Ricordando una tragedia dimenticata, nel giorno del ricordo.
Nel 2013, il cantautore Simone Cristicchi portò in scena a teatro il massacro delle foibe.
Noi partiamo da qui per ricordare quei fatti.
Una pagina della nostra storia troppo spesso dimenticata e che oggi, fortunatamente, sta ritornando tra i banchi di scuola, perché non servono censure nel passato.
Il 10 febbraio si celebra infatti il Giorno del ricordo, una solennità civile nazionale italiana, istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, che vuole rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati italiani durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra (1943-1945), e della più complessa vicenda del confine orientale».
Tutti i morti sono uguali?
Questa è la domanda che dobbiamo porci ogni volta che notiamo atteggiamenti di diniego del passato. Esistono vittime di serie A e vittime di serie B?
I negazionisti tendono a ridimensionare il fenomeno delle foibe, come atto di vendetta dovuta contro i fascisti; le foibe vengono pertanto giustificate e le conseguenze del massacro ridotte.
I sostenitori della tesi del genocidio nazionale, invece, sostengono che gli italiani furono uccisi solo perché colpevoli della propria nazionalità. Le foibe vengono intese quindi, in questo caso, come un crimine del comunismo.
Con il musical Magazzino 18, Simone Cristicchi ha provato ad alzare il tappeto e a porre una lente d’ingrandimento su un tabù drammatico, dando voce alle vittime dell’esodo giuliano-dalmata.
Non c’entra il fascismo, non c’entra il comunismo, il caso delle foibe è stata una strage di uomini che meritano di essere ricordati ancora oggi.
Pagare con la stessa moneta chi ha sbagliato non è una forma di giustizia, ma è una sterile vendetta, una vendetta che ha coinvolto anche vittime innocenti che con il fascismo non avevano nulla a che fare.
Quel musical , a Cristicchi, è costato l’accusa di fascista, tanto odio riversato su uomo che ha l’unica colpa di voler ricordare il passato e imparare da esso.
Ma è stato capito il messaggio del cantautore romano?
Artista impegnato, che non si cela certo dietro il politicamente corretto, Cristicchi racconta con il musical il dramma di molti italiani costretti ad abbandonare la propria terra dopo la sconfitta dell’Italia nel secondo conflitto mondiale.
Giunti nei territori della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia, i vittoriosi uomini jugoslavi di Tito hanno sterminato un’intera popolazione indiscriminatamente, costringendo i superstiti alla fuga. Il magazzino 18, al Porto Vecchio di Trieste, è il silenzioso custode della memoria di un popolo lacerato. Qui sono conservati infatti armadi, letti, sedie, fotografie e giocattoli degli esuli, testimonianze di chi ha lasciato le proprie case verso l’ignoto, verso l’incertezza del domani, la speranza di un futuro migliore.
Perché il silenzio è come una bomba, sarà per sempre la nostra tomba.
(S. Cristicchi, da Dentro la buca)
Norma Cossetto era nella buca, una studentessa universitaria istriana di soli 24 anni, torturata, violentata e gettata in una delle tante foibe del territorio della Venezia Giulia, nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943. Medaglia d’oro al merito civile, è una testimonianza di coraggio e di amor patrio.
Ancora adesso la notte ho gli incubi, al ricordo di come l’abbiamo trovata: mani legate dietro alla schiena, tutto aperto sul seno il golfino di lana tirolese comperatoci da papà la volta che ci aveva portate sulle Dolomiti, tutti i vestiti tirati sopra all’addome […] Ho cercato di guardare se aveva dei colpi di arma da fuoco, ma non aveva niente; sono convinta che l’abbiano gettata giù ancora viva. (Dal racconto di Licia Cossetto, sorella di Norma)
Graziano Udovisi era nella buca.
Nato nel territorio istriano, è tenente della Milizia Difesa Territoriale. Catturato e torturato, il 14 maggio 1945 viene trascinato in prossimità della foiba di Fianona per essere trucidato. Liberatosi i polsi dal fil di ferro che lo legavano, si getta nel baratro prima che una raffica di mitra lo uccidesse. Nella foiba c’è una pozza d’acqua, così riesce a salvarsi e, risalendo, porta con sé un altro uomo, Giovanni Radeticchio.
Cosa rispondere quindi alla domanda “Tutti i morti sono uguali?”.
Ci ha pensato per noi lo scrittore Primo Levi, vittima innocente della violenza nazifascista, ricordato ogni 27 gennaio in occasione del Giorno della Memoria.
Sì, tutti i morti sono uguali.
Non sono facile all’odio. Lo ritengo un sentimento animalesco e rozzo, e preferisco che invece le mie azioni e i miei pensieri, nel limite del possibile, nascano dalla ragione; per questo motivo, non ho mai coltivato entro me stesso l’odio come desiderio primitivo di rivalsa, di sofferenza inflitta al mio nemico vero o presunto, di vendetta privata. […] Devo confessare che davanti a certi visi non nuovi, a certe vecchie bugie, a certe figure in cerca di rispettabilità, a certe indulgenze, a certe connivenze, la tentazione dell’odio la provo, ed anche con una certa violenza: ma io non sono un fascista, io credo nella ragione e nella discussione come supremi strumenti di progresso, e perciò all’odio antepongo la giustizia. (Primo Levi)
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