La vicenda dell’urologo Attilio Manca la conoscono ormai quasi tutti.
È la storia di un luminare “suicidato” a Viterbo dopo essere stato usato per curare e accompagnare in Francia, nell’ottobre del 2003, il signor Gaspare Troia di anni 72, alias Bernardo Provenzano.
Il solerte pm della procura di Viterbo, Renzo Petroselli, ha sempre negato e mai approfondito ogni ipotesi diversa dal suicidio.
Per lui Attilio Manca era un consumatore di droga che ha mischiato troppe sostanze cercando una morte consolatrice.
Lui che aveva proprio una vita di merda a 34 anni: ai vertici della medicina italiana, con in programma un periodo di volontariato in Bolivia con Medici senza frontiere e un sorriso permanente in viso.
Il tipico profilo del suicida depresso.
Qualche giorno fa, per la terza volta, il gip ha negato però l’archiviazione delle indagini chiesta per tre volte da Petroselli.
Non perchè il giudice per le indagini preliminari si sia convinto dell’evidenza, ovvero che si tratta di un eclatante delitto di mafia, ma perchè dice che se non di suicidio si tratta, certamente è in ballo una cessione di stupefacenti con cui Manca si sarebbe accidentalmente ucciso.
Overdose. Nella vena sbagliata, lui che era mancino e quasi inabile con la destra. Ma questo poco conta.
A questo punto non è difficile ipotizzare come finirà tutta questa vicenda.
Ormai l’eco nazionale non consentiva di poter archiviare tutto come si farebbe in un retrobottega della peggio procura d’Italia.
Si ordineranno nuove indagini, magari affidandole per la quarta volta al pm che ha già dato, tecnicamente, del drogato per tre volte ad Attilio.
Il Petroselli indagherà e alla fine condanneranno quattro-cinque disgraziati con il metodo ormai noto in Italia, ovvero il sorteggio.
I familiari di Attilio così saranno sì delusi dall’aver avuto un figlio drogato, ma risarciti da condanne che in qualche modo, pensa qualcuno, allevieranno il dolore.
Avranno, insomma, qualcuno da odiare che non sia un magistrato, e prima o poi si rassegneranno: in fondo si trattava di un tossico.
Poi c’è ció che auspico.
Ovvero che fra 20, 30 anni, grazie a qualche pentito e a qualche magistrato rompicoglioni e che abbia una vista più profonda del proprio naso, che abbia voglia di lavorare e che ne capisca qualcosa di mafia, a differenza di pubblici ministeri assolutamente incompetenti sul tema, si riapriranno le indagini.
E fra quarant’anni, mentre io sarò in qualche parte del mondo a fare qualcosa, si spera a non lavorare, sentiró alla radio la notizia della condanna di alcuni macellai dei clan mafiosi, ovvero gli esecutori materiali, e che il mandante dell’omicidio era stato Zio Binnu, che al di là di qualche miracolo di matrice berlusconiana, sarà già all’inferno.
Forse ci saranno i genitori di Attilio, centenari. E certamente suo fratello Luca.
Quel giorno si ristabilirà che Attilio Manca è stata una vittima innocente della mafia, che non aveva mai assunto in vita sua stupefacenti, che non si trovava in Francia per una gita ma per accompagnare Provenzano.
Il pm urlerà in aula che per quasi mezzo secolo il dottor Manca è stato additato come drogato e suicida da una procura che ha la stessa competenza sulla mafia di quella che Emilio Fede ha con il giornalismo.
Quel giorno io faró solo una telefonata, e sarà a Renzo Petroselli, che mi risponderà da una bocciofila.
Quel che gli dirò, beh quel che gli dirò sarete i primi a saperlo.
scritto da Benny Calasanzio.
http://www.bennycalasanzio.com/2011/12/omicidio-manca-vi-spiego-come-finira.html
Tratto da: www.informarexresistere.fr