Quei Fondi Europei per l’agricoltura dovevano andare agli agricoltori onesti, quelli che oggi giustamente protestano, e non certamente ai mafiosi
Ancora arresti eseguiti in Sicilia sul fronte dei Fondi Europei dell’Agricoltura in mano alle famiglie mafiose.
All’alba di questa mattina il Gip Eugenio Fiorentino su richiesta della DDA di Messina ha disposto 23 arresti per vari reati, fra cui associazione a delinquere di stampo mafioso. Oltre agli arresti ingenti sequestri di beni e titoli AGEA. In tutto sono 37 gli indagati.
Centinaia di uomini della Guardia di Finanza, della Polizia di Stato e dei Carabinieri hanno, dalle prime luci dell’alba, messo letteralmente sottosopra il territorio dei Nebrodi, assicurando alla giustizia numerosi componenti di famiglie mafiose.
I reati contestati ruotano soprattutto attorno al lucroso affare dei Fondi Europei per l’Agricoltura in mano alle mafie combattuto con forza con il cosiddetto “Protocollo Antoci”, ideato e voluto dall’Ex Presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci e, dal 27 settembre 2017, Legge dello Stato.
Un meccanismo interrotto, appunto, proprio da quel Protocollo che Antoci ha fortemente voluto, rischiando la vita, ma che ha posto le basi per una normativa che, come si evince dalle tante operazioni di servizio, consente oggi a Magistratura e Forze dell’Ordine di porre argine ad una vicenda che durava da tanti anni.
Come si ricorderà la prima parte dell’Operazione Nebrodi risale a gennaio 2020 quando furono assicurati alla giustizia 101 persone e 151 aziende agricole sequestrate per mafia. Da quella attività lo storico “Maxiprocesso Nebrodi” che comminò condanne per più di sei secoli di carcere.
L’importante operazione di questa mattina ha fatto emergere ancora una volta proprio il contesto mafioso denunciato da anni da Antoci e per il quale impegno ha subito un attentato mafioso la notte fra il 17 e il 18 di maggio 2016.
“Grazie di cuore – dichiara Antoci – alla DDA di Messina, ai Carabinier, alla Guardia di Finanza e alla Polizia di Stato. L’operazione di oggi evidenzia, ancora una volta, in modo chiaro il contesto in cui ci siamo mossi in questi anni mettendo in luce le motivazioni per le quali la mafia, attraverso quel terribile attentato, voleva fermarmi. Nonostante la consapevolezza che, con questa ulteriore ed imponente operazione, l’odio e il rancore contro di me cresceranno ancora di più, è comunque tanta la felicità che provo oggi nel vedere che il nostro lavoro serva al Paese e alla lotta alla mafia”.
“Se ho potuto completare il lavoro del Protocollo e poi della Legge – continua Antoci – lo devo a quei coraggiosi operatori della Polizia di Stato, gli uomini della mia scorta, che quella notte mi salvarono la vita. La mafia, come ulteriormente certifica questa importante operazione, voleva fermare tutto questo uccidendomi, ma loro, quella notte, con coraggio e sprezzo del pericolo, rischiando la loro vita, lo hanno impedito. Lo Stato ha vinto, abbiamo colpito