’opera si noterà la tenacia di chi, colpito da eventi di tale portata, sta comunque tentando di crearsi una nuova realtà che però, rimarrà sempre condizionata da quell’inferno di fango.
Un giorno gli alluvionati hanno pensato che il cielo non potesse avere più stelle e il verde non potesse riemergere dal fango, ma tutto sta ora cambiando.
Hanno maledetto il destino e hanno pianto, ora stanno cercando di uscire dal niente in cui li aveva catapultati un temporale, cercando di essere ancora una volta una comunità.
(Gianluca Rossellini)