MAGDA, TIZIANO, GIUSEPPE – Corpi estranei… tra mafia, poteri occulti, fondi europei, pascoli, archiviazioni nel cuore dei Nebrodi
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MAGDA, TIZIANO, GIUSEPPE – Corpi estranei… tra mafia, poteri occulti, fondi europei, pascoli, archiviazioni nel cuore dei Nebrodi

La storia di Magda Scalisi, vittima di intimidazioni, della sua azienda agricola il “Rifugio del Parco”; le parole dell’ex presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, scampato a un attentato mafioso, Tiziano Granato, che la stessa Scalisi definisce di essere “il numero uno nelle tecniche di indagini sull’agromafia, sulle ecomafie e sulle mafie dei pascoli” e che faceva parte della squadra dei poliziotti vegetariani guidati dal vicequestore Daniele Manganaro, in primo piano dopo l’intervista ieri su La7, mentre Lorena Ricciardello lancia l’hastag: #iostoconmagdascalisi

 

La storia di Magda Scalisi, vittima di intimidazioni, della sua azienda agricola; le parole dell’ex presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, scampato a un attentato mafioso e che oggi afferma ancora fiducioso «Soffia un vento nuovo da queste parti, chi denuncia non resterà isolato»; La morte, le cui circostanze e i motivi ancora non sono definiti, viste le lungaggini degli accertamenti dei Ris,  di Tiziano Granato, che la stessa Scalisi definisce di essere “il numero uno nelle tecniche di indagini sull’agromafia, sulle ecomafie e sulle mafie dei pascoli” e che faceva parte della squadra dei poliziotti vegetariani guidati dal vicequestore Daniele Manganaro  ritornano in primo piano dopo l’intervista ieri su La7, lasciandosi dietro ombre inquietanti.

Sembrano essere quasi «corpi estranei» e come tali da essere “necessariamente” eliminati, fisicamente, politicamente, operativamente, moralmente, messi ai margini dal quel corpo-sistema mafioso, che va abbraccio con finanziamenti pubblici, politica, colletti bianchi, e servizi deviati.

Sono storie singole che oggi, anche dopo l’intervista di ieri su La7 si uniscono e si arrotolano in logiche e fili difficili da non vedere.

Magda è giovane, prova a fare impresa sui Nebrodi.

Lei non vuol far l’eroina, ma da fastidio da subito alle cosche dei Nebrodi, a quegli allevatori della zona che da sempre convivono con i clan e che intorno al Rifugio del Parco, a 1200 metri di altitudine, trovano pascoli, terreni, buoni anche per far vivere greggi fittizi, o averli in concessione per poche lire ma che nel moltiplicatore dei fondi europei diventano miniere d’oro..

Magda Scalisi ha solo 36 anni, ha scelto di vivere, trasferendosi da Palermo, nel Parco e qui subisce le pressioni mafiose e per lei, da mesi, è tutto più difficile.

http://www.la7.it/nonelarena/video/mafia-dei-terreni-la-testimonianza-dellimprenditrice-agricola-magda-scalisi-07-05-2018-240892

Lei ha vinto un bando a evidenza pubblica, gestisce il Rifugio del Parco, un ristorante e un pò camere,  e dice: «Da quel momento, però, mi ritengono un corpo estraneo e sono odiata pure perché chiedo le fatture. Sì, ci sono stati fornitori che si sono offesi perché ho chiesto che mi rilasciassero le fatture: mi hanno detto che non era mai successo prima».  

Così le uccidono i cani, le tagliano le recisioni, i suoi terreni sono invasi dai suini allo stato brado, è oggetto di strane attenzioni.

Tutto attorno ci sono terreni sequestrati per mafia e c’è chi vuole che quell’attività non decolli, non cresca, non allarghi i suoi interessi su quelle terre, di fatto non dia neanche posti di lavoro e occupazione. Ma è anche difficile andar a lavorare per lei.

C’è paura e ci sono le sono estorsioni mascherate, col sistema dei prezzi e dei fornitori imposti.

C’è poi Giuseppe Antoci, ora vive super scortato, lui invita le autorità a non lasciare Magda da sola: «Soffia un vento nuovo da queste parti, chi denuncia non resterà isolato».  Ma anche lui si trova “isolato“. Strano a dirlo ma è così. E’ in trincea anche se difficilmente lo ammette. Sopratutto ora che gli autori del suo attentato sono ancora senza volto.

Anzi vista l’archiviazione del caso non l’avranno mai, a menoche non esca qualche “pentito” a raccontar la storia e di chi voleva la sua morte.

I colpevoli che la notte tra il 17 e il 18 maggio del 2016 gli tesero l’agguato nel bosco di Miraglia tra Cesarò e San Fratello sono fantasmi.

L’ha detto, a due anni dall’accaduto, la procura diretta da Maurizio De Lucia anche se in quegli stessi atti si evidenzia che l’attentato venne svolto per uccidere.

Mica noccioline.

Il piano avrebbe previsto, dopo gli spari partiti dal fucile calibro 12, il lancio di molotov per fare uscire il presidente del parco dalla macchina e quindi giustiziarlo lì, sul posto.

Il piano sarebbe saltato per l’intervento del vicequestore della polizia  Daniele Manganaro, dirigente del commissariato di Sant’Agata, che viaggiava sull’auto di scorta e di un altro poliziotto, Tiziano Granata.

Nulla dal Dna, anche se vennero trovati i mozziconi delle Camel, delle Rorhmans e della B&H fumate dagli attentatori in attesa. Quel Dna non appartiene a nessuno dei 14 mafiosi iscritti da subito nel registro degli indagati.

Così l’agguato contro il presidente del parco dei Nebrodi che con un protocollo, oggi legge di Stato, ha creato uno straordinario strumento per contrastare le infiltrazioni mafiose e l’accesso ai Fondi Europei, resta immerso nel suo cono d’ombra.

Inquietante.

Resta un mistero anche le condotte tenute dai sospettati. Per molti attenti, guardinghi, mai un passo falso, neanche al telefono, anzi le intercettazioni rivelano una conversazione in cui anche loro si domandano chi possa aver fatto l’agguato ad Antoci. Quasi un tentativo di costruirsi un alibi perfetto.

Per altri comportamenti innocenti di chi non ha nulla da temere o da nascondere.

Per altri ancora, più cinici e sospettosi, quasi l’accorta e perfetta regia di chissà chi, per non far trapelare nulla, recitava un copione scritto in altri luoghi.

Ed è qui che nascono i dubbi e che coinvolgono la morte di Tiziano Granata prima e di Rino Todaro dopo e la richiesta pressante di aver certezze su quanto è accaduto ai due poliziotti, amici, morti a distanza di poche ore. Singolar coincidenza. Certamente possibile, ma sicuramente strana.

Ma analizzando tutti i fatti, potrebbe essere un punto di partenza per comprendere, almeno provarci, senza cadere in facile teorie complottistiche, che lasciamo fare a chi sa far bene questo mestiere, in un’Italia che di piste deviate, di insabbiamenti e di storie strane ne ha pieni gli archivi.

Nella sequenza dei fatti partiamo proprio dai killer  che spararono su Giuseppe Antoci.

Era facile intuire che il suo protocollo di legalità avrebbe compromesso i guadagni derivanti dai fondi europei, dall’affitto dei terreni. Che metteva in gioco tanto, anche la tranquillità di quei boschi omertosi, capaci di accogliere dai fenomeni di abigeato, alle macellazioni clandestine, dal contrabbando di medicinali dopanti ad altre scorie dell’illecito umano.

C’era una squadra di poliziotti, oggi definiti da tanti eccezionali, unici, preparati e “sbirri”, che da tecnici come lo era Tiziano Granato, si preparavano, si supportavano a vicenda, indagavano come mai nessuno altro aveva fato, con competenza e senso dello stato, a controllare i “passaggi” di quei terreni in affitto dentro e fuori il Parco, pronti a accendere i riflettori sul commercio clandestino delle carni, sulle macellazioni illegali, sulle malattie degli stessi animali, mal controllati, dopati, provenienti da chissà dove.

Li chiamavano “vegetariani” perchè quasi si schifiavano a mangiar la carne di quelle terre che sapevano bene che lordure contenesse.

E c’erano le operazioni concrete, silenti prima, ma zeppe di risultati concreti  poi.

Tiziano Granata era il braccio destro del vice questore Daniele Manganaro, e con loro lavorava pure Rino Todaro, tanto preparato quanto simpatico.

Ora per magia Giuseppe Antoci non è più alla guida del Parco.

Tiziano Granata e Rino Todaro sono morti a distanza di 24 ore l’uno dall’altro, apparentemente per cause naturali.

Quel pool investigativo non opera più perchè privo di uomini e competenze e ci vorrà tempo per rimetterlo in piedi, mentre c’è chi parla di incomprensioni, isolamenti, clima di sospetto.

La stessa Magda Scalisi – come altri – è frutto di questo sfacelo.

E così stamani, Lorena Ricciardello, la compagna di Tiziano, una che non si arrende, lancia l’appello “chiedo la condivisione, – si riferisce al suo post pubblicato su facebook –  perché non è possibile che non s’adda sapere“.

E aggiunge riferendosi a quanto visto in tv: “Ma guardatela la storia d’Italia. Con tutti i suoi nomi e tutte le sue lapidi. I mafiosi preferiscono la vita comoda, gli affari illeciti, la tranquillità (ovviamente milionaria) per i loro figli e i loro nipoti. Ma non accettano di essere ostacolati nel loro cammino….. La storia ci insegna che la mafia ha sempre ammazzato, quando le è tornato utile. E che quando non l’ ha fatto, sono puntualmente tornati alla ribalta i cantori della sua scomparsa. E oggi? qual è la situazione che stiamo attraversando?

Per lei è necessario sostenere la dott.ssa Magda Scalisi.

“Per chi vive sui Nebrodi, manifestazioni di solidarietà devono essere compiute, solidarietà per una donna vittima di intimidazioni”.

Quindi si rivolge ai Giovani: “Abbiate il desiderio, il coraggio, la voglia, la forza e la volontà di volere il cambiamento! Denunciate voi stessi gli illeciti, siate d’aiuto alle forze dell’ordine, e siate solidali, sostenete chi è vittima di atteggiamenti mafiosi. Voi siete il cambiamento!” e continuando dice Vi ricordo che la mafia si è evoluta e facilmente ne potete essere “affascinati”: ma come è iniziata può anche finire. a voi la scelta di decidere da che parte stare!”

E lancia l’hastag:  #iostoconmagdascalisi

29 Maggio 2018

Autore:

redazione


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