Un gran cuore, un viso largo ed uno sguardo dolce ma sofferente, una bella persona. Sorrido perché è bello ricordarlo e metterlo tra i “brolesi”.
Ricordi di scuola.
Scuola elementare: un grande edificio dai mattoni rossi, con la scale che si aprivano sotto il grande portone al centro della facciata.
Una scala, per noi poco più che bambini enorme, e poi le classi, la polvere dei gessetti, l’odore della cucina, i bagni rigorosamente divisi tra maschi e femmine, ed anche gli orari per accedervi differenziati, come le rastrelliere che ospitavano cappotti e scialli nei corridoi, ed i maestri, che si riunivano prima, per firmare il registro della presenza nel corridoio, poi, per le quattro chiacchiere del caffè fatto con la moka, e per correre in classe sotto l’occhio della Fiduciaria, la maestra Letizia.
Tra questi con Lina Randazzo, la maestra Maneri e la Defonzo, il maestro La Monica, Ernesto Damiano, la maestra “Consiglio”, c’era anche Mimmo Siragusano.
Alto, robusto, severo nello sguardo, buono nel cuore, dalle grandi mani, quasi mai in vestito, ma avvolto nei maglioni di lana abbottonati sul davanti, incuteva timore ma poi nonostante qualche colpo di righello in più sulle mani, non era così cattivo come noi lo raffiguravamo.
Pretendeva disciplina, ma tollerava, negli ultimi tempi, che si giocasse con le figurine dei calciatori, giusto il tempo della ricreazione, se si sbagliava, se si disturbava, se non si era attenti, e lui ci sgamava sempre, era di sicuro l’andata in castigo dietro la lavagna, ma a far timore, a più di tutto era lo spauracchio dello stare in ginocchio con la faccia al muro.
Domenico Siragusano se ne andato relativamente giovane dalla vita terrena…. non era neanche in pensione – quella tardò ad arrivare alla moglie rimasta di fatto da sola – a tirare avanti i ragazzini rimasti soli giovanissimi.
Era il 1972.
Al suo funerali tanti suoi alunni, gli amici del bar, quelli di Sant’Angelo di Brolo, il paese di sua madre e i compagni di Librizzi, il suo paese.
Lasciò la signora Santa, ma tutti la chiamavano Maria, in ricordo della madre che era morta al parto e appunto quattro figli appena bambini, Pietro, Mariella Pippo, meglio noto come Majer, e Nino, la quinta Nelly, era morta senza aver compiuto un anno.
Siragusano non era di Brolo. Ma questo poco importava, tutti lo consideravano brolese.
A Librizzi i suoi vivevano d’agricoltura, avevano un podere, con tanti alberi di frutta costellato dai grandi ciliegi.
Al tempo della raccolta, in tanti, da Brolo, quasi un’abitudine rituale, andavano su quei colli per raccoglierne ceste, ed era festa e “Mimmo” era un perfetto padrone di casa.
Il “maestro” preparava la pasta a forno, la carne sulla brace ed accoglieva tutti.
A scuola ci arrivava con “l’850 fiat” celestina, spesso si portava dietro i figli più grandi, per fargli fare i compiti, levarli di casa dove donna Maria accudiva, con sacrificio stante le sue precarie condizioni fisiche, i più piccoli.
Lui, il Maestro, spesso si alzava presto per aiutarla a far le faccende domestiche, ma neanche lui era messo bene. E il cuore – all’improvviso – gli fece un brutto scherzo.
Amico di tutti, giocava la schedina, allora si chiama Sisal, da don Nicolino, seguiva il calcio alla radio, e andava a pescare appena poteva, tirandosi dietro Pietro, il più grande dei figli.
Poi si soffermava a parlare con il maestro Chillari prima che questo “burbero omaccione” prendesse il treno per far rientro a Milazzo, con l’amico Maggio e Saro Scaffidi – altro maestro con cui tesseva buoni rapporti – oppure lo si vedeva dialogare con i De Lorenzo, suoi parenti, sulla Nazionale, vicino al loro grande emporio, dove si vendeva di tutto, insieme alla moto della Piaggio, e con Mimmo Caranna suo testimone alle nozze.
A volte Domenico Siragusano, girava per le classi delle frazioni, a Piana, Lacco, Jannello, portandosi dietro il direttore Lo Presti, ed era giorno di vacanza nell’aula “ abbandonata” e lasciata alla custodia di donna Carmela, la bidella.
Domenico Siragusano, che aveva due fratelli, Leandro e Carmelo e una sorella – Angelina – , aveva studiato dai preti a Patti, poi nel 1955 aveva finito di girovagare per le supplenze e aveva preso cattedra a Brolo, prima a Piana – in una scuola che non aveva bagni. Poi era arrivata al centro.
Ed è facile ricordarlo, mentre girava fra i banchi spiegando le divisioni.
Insegnava in modo semplice.
Passati alcuni giorni verificava se la nostra attenzione su quella lezione fossa stata fruttuosa, chiedendo chi volesse farne il riassunto o scrivere i “pensierini”. Un metodo didattico che dava i suoi risultati, che metteva anche in competizione la classe.
Lui metteva il “visto” sui quaderni, non esistevano le note, oppure semplicemente un numero per dar l’idea del gradimento e dell’apprendimento.
Il rovescio della lezione erano le castigate. E allora erano dolori, per tutti anche per i figli dei colleghi.
Insegnò a Brolo quanto ancora si avvertivano le diversità delle classi sociali, le classi non erano omogenee, era il tempo del dopo scuola, delle scuole serali, di quella di musica del maestro Mosca, del cortile che diventava campetto di calcio, dei vigili che “rubavano” il pallone, dei pacchi dell’Eca, del patronato scolastico, del circo in piazza Roma.
Lui che era un “popolano” comprendeva molto questa differenziazione.
E’ facile ricordare con chiarezza le illustrazioni e i disegni (le foglie cadute, le castagne, i colori della natura) attaccate sui muri.
I compagni delle scuole che sono presenti con estrema lucidità nella memoria.
Saremmo in grado, se pittori, di disegnare quasi tutti quei compagni di banco vicini e lontani.
Sono contento di ricordare.
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