Linda Scaffidi, maestra elementare, autrice di poesie ha presentato i suoi due volumi di poesie. Lei è una sensibile e attenta osservatrice ed entra di diritto il quel club di scrittori locali.
“Quando la profondità vive nascosta nella superficie”
Sono quelle, e tante, che sono state racchiuse nei volumi “Rime tra i banchi” e “I mie giorni in rima” che – freschi di stampa – contengono riflessioni, considerazioni sui momenti della vita – anche sulla sua esperienza scolastica, lei che è anche Maestra – sui ricordi dell’infanzia, sulle persone care e sono frutto della creatività dell’autrice, che in “Rime tra i banchi” ama sottolineare l’incedere delle ricorrenze con rime godibili e divertenti, create per gli alunni.
La presentazione si è svolta in una sala stracolma di gente.
Molti alunni con i genitori ed ex alunni della Scaffidi, personale docente, tanti amici, le sorelle, i cognati, le figlie ed il marito Carmelo Arasi, insieme a Salvo Messina, il Sindaco; Maria Ricciardello – Presidente del Consiglio Comunale con delega alle attività Culturali e Ornella Fanzone – consulente editoriale – che ha curato anche la prefazione della raccolta delle “rime” e la stessa autrice dei versi, Linda Scaffidi – visibilmente emozionata e contenta.
Salvo Messina, parla dei versi di Linda partendo proprio dal ruolo di maestra che lei svolge, del suo impegno e del suo sorriso, sempre presente, sul suo volto.
Rime baciate, filastrocche intense, pregnanti di emozioni e in grado di disegnare angoli, case, momenti familiari e corali.
L´ironia è molto presente in questi libri, caratterizzati da amore per la parola scelta per il suo ritmo, più che per il suo significato intrinseco.
Maria Ricciardello, presidente del consiglio, che ha fortemente voluto questa presentazione, definisce la produzione della Scaffidi “La poesia delle piccole cose”; parla del ruolo dell’amministrazione che incentiva i talenti a venir fuori, a manifestarsi, che crea spazi e strumenti per accogliere chi ha da dire qualcosa, chi vuol fare, ed evidenzia come Linda Scaffidi, che ha coltivato il vizio segreto delle rime, ora con estrema leggerezza lo mostra dimostrando la sua verve, il suo talento, una nuova Balestrieri isolana, che al canto ed alla musica preferisce la parola… che diventa “cuntu”.
Un cuntu che gioca con le parole, le mette in riga, le “bacia” e diventa profondo, perché la profondità vive nascosta nella superficie. Le filastrocche mostrano la continuità con le poesie.
Sarà la stessa Linda alla fine dell’incontro, prima di firmare e dedicare emozionata, centinaia di libri, a leggerne alcune poesie…
Le raccolte, già dalle copertine, rivelano la vena emozionale: la scuola e la famiglia, i punti cardini della sua esistenza.
Da Nino Armenio, l’editore, presente in sala, un commento non scontato, quando parla del piacere di aver pubblicato questi due volumi dove la fantasia fa da padrona.
Interessante e partecipato l’intervento di Ornella Fanzone, sua la prefazione de “I miei giorni in rima”.
“E’ veramente spiccata in Linda Scaffidi la facilità alla rima.
Un vero talento naturale, vissuto con la giocosità di chi a scrivere si diverte” – dice la Fanzone che aggiunge: “è un’insegnante elementare, lo era anche Gianni Rodari, grande autore della letteratura per l’infanzia, a cui venne assegnato nel 1970 il prestigioso Premio Andersen Award, per quelle che furono considerate filastrocche rivoluzionarie perché in rotta di collisione con la letteratura per l’infanzia che potremmo definire “classica”, che in qualche modo ricorda “Il giornalino della Domenica”, il settimanale per i bambini, pubblicato per la prima volta nel 1906 su cui scrivevano, Edmondo De Amicis, Grazia Deledda, Luigi Capuana, Ada Negri, Emilio Salgari.
La rivoluzione delle Filastrocche di Rodari sta nella genialità di sapere attingere alla fantasia e all’immaginazione creativa, come era capace di fare solo lui, perché le sue composizioni non avevano come protagonisti situazioni o personaggi eroici, bensì scenari e personaggi familiari, impiegati, padri di famiglia, operai, vicini di casa, figli con uno stile sornione, che gioca con gli accenti e le rime rompicollo.
“La fantasia e l’immaginazione possono spiegare la realtà con giocosità: è qui che sta la genialità… – dice sempre la Fanzone – ecco che anche Brolo può diventare la Como della filastrocca di Rodari contenuta in “Filastrocche in cielo e in terra”, la realtà familiare di Linda Scaffidi, può diventare universale, in quanto i sentimenti e l’umana empatia sono elementi e stati d’animo di per sé universali.
Linda Scaffidi così, Gianni Rodari, Ada Negri… maestri tutti e tre, accomunati dalla caratteristica di sapere parlare con la freschezza dei bambini. Gli adulti in generale usano le parole senza amarle più.
Ed è per questo che le parole invecchiano e si corrompono. I bambini sono diversi: giocano con le parole e, giocandoci, le salvano dalla corruzione… I bambini prestano ascolto alle parole: le parole sono la musica delle voci umane.
E quando si è abituati a spiegarsi ai bambini, a crescere con loro, si acquisisce l’arte di parlare e di esprimersi trasmettendo l’odore e il sapore delle parole, la loro musica, il loro ritmo che finisce per prevalere perfino sul significato intrinseco, si inventano anche parole inesistenti per fare la rima: ne troverete qualcuna nei componimenti della maestra Linda, messa apposta per rispettare la musicalità del verso, per rendere le parole più appetitose, più gustose…
Linda avverte la rima e il ritmo, come il battito che ci tiene in vita, come il ripetersi delle onde del mare o il ritornello della vita, cadenzato come un battito di ali.
Linda Scaffidi dicevo, è una maestra, come lo fu Ada Negri, prima donna scrittrice e poetessa ammessa a far parte dell’Accademia dei Lincei; figlia di un manovale e di una tessitrice, la Negri trascorreva la sua infanzia nella loggia assieme alla nonna che faceva la portinaia e osservava le persone di passaggio. La realtà semplice, che toccava la sua sensibilità, diventava argomento dei suoi romanzi e delle sue poesie.
Da queste premesse la Fanzone fa dunque un altro felice accostamento “Anche Linda osserva la realtà e la spiega in rima, ne fa cogliere la gioia, talvolta la sofferenza, la delusione, passando per la Fede, (tante sono le composizioni a contenuto religioso) con la speranza che l’uomo possa essere migliore. Rime quasi sempre, non racchiuse nella rigorosità metrica, perché c’è un fondo di libertà espressiva che, nell’Autrice, è quasi totale.
Del resto lo scrivere, è un’avventura mentale che di nient’altro si occupa se non di se stessa.
Ha scrutato la vita per anni la maestra Linda, lavorando, insegnando e amando la sua famiglia, con amore e dedizione sicuramente non comuni.
Ha osservato amorevolmente gli esseri umani e le cose con occhi speciali, con sguardi riservati, assorbendo poco per volta, un po’ di quella realtà che oggi, rivela a noi come fraterne confidenze, con l’orgoglio e la consapevolezza di chi desidera testimoniare come “l’incanto”, faccia parte della realtà. Testimonia come l’invenzione e l’immaginazione possano rendere nobile la realtà, rendendola dolce e sopportabile anche quando, qualche volta non lo è proprio tanto.
Nel susseguirsi dei giorni e nel rinnovarsi della natura, con schiettezza e semplicità, va a scovare significati molto umani, perfino impietosi, nei momenti di tutti i giorni, quasi come se i suoi versi fossero pagine di un diario in rima…
Linda gioca con le rime, ne fa esperienza sia di divertimento personale che di valvola di sfogo, vera e propria, quando il quotidiano diventa troppo poco sopportabile, troppo angusto”.
Concludendo il suo intervento, Ornella Fanzone dice all’uditorio attento, “Comporre e leggere poesia credo sia infatti come entrare in una seconda vita, quella che non vediamo e che pure ci appartiene, tutta invenzione anche quando riguarda cose e persone che si hanno sempre sotto gli occhi, tutti i giorni, di cui, chi verseggia, riesce a scorgere o vuole scorgere solo il bello.
La poesia è utile all’uomo e finché ci sarà, sarà utile a chi la cerca componendo versi e a chi la cerca per leggerla.
Per entrambi si rivela fortemente taumaturgica, esperienza di liberazione catartica, poiché attraverso la poesia si fa esperienza di contatto con la bellezza, momento di elevazione, suscettibile di avvicinarci a quel “divino” da cui proveniamo e che, al di là della prosaicità spesso incalzante in cui ci troviamo strettamente avvolti, ci appartiene, è nostro tessuto connettivo e fonte di rinnovabile, fine umanità.
Perché quando rifletto sull’origine umana, circa l’idea della nostra provenienza, mi piace più pensare che siamo Dei precipitati in terra, piuttosto che scimmie evolute, con tutto il rispetto per le scimmie… Credo ci sia in ciascuno di noi molto di più, solo che troppo spesso l’uomo se ne dimentica.
Anche nei mondi più brutti, l’arte ci soccorre, la creazione artistica ci salva. C’è qualcuno, come Linda che va a scovare i profumi della nostra esistenza, fatta di percettività, anche sensoriale, di saporose emozioni e allora attraverso i suoi componimenti ci sentiamo catapultati in mezzo ai colori, ai profumi come accade nel componimento “I frutti dell’estate”.
E poi per concludere, “Scorgo in questa scelta di “rivelarsi” pubblicando la sua produzione letteraria, quel concetto espresso abilmente da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nei suoi “Racconti”, che dice quanto sia necessario quasi a tutti preservare qualcosa di sé che si ritiene importante e che altrimenti se non venisse raccontato, o in prosa o in poesia andrebbe irrimediabilmente perduto. Dice infatti, che non esistono memorie che non racchiudano valori sociali e significati umanamente di prim’ordine.
Del resto, prima di lui, Shakespeare sosteneva che “Non c’è vita umana che non sia degna di essere raccontata come un romanzo”.
E la sua vita Linda, ce la racconta in versi”.
msm
alcune poesie
LA VITA
La vita ti dà tanto e tanto ti toglie,
come gli alberi che perdono le foglie.
Con una mano ti porge un po’ di miele,
con l’altra ti fa bere un po’ di fiele.
All’improvviso la felicità ti abbaglia,
un attimo dopo il dolore ti attanaglia.
Non ci sono mezze misure,
e non sempre per i guai ci sono le cure.
Bisogna accettare quel che la vita ci dà,
accettando il buono e anche le difficoltà.
Ma in ogni modo e in qualsiasi parapiglia,
la vita rimane lo stesso una grande meraviglia.
È un grande dono che Dio ci ha donato,
e non chiede altro che venga rispettato.
RIFLESSIONI
Vorrei pensare, ma è una pia illusione,
che quanto dato, venga reso in eguale proporzione.
E non parlo di soldi o di altra questione di valore,
parlo di affetto, di gentilezza, di disponibilità del cuore.
È amaro constatare quanto l’egoismo,
ottenebra la mente e soffoca l’altruismo.
Si tende a giustificare la freddezza e l’afasia,
con la vita moderna e la sua frenesia.
Si corre di continuo inseguendo attimi futili e sfuggenti,
cercando soddisfazione in cose piccole e inconcludenti.
Allora io penso che bisogna fermarsi a riflettere sulle priorità,
cercando soddisfazione nella semplice normalità.
Io penso che bisogna mettere al centro la famiglia,
perché ciò che si vive insieme gratifica che è una meraviglia.
È bello darsi completamente agli altri ed aiutarsi,
in modo da dare e avere una spalla su cui appoggiarsi!
INNO A BROLO
Quanto è bello il mio paese!
Tutto strade, case e chiese.
“Giardino fiorito”, da antiche leggende,
gente operosa, fatiche e faccende.
Le piazze risuonano di voci e schiamazzi,
urla di gioia e giochi di ragazzi.
Dentro il tendone feste a colori,
spettacoli vari, cinema e suonatori.
Gelato speciale per la festa al lungomare,
la gente s’accalca ogni sera a passeggiare.
Spettacoli vari e a Ferragosto,
giochi esplosivi e bibite a più non posso.
Vicini e lontani ci vengono a trovare,
d’inverno e d’estate vengono a soggiornare.
Per Carnevale coriandoli e carri,
stelle filanti intrecciate alle torri.
Nella villa comunale oche e paperelle,
suscitano allegria e risa a crepapelle.
Zampilla la fontana tra i riflessi della luce solare,
la gente osserva quella bellezza spettacolare.
I frutti dell’estate
Fra gli alberi da frutto, il sole fa capolino,
irradia col suo oro il grande giardino.
Un campo coltivato con tante mele deliziose,
richiama la gente che nei cesti le mette copiose.
Gli alberi di pere appesantiti coi loro frutti,
invitano, di buona lena, a raccoglierli tutti.
Pesche deliziose bianche, gialle e rosse,
deliziano il palato e riempiono le borse.
Sberge dolcissime che qualcuno porta in cucina,
prugne e susine che fanno venire l’acquolina.
Nespole gialle dall’esaltante sapore,
saziano la gola di ogni coltivatore.
Le aranciose albicocche, spandono i loro odori,
fanno parte anche loro della tavolozza dei colori.
Ma il re di tutti, premio a ogni contadino,
è il cocomero rosso che riempie il giardino.
È il frutto dell’estate e per monti e per valli,
si accompagna volentieri con i meloni bianchi e gialli.
Nella bella stagione tutti i frutti appagano il palato,
concludono ogni pasto, pure con un po’ di gelato.
E spesso e volentieri, per concludere una cerimonia,
la gente li mischia in una deliziosa macedonia.
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POETI BROLESI – Linda Scaffidi: “Quando la profondità vive nascosta nella superficie”
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