Lo Spettro della Morte nello Sciamanesimo e nello Zen
Cultura

Lo Spettro della Morte nello Sciamanesimo e nello Zen

sciamano-02“Gli stregoni-sciamani hanno sempre il sopravvento; avendo il loro modo di morire, essi hanno qualcuno che nelle loro orecchie sussurra che tutto è effimero. Il Suggeritore è la Morte, l’infallibile consigliere, l’unica che non può mai dire una bugia”. Don Juan Matus a Carlos Castaneda, nel libro:”The Active Side of Infinity”

La morte dell’Ego

La maggior parte delle persone non capisce l’importanza del ruolo della morte e la sua relazione con la morte dell’Ego nell’Illuminazione-Zen e nelle cose-Sciamaniche, soprattutto quando si esplorano le varie opere del Wanderling. Tuttavia, la morte, la Near Death Experience (NDE), o la Out-of-Body Experience (OBE), che ha un ruolo maggiore in diversi resoconti di alcune esperienze di Risveglio, anche se scontati nella maggior parte delle offerte Wanderling, e non è neanche del tutto trascurato … è non solo sottolineato come uno dei principali fautori nelle varie cose presentate da Wanderling. Ciò che non si sopporta, il concetto è ancora tutto intessuto per il lettore, ma portato tranquillamente ad un più innato, non-sintattico, livello di budello di attaccamento di qualsiasi altra cosa.

morte_e_morirequadNIRODHA

Nella sezione IV più sotto (“Zen, il Buddha, e lo Sciamanesimo”) nella conversazione tra lo Sciamano di magie chiamato Obeah ed il Wanderling, Obeah riconosce negli occhi del Wanderling quello che l’uomo Obeah riferisce così, “la visione di colui che ha visto il Volto della Morte”. Un evento simile è fondamentalmente spazzato via fino ad avere che sia coinvolta una qualche ulteriore parte integrante delle offerte, soprattutto per non confondere il lettore. In breve, però, l’incidente si è verificato in un campo militare e il dolore fisico che era stato inflitto era così intenso e grave che, mentre ero ancora in una sorta di rimosso, ma fermo stato di semi-coscienza, fu presa la decisione di farmi rinunciare, cioè, abbandonare la forza vitale. Tre giorni dopo il Wanderling si svegliò in un ospedale militare con tubi nel naso e nelle braccia, ma ancora in vita. Anche se il fatto occorso in realtà fu una profonda esperienza di pre-morte, o anche una esperienza effettiva di morte con linea-piatta, non vi è stata Experience Out-of-Body (esperienza-fuori-dal-corpo). Nessuna visione di luce bianca, né di gallerie o tunnel con luci alla fine, né osservazione di andare verso l’alto, nessun incontro o visione di Dio o di altre entità spirituali. Nulla di simile. Dopo una eccessiva perdita di sangue e il cessare dell’energia vitale, semplicemente la morte. Poi, tre giorni più tardi, dopo essermi trovato ad uscire fuori dal nulla aprìi gli occhi, con solo una timida traccia di un ego di ‘adesso’ sostanzialmente indebolito o fugace. Obeah, nell’evento in seguito registrato, si riferì alla stessa Near Death Experience, dopo aver chiesto il motivo per cui ESSA, cioè, la morte, non se lo “prese con sé”, dichiarò guardando profondamente negli occhi il Wanderling,: “… sono previste altre cose per te!”. Per quanto riguarda l’evento di pre-morte di cui sopra, da un documento in parte inedito, il Wanderling scrive:

“Quando ero ragazzo, io ero abituato a far visita a mia nonna a casa sua ogni volta che ne avevo la possibilità. La sua casa era una di quelle case più antiche fatte di legno, ad un solo livello, che avevano pesanti tende su entrambi i lati delle finestre. Esse coprivano la finestra e c’era anche una cortina all’interno fatta da un materiale simile ad una garza che faceva trasparire un po’ di luce solare così diffondendola nelle varie camere. Le finestre avevano inoltre delle tapparelle di un traslucido e opaco giallo-marrone che funzionavano tirando un cordoncino collegato ad un anello circolare che si poteva tirare con il dito. E così sia tirando verso l’alto che verso il basso l’ombra poteva spandersi tutt’intorno, fino a quando si lasciava l’anello. Quell’ombra è la stessa visione che da sempre mi viene in mente quando tanti anni dopo, ripensando a ciò che erano quei giorni, in un campo militare presi la consapevole decisione di lasciar andare la mia forza vitale… essa mi svolazzava intorno senza pietà ancora e ancora fino a che non ebbe esaurito il suo potere e subito svanì”.

Ciò che segue, che somiglia strettamente al background Zen del Wanderling, è una dichiarazione di Baba Faqir Chand, uno dei più grandi praticanti di Surat Shabd Yoga, un metodo meditativo che conduce a straordinarie esperienze (secondo rapporti riferiti, Faqir potrebbe lasciare il suo corpo a volontà quasi ogni giorno e sperimentare stati esaltati di consapevolezza):

“Per esempio, quando si subisce una Esperienza di Pre-Morte e si vede Gesù o Nanak, o un Angelo in mezzo alla luce alla fine di un lungo e buio tunnel, non è la figura stimata che sta orchestrando essa stessa l’incontro. Ma è il neofita che sta proiettando il sacro personaggio tramite la luce proveniente dalla propria storia biologica e culturale. La luce infatti può essere un fenomeno transculturale, parte integrante di un ordine superiore di consapevolezza, o semplicemente un evento neurologico, ma l’interpretazione di chi risiede in quella luce (E’ Gesù? E’ Nanak? O è mio zio Joe?) è interamente una faccenda personale, oscurata dalle sfumature di una permanenza individuale per decine di anni su un pianeta che chiamiamo Terra”. (fonte)

Lo stadio di Pre-morte descritto dal Wanderling è più vicino a quello che viene chiamato in sanscrito NIRODHA, che non un tipo New Age di Esperienza di Pre-morte o Experience Out-of-Body. Potrebbe essere l’esperienza di fatto spiegata in una questione più di moda, cioè, com’ è stato detto dapprima, “senza visioni di luce bianca, gallerie o tunnel con luci alla fine, non osservandosi andare in alto, non incontrando o vedendo Dio o altre entità spirituali”, perché, come dice Baba Chand, è una faccenda interamente personale. Benchè mancassero ancora molti mesi alla cosiddetta Regola dei Dodici anni, al momento del verificarsi dell’evento di cui sopra il Wanderling aveva già completato molti, molti anni di studio nella pratica Zen sotto il suo mentore e il venerato maestro Zen Giapponese Hakuun Yasutani Roshi. Anche se al momento era poco allenato in tali cose, tutte queste esperienze furono precedute da una possibile prossima o effettiva esperienza di Kensho del giovane Wanderling dopo che egli ebbe incontrato Franklin Merrell-Wolff nelle alte Sierras.

Nel caso del Wanderling, fatta eccezione per la ’linea-piatta’ dell’ EEG (elettroencefalogramma)(*) che è stata debitamente osservata da un certo numero di osservatori esterni e medici assistenti, per lui, se fu realmente violata o attraversata o meno la sottilissima membrana tra l’esser ancora vivo e ciò che diventa la non-vita, non è noto poichè alcuna differenza fu ricordata, se accertata. In quello che sembra essere una opposizione quasi diametrale a tale scenario, ogni precedente o residua “paura della morte” dopo essere stati riportati o ritornando indietro a seconda dei casi, apparentemente dissipata insieme all’ego — sia la perdita dell’ego che la conseguente paura, è supposta dalla esperienza — in cui l’”io” era in un totale ed ininterrotto stato (o non stato) di linea-piatta per circa trenta minuti, e, tranne forse per non essere stato totalmente messo in un sacco di plastica, e inoltre anche accatastato in fila insieme ad altri cadaveri. (fonte)

(*) Un segnale piatto dell’EEG (elettroencefalogramma) denota il non-funzionamento della corteccia cerebrale.

morte_sciamanicaLa parola NIRODHA, in Sanscrito di solito significa ‘cessazione’, in realtà ha in sé un significato ben più profondo. Nell’indice dei Visuddimagga, per esempio, ci sono più di venticinque riferimenti che nel contesto si devono leggere per avere un significato più ampio e più conciso. In breve, esso come il Samadhi-Profondo, definisce un altissimo grado non-meditativo di stato meditativo. Durante Nirodha non c’è una vera sequenza di tempo sia che passi un paio di ore o sette giorni, come se l’immediato momento precedente e quello immediatamente successivo sembrino in rapida successione, coll’inizio e la fine compressi in modo sottile. Nel frattempo, il battito cardiaco e il metabolismo continuano a rallentare e praticamente cessano, continuando a volte al di sotto della soglia di percezione ad un livello minimo. Immagazzinata in precedenza, l’energia del corpo che solitamente sarebbe consumata in un paio di ore se non reintegrata, può durare giorni con ben poca necessità di rinnovamento. Il Visuddhi Magga cita diversi esempi in cui gli abitanti dei villaggi imbattendosi in un certo bhikkhu che si trovava in tale stato e che seguiva la tradizione della Sarira, costruirono un rogo funebre per lui, fino al punto di dargli fuoco. Durante gli stati residui di basso livello la temperatura corporea scende ben al di sotto del punto di 98,6 gradi. Se improvvisamente scosso dalla coscienza, il metabolismo del corpo è più lento a recuperare la sua temperatura normale, e subito dopo, ciò viene registrato da un più veloce ritorno al senso cognitivo come “fase di freddo”.

Migliaia di persone osservarono il grande santo Indiano Swami Trailanga che galleggiò per giorni sul Gange stando seduto sopra l’acqua o che se ne restò nascosto per lunghi periodi sotto le onde. Una visione comune a Manikarnika Ghat era il corpo dello Swami immobile su viscide lastre di pietra, del tutto esposto all’implacabile sole Indiano.

Che il grande maestro stesse sopra l’acqua o sotto di essa, e se il suo corpo sfidasse o meno i feroci raggi solari, Trailanga cercava di insegnare agli uomini che la vita umana non necessita di dipendere dall’ossigeno o da determinate condizioni e precauzioni. (fonte)

‘Ora il mio corpo è morto. Essi porteranno via questo corpo, immobile, sul terreno della cremazione e lo bruceranno. Ma posso davvero morire con questo corpo? Io sono solo questo corpo? Il mio corpo ora è immobile. Ma io so ancora il mio nome. Io ricordo i miei genitori, zii, fratelli, amici e tutti gli altri. Ciò significa che ho una conoscenza della mia individualità. Se è così, l’”Io” che è in me non è soltanto il mio corpo, è una spirito immortale’. Così, come in un flash, a Venkataramana arrivò una nuova realizzazione. Normalmente, un uomo ottiene la realizzazione di Dio eseguiendo tapas per anni e anni, senza cibo e senza dormire; egli sottomette il corpo a grande sofferenza. Ma Venkataramana ottenne la suprema conoscenza senza tutto ciò. La paura della morte lo abbandonò. Infatti in seguito Venkataramana divenne il Bhagavan Sri Ramana Maharshi.

Facendo un’intervista, Valerie Verner raccontò la sua ‘Near-Death-Experience’ e la sua relazione alla propria esperienza di Risveglio, e nel suo rispondere, fu probabilmente molto più vicina alle parole dell’esperienza del Wanderling che sia mai stata registrata. Anche se l’esperienza di Risveglio della Verner avvenne dieci anni dopo la sua Near Death Experience e quella del Wanderling fu pressapoco dopo quattro anni, l’impatto e le analogie sono fantastiche. Valerie prosegue dicendo:

“… se dovessi dire quando si è verificata la mia effettiva esperienza di Risveglio, fu solo dieci anni dopo quel fuoco. In quel fuoco vi fu una forte e drammatica comprensione del centro del mio cervello in relazione al modo in cui percepisce l’energia, come interpreta l’energia, come si correla all’energia e come si contrae nell’energia e la blocca nel posto. Ciò avvenne in quel fuoco, quindi da quel punto in poi la mia esperienza del ‘sé’ fu molto, molto diversa”. (fonte)

SEZIONE I: Revisionando ‘La Lama del Rasoio’:

Il lettore incontra Lawrence Darrell (il nome utilizzato da Maugham nel suo romanzo per la stessa persona che è stato l’insegnante Zen del Wanderling) poco dopo la fine della prima guerra mondiale. Sebbene diversi aspetti della sua vita e il carattere sono rivelati pian piano, una cosa si impara subito ed è che egli è una fonte di frustrazione per i suoi genitori, perché non ha intenzione di intraprendere una carriera. Altri fatti biografici narrano che egli si è impegnato con Isabel Bradley, sua dolce amica d’infanzia, che in guerra fu un pilota, e che egli è assai reticente sulle sue imprese di guerra. Infatti, molti personaggi commentano di come Larry sembri essere cambiato sin dal suo ritorno dalla guerra. La sua esperienza di guerra più sconvolgente è finalmente rivelata verso la fine del primo capitolo, quando dice ad Isabel, “Credo che non troverò mai la pace finchè avrò nella mia mente tali cose,… ‘Non sarebbe meglio seguire i sentieri battuti e lasciare che accada ciò che deve accadere?’ E poi si pensa ad un tizio che un’ora prima era pieno di vita e di gioia, e poi è morto stecchito; è tutto così crudele e privo di significato. E’ difficile non chiedersi che cos’è la vita e se non vi è alcun senso o se non si tratta tutto di un tragico scherzo del destino…”.

Il decisivo evento di Larry si riferisce a quando in un combattimento il suo amico perderà la sua vita, in parte perché era venuto a salvare Larry. Improvvisamente, per Larry, la morte ebbe un volto; la realtà della morte divenne personificata nella perdita del suo amico. La confessione di Larry Darrell ad Isabel illustra come molte persone si sentono dopo la testimonianza della morte di qualcuno a loro vicino. La morte è un tale mistero, così inesorabile, e può sembrare così assurdo, come sottolinea Larry, che vivendolo direttamente tende ad approfondire la comprensione delle vere priorità nella vita ed apre la mente a chiedersi il senso ultimo di una esistenza così apparentemente temporale come la nostra. Questo sembra essere ciò che è successo a Larry. La morte del suo amico è l’evento climatico che rende Larry idoneo per iniziare una ricerca delle risposte. Egli dice ad Isabel, “Voglio aprire la mia mente per sapere se Dio c’è o non c’è. Voglio conoscere il motivo per cui il male esiste. Voglio sapere se ho un’anima immortale, o se quando io muoio ciò è la fine”. (fonte)

SEZIONE II: dal ‘Lafayette Flying Corps’:

Il migliore amico (di Larry) era un irlandese chiamato Patsy. Patsy gli aveva insegnato tutto ciò di cui lui aveva bisogno di conoscere e come sopravvivere. Invece, alla fine, fu Patsy che Larry vide morire … dopo che lui gli ebbe salvato la vita. Ciò che segue è la descrizione di Maugham di ciò che accadde allorchè Larry gli racconta la storia:

“Il giorno che dovevamo entrare (a Parigi), fummo inviati a sorvolare le linee nemiche e riportare il rapporto di ciò che avevamo visto. Improvvisamente ci trovammo a dover sparare contro alcuni aerei tedeschi e prima di sapere dove ci trovavamo eravamo al centro di una battaglia. Uno di loro venne dietro di me, ma io lo presi per primo. Gettai lo sguardo per vedere se stava cadendo, quando con la coda dell’occhio vidi un altro aereo dietro di me. Cercai di sfuggirgli, ma lui mi assalì come un lampo e pensai di esser andato, ma poi ho visto Patsy calare su di lui come un fulmine e dargli tutto il fuoco che poteva. Essi ne ebbero abbastanza e se ne andarono e noi tornammo indietro. Il mio aereo era abbastanza in buono stato anche se era stato colpito. Patsy arrivò prima di me. Quando io arrivai col mio aereo lui era già sceso dal suo. Allora vidi che giaceva in terra ed era in attesa che arrivasse il soccorso medico. Quando mi vide, fece una smorfia e disse”: “Ho colpito quel furfante che ti stava dietro…”.- “Che ti è successo, Patsy?” chiesi io. “Oh, nulla. Mi ha colpito…”.

Egli era mortalmente pallido. Improvvisamente egli ebbe uno strano sguardo. Aveva appena preso a capire che stava morendo, e la possibilità della sua morte non era mai stata così tanto vicina alla sua mente. Prima che potessero fermarlo, si distese e con un sorriso: “Beh, me ne sto andando”, disse.
E poi ricadde morto. Aveva ventidue anni. Egli dopo la guerra avrebbe sposato una ragazza in Irlanda.” (fonte)

SEZIONE III: La Scelta di uno Sciamano

Uno non sceglie di diventare uno sciamano, ma “è scelto”. Dei quattro livelli solitamente associati al processo di diventare uno sciamano il primo è l’invito o la selezione da parte di un’altro sciamano, un secondo passo è l’iniziazione dello sciamano, mentre il terzo è la ‘morte simbolica dello Sciamano’. Il quarto passo è generalmente considerato la “ricostruzione” del sistema energetico dello sciamano, da cui egli è derivato, cioè il Potere dello Sciamano.

Ciò che segue viene presentato come la prima delle due offerte in relazione all’invito o alla selezione nel processo, la seconda delle quali ruota più da vicino attorno alla ‘Morte Simbolica dello Sciamano’:

“Il fratello di mio padre, cioè mio zio, passò quasi sessanta dei suoi ottantaquattro anni nel deserto che c’è nel sud-ovest, essendo partito una volta da Taos, Santa Fé, zona del Nuovo Messico a circa vent’anni. Io ero piuttosto giovane quando mia madre morì e mio padre si risposò, così egli mi portò da mio zio affinchè mi “sorvegliasse”. Anche mio zio una volta era stato sposato, ma, pur mante-nendo un certo labile contatto con la moglie egli era, a tutti gli effetti, divorziato. La donna da cui egli si era separato, era una nativa-americana della tribù Little Shell Plains Ojibwe e un quarto livello della sètta Indiana super-segreta Ojibwe Medicine Society. Io l’avevo incontrata di passaggio e in un modo o nell’altro lei mi aveva sempre dato scarsa attenzione, anche se io avevo avvertito qualcosa di assai “diverso” in lei. Di lei mi rammento una volta che c’era stato un temporale che imperversava lontano sulle montagne. Noi ci sentivamo al sicuro solo perché eravamo qui, soprattutto sapendo che se fossimo stati lì, quella tempesta aveva il potere di spazzare via tutto o il potere di distruggere tutto.

Un giorno, quando avevo circa dieci anni o poco più, mi recai per una escursione senza scorta fin dentro nel deserto. Quando mio zio scoprì che ero andato così lontano venne a cercarmi. Durante la mia passeggiata mi imbattei nella carcassa di un coniglio morto e per una qualche ragione che non so spiegare ne fui affascinato. Quando mio zio mi trovò, dopo aver superato una piccola collina, mi vide rannicchiato sulla carcassa. Sopra di me, volteggiando abbastanza comodamente in un cerchio, c’erano tre avvoltoi che, a causa di questo evento, sarebbero diventati il mio Totem animale. Da ciò che egli fu in grado di discernere dal suo punto di vista, sembrava che io non avessi paura di loro e né essi erano remotamente impauriti da me. Inoltre, ed egli giurava che questo era vero — anche se io non ho assolutamente alcun ricordo di ciò, e posso costruirlo come un possibile fraintendimento totale dei fatti — che gli avvoltoi ed io stavamo condividendo tra di noi la carne dalla carcassa.

Quando mio zio raccontò dell’incidente alla sua stranita moglie, lei improvvisamente si interessò a me molto di più. Si vede che, per una qualche ragione, nell’odierno ambiente neo-Sciamanico vien posto l’accento sulla ricerca del “potere animale” di qualcuno. I workshop contemporanei neo-Sciamanici hanno una tendenza ad impedire alle persone di vedere il fatto che i veri animali sono anche spirito e potere, ed ogni morso è importante, o ancor di più, quello di uno spirito guida che appare in qualche visione. La Donna-stregone questo lo sapeva. Nei workshop sciamanici, le visioni del totem-animale dei partecipanti non sono mai rane, gufi, o lumache da giardino, ma sono sempre lupi, orsi, aquile, e falchi (o avvoltoi). Se ciò fosse solo così…

Nel corso di quegli anni mio zio trascorse molto tempo in viaggi all’interno di alcuni punti molto isolati del deserto e interagì con le locali popolazioni indigene a causa di vari, come lui li chiamava, legami relativi all’ “arte” che aveva con loro. Durante molti di questi viaggi io lo accompagnai. Come ragazzo molto giovane, fu in uno di questi viaggi che, su suggerimento della moglie, io fui introdotto alle cose Sciamaniche. Eravamo in una delle nostre escursioni profonde in una remota parte sud del deserto del New-Mexico per far visita ad un uomo molto strano a cui mio zio era in qualche modo associato. Dopo l’arrivo, i due si sedettero insieme all’ombra al di fuori della baracca e parlarono per una buona parte della giornata, mentre io giocavo con i cani o sedevo nella cabina del camion smanettando con la radio. Proprio mentre ce ne stavamo andando, l’uomo venne da me e mi consegnò un’ enorme lunga piuma bianca e nera, la più grande, più lunga piuma che avessi mai visto.

Essa era quasi più ampia dell’arco della mia mano ed era più lunga di quanto non fossi alto io, bimbo di dieci anni. La penna era legata ad un asta, che era molto, molto più grande rispetto a qualsiasi pezzo di gesso della scuola, ed aveva un piccolo doppio filamento di stringhe di cuoio con dieci sfere colorate attaccate, una per ciascuno dei miei anni, egli disse. Poi lui mi disse anche che la piuma una volta apparteneva a un magnifico uccello che era stato molto importante per la sua cultura e per il benessere del deserto, ma che ora apparteneva a me.

Dopodichè, mio zio ed io tornammo lungo la strada polverosa, e, come in certe occasioni sono soliti fare i bambini, quando il furgone accellerò mi poggiai fuori dal finestrino, facendo fluire la piuma nel vento. Improvvisamente la penna mi fu strappata di mano e la vidi volare in alto nel cielo, catturata prima dalla turbolenza del camion, poi dal vento stesso del deserto, fino a scomparire del tutto di vista. Vero, era solo una piuma, ma per qualche ragione la sua perdita mi colpì in un modo profondo e triste.

La mattina seguente, io e mio zio ci alzammo presto e andammo con il camion a fare qualche servizio. Distesa sola nel letto posto dietro la cabina di guida del pick-up, in mezzo ad uno strato di polvere c’era una lunga piuma bianca e nera, col piccolo doppio filamento di stringhe di cuoio e con le dieci sfere colorate legate sul gambo della penna. E inoltre, là nella polvere, vi erano quelle che sembravano essere chiare orme molto grandi, di un grande uccello, con graffi e segni di artigli sulla sponda come se, anche se solo per un breve periodo di tempo, un uccello gigante si fosse appollaiato o fosse atterrato su di essa.

Un paio di veloci commenti per quanto riguarda la piuma, prima di andare avanti. Quando essa mi era stata data, anche se era di grandi dimensioni, io, da ragazzo con una vivida immaginazione, non compresi appieno le implicazioni di tutto ciò. In quel momento, non mi sembrava impossibile che un uccello non potesse essere di qualsiasi dimensione, così come non mi sembrava affatto improbabile che ci fosse stata una piuma lunga come ero alto io. Io ero solo a scuola ed oltre questo, ciò che mi capitò fu che io ero in presenza di qualcosa di veramente eccezionale. Non ho mai visto l’uccello da cui proveniva la piuma, né ho mai visto una seconda o altre piume di così grandi dimensioni, ma per un uccello che abbia richiesto una tale enorme piuma, in primo luogo esso dovrebbe essere stato davvero una creatura gigante. Per lo Sciamano aver impartito qualcosa di così raro, significativo e prezioso a me, semplice ragazzo di dieci anni con nessuna storia o background, la dice lunga. Si veda la nota [1].

Per coloro che in primo luogo volessero mettere in discussione la validità dell’esistenza di una piuma di tali dimensioni, si tenga presente la frase di chiusura del ‘The Legend of the Giant Bird’: “La scomparsa dei bufali avrebbe avuto un effetto devastante sulle abitudini migratorie degli uccelli di tali dimensioni. Non tutti recepiscono la connessione, ma è fatto alquanto semplice che, senza mandrie, la migrazione è diventata assai difficile e molti dei giovani uccelli così come alcuni adulti sono morti nel loro cammino verso sud. Stiamo parlando di uccelli ‘Teratorn’, di venticinque piedi di apertura alare, animali così grandi che non potevano cacciare nei boschi o nel fogliame folto. Avevano bisogno di grandi spazi aperti, come le Grandi Pianure o la Pampa Argentina, per volare e cacciare.

Alcuni potrebbero sostenere che, per quanto riguarda la selezione o processo di invito, lo sciamano di cui sopra che dette la piuma al Wanderling non dovrebbe far testo perché al momento il Wanderling era solo un ragazzo di dieci anni. Personalmente, mi domanderei a che età ciò dovrebbe avvenire. E’ mia opinione che lo Sciamano che offrì la penna dell’uccello, così come la moglie stregona di mio zio, avesse avvertito “qualcosa”, anche se il Wanderling ragazzo non ne era consapevole. Tuttavia, viene qui presentato anche ciò che segue, che il Wanderling scoprì quando divenne adulto:

“Per coloro che conoscono la storia del Wanderling e la sua interazione con l’uomo-sciamano di nome Obeah sù nelle montagne della Giamaica, si può ricordare il fatto di quando una giovane ragazza del villaggio fu investita da un auto ed i suoi genitori, che non potevano permettersi un regolare medico, lasciarono che la loro figlia fosse adottata da Obeah. Il Wanderling ed un altro membro del villaggio portarono la ragazza in una amaca fatta con due aste di legno lungo i pericolosi sentieri di montagna alla dimora dell’uomo Obeah. Nel tempo di qualche ora la ragazza, anche se respirava, non aveva ripreso coscienza. Al Wanderling non fu permesso di entrare nella capanna di Obeah, poiché egli era un bianco, né potè osservarne i rituali, se cioè, fossero stati più o meno tutti effettuati. La mattina seguente Wanderling scese giù dalla montagna e non vide esattamente che cosa poi fosse accaduto alla ragazza. Circa due settimane più tardi, però, lei fu vista giocare con gli altri bambini del villaggio come se nulla fosse mai accaduto. Non aveva segni, né graffi, né cicatrici, o qualsiasi altra cosa. Molti mesi più tardi, il Wanderling contrasse la febbre dengue e giaceva nel suo letto fortemente sudando, delirante per l’alta febbre, senza mangiare, e fondamentalmente incapace di muoversi. Un abitante del villaggio arrivò e riferì come egli fosse malato agli anziani del villaggio. Subito, la parola arrivò ad Obeah. In nessun caso si era saputo che Obeah avesse mai lasciata la sua tana di montagna, poiché tutti quelli che avevano bisogno dei suoi servizi dovevano sempre andare da lui non importa quanto grave fosse la situazione. Tuttavia, con somma sorpresa di tutti nel villaggio e miglia e miglia intorno, in poche ore di audizione della condizione del Wanderling, questi si mostrò sulla veranda. Egli non sarebbe entrato nella sua casa, ancora una volta perché il Wanderling era un uomo bianco, ma fece portare gli elementi spirituali e le erbe aromatiche dalla sua ‘sacca delle medicine’ chiamata Borsa Oanga ed eseguì una serie di rituali che includevano lo spargere sabbia e cenere in uno ‘Shaman’s Circle’, seduto in meditazione come il Buddha, facendo qualche canto e utilizzando volute di fumo che inondava tutta la casa mentre gettava delle ossa in quello stesso cerchio. Il giorno successivo, quindi, il Wanderling si alzò, anche se ancora dolorante, e fatta eccezione per una sostanziale perdita di peso e debolezza dal non aver mangiato, era OK. Obeah intanto se n’era andato.

Il giorno dopo che Obeah era partito, il Wanderling, dopo una notte di forte vento e pioggia, anche se oppresso da dolori era ben consapevole e, per la prima volta da giorni, in grado di muoversi e di zoppicare sulla veranda. Egli, pur a malapena in grado di stare in piedi, stava davanti al cerchio, e malgrado la tempesta della notte prima, nel cerchio c’era ancora energia così come era stato lasciato dall’uomo di magia. Una lieve brezza arrivò e diffuse la cenere e la sabbia del cerchio su tutta la veranda, contorcendosi sul pavimento in un piccolo vortice di polvere diabolica che circondò i piedi nudi e le gambe del Wanderling. Appena la turbinosa brezza toccò il suo corpo, il dolore si dissipò fino a scomparire infine insieme con il vento”. (Fonte)

SEZIONE IV: La Morte Simbolica di uno Sciamano

Alcune cose mi sembra di ricordare come se fossero appena accadute, altre sono sfocate e perdute. Una cosa che di sicuro mi ricordo di quella notte fu che, anche se avevo aiutato a portare la ragazza ferita sui pericolosi sentieri di alta montagna, dato che ero un uomo bianco, Obeah non volle farmi entrare nella sua capanna … e all’inizio si rifiutò di avere a che fare con me. Io sedevo fuori nel buio solo attizzando il fuoco con un bastone e guardando la luce che lampeggiava tra gli alberi. Poichè la notte fuori copriva ogni cosa, i miei occhi alla luce dovettero aver catturato la sua attenzione, perché io sentivo che lui mi osservava. Alla fine egli venne e sollevò il mio mento fino a guardarmi negli occhi che brillavano nella fiamma accesa tra le tenebre. Simulando quasi la stessa identica cosa che mi accadde quando avevo dieci anni nella grotta del deserto, l’Obeah si accoccolò giù senza smettere di guardarmi, scrutandomi con un incredibile serie di sguardi che sembravano profondamente brillare dal di dentro con una misteriosa e intensa luce sua propria e disse, nel suo forte patois giamaicano, “Tu hai sentito il soffio dell’Oscuro”. “Sì, una volta,” dissi io, “molti anni fa,” riferendomi a un evento militare quando letteralmente sentìi l’Ombra della Morte passare vicino al mio spirito. “Perché non ti ha preso con sé?”, chiese Obeah. “Non lo so”, risposi, alzando le spalle. Quindi l’Obeah disse:

“Nei tempi antichi, una giovane fanciulla arrivò presso un principe affamato seduto sotto un albero. Offrendogli un po’ di riso e avena, egli sopravvisse. Tu vedi ciò che egli vide. Ci sono altre cose in programma per te”. (Fonte)

SEZIONE V: Dalla Sibilla Cumana

Caronte, nella mitologia greca, è il traghettatore dei morti. Le anime dei defunti sono portate a lui da Hermes, e Caronte le traghetta attraverso il fiume Acheronte. Egli accetta solamente i morti che sono stati sotterrati o bruciati con i riti adeguati, e se gli offrono un obolo (moneta) per il loro passaggio.
Quelli che non possono permettersi il passaggio, o non sono accettati da Caronte, sono condannati a vagare sulle rive del Stige per centinaia di anni. Le persone viventi che desiderano andare nel mondo sotterraneo hanno bisogno di un ramo d’oro ottenuto dalla Sibilla Cumana.

“Caronte accoglie tutti i tipi di passeggeri nella sua barca. Magnanimi eroi, ragazzi e ragazze nubili, numerosi come le foglie che cadono in autunno, o gli uccelli che migrano a sud all’arrivo dell’inverno. Essi premono per un passaggio e desiderano andare alla sponda opposta. Ma il traghettatore prende sù solo quelli che ha scelto, mandando indietro i restanti. Enea, desiderando andare a vedere, chiese alla Sibilla, ‘Perché questa discriminazione?’ Ella rispose, ‘Quelli che vengono presi a bordo della barca sono le anime di coloro che hanno ricevuto i dovuti riti di sepoltura; alla schiera degli altri che sono rimasti insepolti non viene permesso di superare la corrente, ma vagano per centinaia di anni, e camminano avanti e indietro sulla spiaggia, finchè alla fine vengono presi’. Enea, mostrando il sacro ramo d’oro datogli dalla Sibilla, convinse Caronte di fare un’eccezione e consentire a lui, un vivente, di entrare nel regno dei morti per seppellire un suo compagno caduto e vedere il padre”. (da: Dante, L’Inferno, – anno 1300 d.C.). (fonte)

SEZIONE VI: Dall’Avvoltoio come Totem

L’avvoltoio è un potente totem. Il ciclo del suo potere è l’intero anno. Il nome scientifico dell’avvoltoio Turco è Cathartes Aura, che significa Purificatore Aureo perché, come avviene nelle sue vicende della vita, egli purifica il paesaggio e l’ambiente in un suo modo naturale, assicurando il mantenimento della salute e della vita di altri esseri viventi. L’Avvoltoio poi è una garanzia che tutte le difficoltà sono temporanee e necessarie per uno scopo più alto. Una volta che un Avvoltoio entra nella vostra vita come un totem o guida, esso rimarrà con voi per tutta la vita.

Nella mitologia Greca, l’Avvoltoio è il discendente del Grifone. Esso era assai simile al simbolo simil-Zen Buddista dell’unicità non-duale di cielo e terra, spirito e materia, bene e male, come Guardiano e Vendicatore. L’Avvoltoio è il Vendicatore degli spiriti della natura. Gli antichi Assiri infatti credevano che l’Avvoltoio fosse, come la Sunyata, la Via di Mezzo di Nagarjuna, la complessiva onnicomprensiva inseparata unione del giorno con la notte. E ironia della sorte, malgrado la sua poca simpatica figura, l’avvoltoio tipicamente è protetto dalla maggior parte delle leggi, pensateci: A differenza dei bisogni di quasi tutte le altre creature viventi, gli avvoltoi non uccidono. La loro preda o muore da sola o è stata uccisa da qualcos’altro.

Erode Pontico riferisce che i grandi uomini della leggenda sono sempre stati molto gioiosi quando un avvoltoio appare in qualunque evento. Perché esso è una creatura meno nociva di qualsiasi altra, non è dannosa per il grano, né per gli alberi da frutto, né per i greggi, esso depreda solo carogne, e mai uccide o danneggia alcun essere vivente, e poi non tocca gli uccelli, nemmeno se sono morti, perché della sua stessa specie, mentre aquile, gufi, e falchi straziano e uccidono le creature a loro simili. Il noto scrittore ateniese Eschilo (c. 525 aC-456 aC), dice: “Quale uccello è così pulito che non depreda i suoi simili uccelli? – Inoltre, tutti gli altri volatili sono, per così dire, sempre nei nostri occhi, essi si lasciano continuamente vedere da noi, ma un avvoltoio è una vista davvero rara, e assai raramente si può incontrare un uomo che abbia visto i loro piccoli; la loro rarità e infrequenza ha sollevato una strana opinione in alcuni, che essi vengano da qualche altro mondo; poiché gli indovini attribuiscono un’origine divina a tutte le cose non prodotte sia dalla natura che da se stesse”. (fonte)

Nel Buddismo, il Purificatore Aureo è la Compassione, in sanscrito Karuna. La compassione opera in noi permettendoci di percepire chiaramente il dolore, l’angoscia, l’afflizione, l’agonia, ed il tormento degli altri, anche attraverso l’inserirli nella nostra esperienza. E’ quindi qualcosa che inoltre è mosso fuori dal reame dell’ignoto o dell’inconscio fin dentro nel reame dell’inclusivo, dell’accettate e infine del consapevole. La compassione è spaziosa, poichè consente il modo in cui le cose possono esistere, cambiare, e finire. In particolare consente che anche il dolore abbia fine. Ciò significa che noi si deve essere pazienti, e non con l’ansia di volere che il dolore finisca o cercare ufficialmente a sbarazzarsi del dolore. E’ il lato attivo della saggezza ed è il supremo Purificatore Aureo del Buddha. Il Buddha della compassione deve alla sua stessa compassione il potere che gli ha consentito di rendersi conto che c’è ancora qualcosa che può essere fatto da un Essere Illuminato. E’ stata la compassione che lo ha motivato ad insegnare “per il beneficio di quelli con la polvere nei loro occhi.” (fonte)

Dal punto di vista Zen, nulla può separarci dalla morte, perchè la morte non è “mai” diversa da ciò che siamo noi. Non vi è spazio, né tempo per vagare. Noi siamo la nostra morte, così come siamo la vita. La morte è ciò che siamo sempre stati. Perfino la rinascita non ha alcun significato per lo Zen. Colui che può dire che è già morto nel modo in cui è vivo, non subirà una “rinascita”, ma una “fase di interruzione”… una sorta di “passo-avanti” oltre la matrice dicotomica dell’ego-coscienza e le polarità di vita-morte che sono inclusive di tale matrice. In questo “passo-avanti” non vi è alcuna necessità di preoccuparsi per la morte, perchè la morte non è qualcosa che verrà, ma ciò che uno è stato sempre, cioè, morto solo nel senso che uno è sempre stato vivo.

D.T.Suzuki, spiega che, “colui che trascende l’idea della dualità di vita e morte sta sempre vivendo, nel vero e proprio significato del termine. Quando c’è il pensiero o di vita o di morte, negativamente o positivamente, questo sicuramente rivelerà che c’è un ostacolo insormontabile nel proprio modo di vivere”.(fonte)

Per quanto riguarda la morte, quando la morte ci sfiora, nell’esperienze fuori dal corpo, nel caso della ‘linea-piatta’, o di qualsiasi altra esperienza simile…, come con qualsiasi altra cosa di questo tipo, questi fatti non hanno importanza per l’esperienza del Risveglio. Come ho scritto nel paragrafo di apertura: “Questo evento è fondamentalmente spazzato via, finchè è interessato qualsiasi ulteriore parte integrante delle offerte, soprattutto per non confondere il lettore”. Perché? Perché, così come è stato tramandato dai detti del Buddha, con cui io sono d’accordo: “Il Buddha disse che nessuna ripetizione di scritture, né l’auto-tortura, né il dormire per terra, né la ripetizione di mantra, canti, preghiere, penitenze, inni, incantesimi e invocazioni può portare la vera felicità del Nirvana. Invece, il Buddha ha sottolineato l’importanza di fare un grande sforzo individuale per raggiungere gli obiettivi spirituali”. (Fonte)

Tradotto nel mese di Novembre 2008, per conto del Centro Nirvana, senza scopo di lucro.

Lo Spettro della Morte nello Sciamanesimo e nello Zen

Presentata da: Il Wanderling (http://www.angelfire.com/electronic/bodhidharma/death.html) Trad. da Aliberth M. Brani da DarkZenThe Zennist

18 Aprile 2011

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admin


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