C’è sempre stato qualcosa di mitologico nella figura di Nagasawa, nel suo modo di approcciarsi all’arte e alle persone. A partire proprio dal dato biografico. Da quel viaggio incredibile che lo portò, a soli 26 anni, a lasciare il suo paese di origine, il Giappone, dopo una laurea appena conseguita in architettura, per intraprendere un lungo viaggio attraverso l’Asia in bicicletta.
Un anno e mezzo a pedalare per attraversare il continente e raggiungere la Turchia e poi, da lì, superare il mare per arrivare a Brindisi. Il viaggio in Italia rappresenta il punto di non ritorno e non solo perché, come amava raccontare, a Milano gli rubarono la bicicletta, ponendo simbolicamente fine alla sua corsa.
È stata una sorta di affinità elettiva che lo ha portato a scegliere di vivere e lavorare nel nostro paese. Nagasawa arriva a Milano nel 1968, nel pieno del fermento politico.
Qui conosce Enrico Castellani, Mario Nigro e Antonio Trotta, con i quali dà vita ad uno stretto sodalizio intellettuale e artistico. Il successo arriva immediato. Nagasawa ha preso parte a varie edizioni della Biennale di Venezia e nel 1992 ha partecipato a Documenta Kassel. È stato tra i fondatori della Casa degli artisti, che ebbe un ruolo decisivo nella scena artistica milanese e a cui presero parte, oltre a Nagasawa, anche Luciano Fabro e la critica d’arte Jole De Sanna.
Negli ultimi anni alla ricerca d’artista, l’artista giapponese ha affiancato il lavoro come docente. Era, infatti, titolare della cattedra di scultura presso Naba, a Milano.
LA RICERCA TRA ORIENTE ED OCCIDENTE
Da dato biografico, il viaggio diventa l’elemento su cui si fonda l’intera ricerca di Nagasawa. Un viaggio inteso secondo i parametri della filosofia zen in cui conta fare tesoro di ogni esperienza vissuta e non il punto finale d’arrivo.
Le prime opere sono di natura concettuale, ma è a partire dai primi anni Settanta che Nagasawa si dedica in larga parte alla scultura, utilizzando per le sue opere prevalentemente l’oro, il marmo e il bronzo. Sono questi gli anni in cui il linguaggio plastico diventa cifra stilistica in una continua fusione di elementi orientali e occidentali.
La ricerca di Nagasawa affonda le sue radici in due differenti culture: quella giapponese di provenienza e quella italiana di adozione. Costruire un ponte tra le due è sempre stato un elemento fondante nel lavoro dell’artista.
Negli anni Ottanta, comincia a creare i primi ambienti, muovendosi sul confine tra scultura e architettura: l’idea della sospensione e il tentativo di creare opere “antigravitazionali” rappresentano il nucleo centrale del suo lavoro in questi anni. Negli anni novanta, il giardino diventa l’elemento preponderante: un’elaborazione personale di un “luogo” centrale nella cultura orientale a partire proprio dai giardini zen della tradizione giapponese.
Nell’opera di Nagasawa il giardino non è mai un semplice elemento paesaggistico, ma un vero e proprio organismo che vive in rapporto osmotico con il resto del paesaggio e con l’ambiente urbano.