L’ipotesi di bullismo è stata sollevata da un suo amico: «Sarete contenti adesso… maledetti bulli» ha scritto in una «story» pubblicata su Instagram il giorno dopo la tragedia.
Il padre del ragazzino suicida ha evidenziato l’episodio ai carabinieri, consegnando loro quel messaggio, ma prima l’ha mostrato a una vicina: «Voglio vederci chiaro» le ha detto.
Per i carabinieri è scattata l’indagine ed hanno convocato nei giorni scorsi, in caserma, oltre agli stessi familiari, i compagni di scuola, l’ex fidanzatina, gli amici “del muretto”.
Sul caso di questo giovane suicida ora è stato aperto un doppio fascicolo – quello della procura ordinaria e quella della procura dei minori – non c’è ipotesi di reato, non ci sono indagati, si evita di parlar di bullismo, ma non si esclude nessuna pista, compresa quella delle motivazioni personali.
Di certo si vuol far luce al più presto sulle cause che hanno determinato quel “volo” e non può di certo bastare quel biglietto con scritto «mi dispiace» e dei video per i familiari in cui il ragazzo chiede scusa.
Video dove non c’è cenno ad eventuali maltrattamenti nè a scherzi quotidiani o altre delusioni personali che avrebbero potuto creato un vuoto incolmabile nella sua testa.
Ma del disagio che lui avvertiva ne parlano però alcuni compagni di scuola che indicano anche chi potrebbe aver oltrepassato il limite del semplice sberleffo con il loro amico, preso spesso in giro per motivi stupidi: il modo di camminare, qualche chilo in più, il non riuscire a correre veloce come gli altri, persino la sua squadra di calcio del cuore, il Bologna.
Sono i suoi coetanei – si legge nell’articolo\inchiesta di Maria Centuori sul Corriere.it, – sconvolti da giorni, a raccontare al termine delle lezioni che «era preso di mira continuamente, dal primo anno», «ma era un buono, non rispondeva e incassava», «lo insultavano per il suo modo di muoversi e camminare».
Proprio durante l’ultima uscita con la scuola, meno di una settimana fa, «sull’autobus era un continuo prenderlo in giro per i suoi chili di troppo». «È molto meglio un pugno in faccia: usare le mani fa meno male dell’aggressione verbale, soprattutto se è una costante quotidiana, nei corridoi e fuori da scuola», riflette con gli occhi lucidi un altro quindicenne.
E i compagni di classe continuano a ripetere: «Ci sentiamo tutti colpevoli, avremmo potuto fare di più. Abbiamo il rimorso di non avergli fatto capire fino in fondo che gli volevamo bene».
Nella sua scuola c’è tensione. Lo scorso venerdì i rappresentanti d’istituto ed alcuni professori, appena giunta la notizia, sono dovuti intervenire in difesa di un gruppetto di ragazzi accusati di esseri i bulli che erano stati accerchiati da altri giovani che gli urlavano addosso la parola «infami».
C’è chi dice di star calmi, evitando inutili cacce alle streghe, mentre uno psicologo è stato chiamato a dar supporto ai ragazzi che compongono la classe del ragazzino, in un clima dove si cerca anche di tutelare la scuola. Gli stessi genitori – degli altri – non vogliono sentir parlare di bullismo, terrorizzati che i figli possano aver ingigantito le cose.
Mai sono proprio i giovani studenti di quella scuola che, di contro, non hanno paura a pronunciare quella parola: «Magari c’erano anche altri problemi che lo hanno spinto a un gesto del genere, ma le campagne di sensibilizzazione a cui partecipiamo non raccontano nulla di diverso da quello che poteva vivere lui».
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