Ancora sei migranti salvati a Marettimo, ricerche gommone a Pantelleria, mentre la marineria di Malta, complice il governo, si rifiuta di prestare ogni soccorso ai barconi dei migrantes.
Un comportamento che tutta l’Europa dovrebbe sansionare.
Intanto la croconaca racconta che è stato soccorso in nottata il barcone alla deriva nel Canale di Sicilia con 210 profughi provenienti dalla Libia, tra i quali donne e bambini.
L’imbarcazione, che aveva il motore in avaria, era a 50 miglia a Sud di Lampedusa.
Intanto, e’ stato localizzato anche il gommone con otto tunisini che ieri avevano lanciato l’Sos con un cellulare: si troverebbe a un quindicina di miglia da Pantelleria.
Sono in corso ricerche.
Salvati stanotte dalla Guardia costiera, a 20 miglia da Marettimo, 6 tunisini su una barca in avaria.
Malta. Tra ‘campi’ e dispositivi di controllo della mobilità (*)
Alessandra Sciurba
Perché Malta
L’analisi delle politiche maltesi relative all’immigrazione e all’asilo può rivelarsi utile per approfondire maggiormente il funzionamento delle politiche dell’Unione europea sulla materia, e per parlare in modo specifico del ruolo che la gestione dei movimenti migratori occupa rispetto alla ridefinizione degli equilibri internazionali tra gli Stati membri dell’Ue. L’esame della particolare situazione maltese può infatti offrire specifiche prospettive per una valutazione delle modalità poste in essere e degli obiettivi perseguiti dai governi europei nell’applicazione dei dispositivi di ‘regolazione’ delle migrazioni.
La posizione geografica e la peculiarità geopolitica di Malta, unitamente alla fase storica che il paese si trova ad attraversare, caratterizzata dal suo recente ingresso tra gli Stati membri dell’Ue, la rendono infatti un luogo per così dire ‘privilegiato’ da cui osservare l’evoluzione delle politiche comunitarie sull’immigrazione e sull’asilo.
Come avviene in tutti i paesi che fanno parte dell’Unione (e in molti di quelli in cui l’Ue ha esternalizzato la gestione delle sue frontiere), una delle caratteristiche fondamentali delle politiche migratorie seguite dal governo è l’istituto della detenzione amministrativa per coloro che hanno fatto ingresso ‘irregolare’ sul suolo maltese. A Malta più che altrove, però, questo tipo di detenzione sembra essere stato messo in pratica secondo principi e prassi così in contrasto con le Convenzioni internazionali a tutela dei diritti fondamentali della persona e con le Direttive europee in materia di asilo e protezione umanitaria, da aver attirato l’attenzione e le critiche di Istituzioni quali l’European Committee for the prevention of Torture (che si è recata a Malta in visita ufficiale nel 2004) e la Commissione dei Diritti Civili, Giustizia e Affari Interni del Parlamento europeo (che ha invece inviato una propria delegazione nel marzo del 2006).
Anche alla luce del fatto che il progetto di direttiva comunitaria sul rimpatrio forzato sembra prossimo all’approvazione definitiva, e con esso una disciplina uniforme della detenzione amministrativa a livello europeo, appare allora legittimo chiedersi quali siano le differenze tra l’attuazione di questa forma detentiva negli altri paesi Ue e il modo in cui viene praticata all’interno del territorio maltese e perché qui abbia suscitato tali critiche ufficiali.
Lo studio dell’istituto della detenzione amministrativa applicato sul suolo maltese, inoltre, può trovare maggiore completezza e suscitare riflessioni interessanti, se posto in relazione con tutte quelle recenti teorie filosofiche, sociologiche e antropologiche che hanno cercato di reperire delle categorie per classificare e ‘decodificare’ gli attuali luoghi di concentramento e reclusione di esseri umani che spesso si continua a definire genericamente come ‘campi’. Cercheremo pertanto di interpretare la situazione maltese anche sotto questa prospettiva.
Non ci si può però limitare all’analisi delle condizioni di detenzione dei migranti a Malta senza considerare anche il piano più generale delle politiche migratorie di un governo che, ad esempio, risulta essere in Europa quello che concede in termini percentuali il maggior numero di protezioni umanitarie ai richiedenti asilo politico e che, nonostante il clima di tensione che la presenza dei migranti suscita nell’isola, ha istituito, a differenza di quanto accade in molti altri paesi dell’Ue, numerosi centri di accoglienza aperti (zone di concentramento formalizzate) per quasi tutti coloro i quali escono dai centri di detenzione amministrativa. È peraltro evidente come la presenza di migliaia di immigrati – regolari e non- su una piccola isola comporti conseguenze diverse da quelle ravvisabili nelle grandi metropoli europee o nelle zone agricole e industrializzate nelle quali i migranti prestano la loro attività dopo essere giunti in Europa.
Già da questi pochi elementi, si delinea pertanto il quadro di una situazione per nulla lineare ma anzi molto complessa e ricca di contraddizioni, a partire dalla quale si cercherà, nella parte conclusiva di questa analisi, di avanzare delle ipotesi circa il possibile futuro delle politiche migratorie maltesi nella prospettiva del nuovo contesto transnazionale dell’Unione europea, regolato da Accordi internazionali come quelli di Schengen e da Convenzioni come quella di Dublino.
Descrizione geo-politica di Malta in relazione al fenomeno dell’immigrazione dal Nord-Africa
Il governo maltese esercita la propria sovranità nazionale su un territorio di appena 316 chilometri quadrati e su una popolazione di circa 400.000 cittadini. Malta è pertanto uno di quei “micro-Stati” la cui peculiarità è stata lungamente descritta da Tom Nairn nel suo contributo a un bel libro sulle frontiere europee (1). La densità demografica dell’isola appare molto elevata con 1200 persone in media per chilometro quadrato e, di conseguenza, più del 23% del suolo a disposizione risulta edificato (2). Tali dati si trovano riportati in tutti i documenti redatti dalle autorità maltesi, ogni qual volta queste si siano ritrovate a dover illustrare le politiche messe in atto per la gestione dell’immigrazione sull’isola, o abbiano chiesto l’intervento attivo degli altri Stati membri dell’Ue a questo riguardo. Quando si parla di gestione o di controllo dell’immigrazione irregolare, appare infatti inevitabile ribadire la particolare posizione geopolitica dello Stato maltese.
Due comparazioni possono forse aiutare a descrivere meglio la sua specificità. Per le sue dimensioni e per la posizione geografica, Malta – seppur più vasta in termini di territorio e popolazione – potrebbe essere paragonata all’isola di Lampedusa, in Sicilia, che negli ultimi anni è stata lo scenario italiano privilegiato degli sbarchi di migliaia di persone provenienti dai più disparati paesi africani ma salpate soprattutto dalla Libia. Entrambe le isole, infatti, si trovano nel cuore del Mar Mediterraneo, lungo la rotta dei migranti partiti dal Nord Africa con lo scopo di raggiungere l’Europa. Tra l’isola di Malta e quella di Lampedusa esiste però una differenza fondamentale e dirimente ai fini del nostro studio: l’isola di Lampedusa è una piccola porzione del territorio di uno Stato molto più vasto. I migranti che vi approdano, pertanto, fanno automaticamente ingresso sul suolo italiano e sono soggetti alle leggi nazionali dell’Italia: dopo un periodo più o meno breve di trattenimento nel centro di detenzione amministrativa dell’isola, vengono da qui smistati in altri centri italiani e seguono le procedure stabilite dalla legge nazionale sull’immigrazione (3). Di contro, Malta è uno Stato a sé stante. Quando un migrante vi approda, pertanto, è tenuto a rimanere all’interno del territorio maltese dove dovrà attendere lo svolgersi delle procedure atte a stabilire la sua posizione giuridica e dove in seguito dovrà rimanere secondo le condizioni previste dalla legge per il suo status. Malta, quindi, a differenza di Lampedusa, è uno Stato-nazione che deve affrontare all’interno del proprio territorio le problematiche connesse col fenomeno dell’arrivo dei migranti sulle proprie coste.
La particolare posizione di Malta come paese di frontiera all’estremo sud dell’Unione europea, mai considerato dai migranti come meta del loro viaggio ma solo come luogo in cui si transita per necessità (4), potrebbe altresì indurre a paragonare Malta a quegli Stati che, come abbiamo visto, pur non facendo parte dell’Unione europea, risultano interessati nella gestione e nel controllo dei flussi migratori dall’Africa al vecchio continente. Si potrebbe ad esempio accostare la situazione maltese a quella dei paesi del Maghreb direttamente coinvolti dagli Stati membri nel controllo dei confini esterni dell’area Schengen e dello spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia definito dal programma dell’Aja nel 2004 (5). Con questi paesi l’Unione europea ha infatti stipulato accordi che comprendono clausole relative al contrasto dell’immigrazione cosiddetta clandestina verso l’Europa come quello con il Marocco firmato nel 1996 ed entrato in vigore nel 2000 (6). Ma, anche questa volta, il paragone regge fino a un certo punto: Malta, infatti, a differenza del Marocco, della Libia e degli altri paesi della sponda sud del Partenariato Euromediterraneo, è, se pur da breve tempo, membro a pieno titolo dell’Unione europea e questo, per ovvi motivi, rende impossibile che lo Stato maltese possa rapportarsi al resto dell’Ue come controparte di accordi di riammissione o come paese cosiddetto ‘terzo’ rispetto al transito dei migranti verso gli Stati membri.
Diversa dalle altre isole del Mediterraneo come dai paesi della sponda sud dell’area euromediterranea, Malta vive pertanto una condizione la cui particolarità diviene drammaticamente evidente in conseguenza della recente intensificazione del fenomeno migratorio sul suo territorio e delle politiche adottate dal governo maltese a questo riguardo.
Il fenomeno dell’immigrazione irregolare inizia a interessare l’isola di Malta in tempi relativamente molto recenti. Fino a pochi anni fa, infatti, il numero dei migranti che raggiungevano per mare le coste maltesi e facevano ingresso nel territorio del piccolo Stato violando le leggi nazionali era davvero poco considerevole: nel 2000, stando alle statistiche ufficiali del governo, arrivano a Malta soltanto 24 migranti irregolari (7). Di contro, già due anni più tardi, i dati cambiano in maniera considerevole. Nel 2002 viene toccato il record ad oggi insuperato di 1686 arrivi in un anno; nel 2003 si passa a 502, per risalire nel 2004 a 1388 migranti arrivati in 52 gruppi differenti (8). Tali cifre vanno evidentemente analizzate in proporzione all’estensione del territorio maltese e al numero dei suoi abitanti: l’arrivo di un migrante irregolare a Malta è paragonabile all’arrivo di 114 migranti in Italia e di 150 nel Regno Unito (9).
Per affrontare e regolamentare l’improvvisa presenza di così tanti cittadini stranieri, il governo maltese decide quindi di dare completa attuazione all’Immigration Act, un testo di legge già redatto nel 1970. In questo Atto l’ingresso irregolare sul territorio maltese non viene considerato un criminal offence, ovvero un reato penalmente perseguibile. Come avviene nella maggior parte degli altri paesi europei, infatti, tale comportamento viene valutato come una violazione di tipo amministrativo. Ma, ciononostante, lo stesso testo di legge stabilisce che, nell’interesse della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico, “any person caught on Maltese territory without the right to entry, transit or residence, is considered a prohibited migrant and is detained until his/her deportation” (10), e fissa il limite temporale della detenzione amministrativa a un periodo massimo di diciotto mesi. Solo i richiedenti asilo, almeno formalmente, vengono trattenuti per un massimo di dodici mesi in attesa che venga presa una decisione sulla loro domanda.
La detenzione amministrativa dei migranti sull’isola
A Malta sono ufficialmente attive quattro strutture detentive dove sono trattenuti, indistintamente, migranti irregolari e richiedenti asilo. Esse ricadono tutte sotto la giurisdizione e la responsabilità del Ministero per la Giustizia e gli Affari Interni (Ministry of Justice and Home Affairs). I centri di Safi Barracks e Lyster Barracks sono direttamente gestiti dall’esercito, quelli di Ta’Kandja e Floriana sono invece affidati alle forze di polizia. Più del 10% degli effettivi tra esercito e polizia del paese sono destinati alla gestione di questi luoghi. In totale, nel mese di aprile 2006 (11), i trattenuti risultavano essere circa 1000, per un rapporto di migranti detenuti per cittadini maltesi di 1 a 400. Alle sopraccitate strutture ufficiali, Rodier e Teule consigliano di aggiungere anche “le dépôt de l’Aéroport international où sont gardés les étrangers en voie de refoulement et qui n’est donc pas un lieu de séjour, même s’ils peuvent être amenés à y dormir”, e “l’hôpital du Mont carmel vers le quel sont dirigés les étrangers maintenus lorsqu’ils manifestent des troubles psychiatriques” (12).
Nessuno di questi luoghi di detenzione amministrativa, secondo una modalità caratterizza larga parte dei centri di detenzione europei, risulta essere stato costruito per questo scopo: si tratta sempre di zone militari riadattate o di commissariati di polizia. La gente vive ammassata in piccole stanze oppure nelle zone adibite a tendopoli, nei cortili esterni, freddi d’inverno e roventi durante l’estate.
All’interno dei centri chiusi non operano regolarmente organizzazioni cosiddette umanitarie e l’unica assistenza giuridica è gratuitamente offerta dalla sezione maltese dei Jesuits for refugees, i cui membri hanno il diritto di accedere ai centri e quindi la possibilità di monitorarne le condizioni anche quotidianamente.
All’interno dei centri, dove il limite massimo della detenzione è di 18 mesi (è su standard ‘al rialzo’ di questo tipo che ha scelto di orientarsi la Commissione europea per la su Direttiva sui rimpatri), si rimane in realtà per un periodo di tempo variabile a seconda di diverse condizioni. Le categorie cosiddette ‘vulnerabili’ (donne incinte, disabili, anziani) vengono identificate dall’Appoġġ, una fondazione governativa dipendente dal Ministero per la famiglia e gli Affari Sociali (Ministry for the Family and Social Solidarity) che procede ad agevolare il loro rilascio entro un mese. Secondo criteri molto più arbitrari, invece, somali ed eritrei vengono in media detenuti per 5 mesi e i migranti provenienti da paesi ai cui cittadini viene solitamente rifiutato il riconoscimento dello status di rifugiato scontano per intero i 18 mesi di reclusione.
È bene ribadire, a questo punto, come l’istituto della detenzione amministrativa per cittadini provenienti da paesi terzi sia un istituto largamente diffuso e pienamente collaudato all’interno di tutti i paesi membri dell’Ue nonostante possa comportare la violazione di norme costituzionali (si pensi all’Art. 13 della Costituzione italiana) e di principi consolidati affermati nel diritto internazionale. Perché, quindi, anche alla luce di quanto abbiamo esposto nel nostro paragrafo dedicato ai centri di detenzione amministrativa, proprio il governo maltese è stato richiamato più volte da diversi organismi internazionali in relazione ai suoi centri e perché a proposito di questi, e non di altri, l’Unhcr ha ribadito spesso la propria preoccupazione? (13).
La peculiarità della detenzione amministrativa applicata nello specifico contesto di Malta non può consistere nella sostanza di questo dispositivo giuridico applicato sostanzialmente in tutti gli Stati membri dell’Ue, né nella durata del periodo di detenzione che è uguale, ad esempio, a quella prevista per i migranti detenuti in Germania e che abbiamo detto essere diventato ormai diventato uno standard ‘europeo’. Neppure il fatto che all’interno dei centri di detenzione amministrativa maltesi vengano trattenuti anche i richiedenti asilo politico, durante tutto il periodo necessario al riconoscimento del loro status, fa particolare eccezione. In Inghilterra, ad esempio, – nonostante la Convenzione di Ginevra vieti agli Stati contraenti l’irrogazione di “sanzioni penali, a motivo della loro entrata o del loro soggiorno illegali, contro i rifugiati” e imponga che gli stessi Stati “limitino gli spostamenti di tali rifugiati soltanto nella misura necessaria” (14), e contrariamente a quanto afferma la recente disciplina comunitaria in materia (direttiva 2003/9) – la detenzione (e a tempo indefinito) dei richiedenti asilo è un fenomeno generalmente diffuso. (15)
Nella Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione dei rifugiati a Malta, immediatamente successiva alla missione della Commissione dei Diritti Civili, Giustizia e Affari Interni del 24 marzo 2006, si legge “che i richiedenti asilo sono detenuti in condizioni ben al di sotto delle norme riconosciute a livello internazionale e tra le preoccupazioni specifiche si annoverano le condizioni fisiche nonché l’accesso inadeguato o inesistente ai servizi di base, quali l’assistenza sanitaria, sociale e giuridica” (16) e che, di conseguenza, il Parlamento “deplora le inaccettabili condizioni di vita dei migranti e dei richiedenti asilo nei centri di detenzione amministrativa di Malta” (17). Anche questo stato di cose non sembra però riferibile in modo particolare solo alla situazione maltese.
È certamente vero che all’interno dei centri chiusi maltesi si riscontrino condizioni igieniche di eccezionale precarietà e che non appaia garantita la reale tutela di quasi nessuno dei diritti fondamentali dei trattenuti (18). Ma queste condizioni, definibili certo come inumane e degradanti, sono proprie anche dei Cpt italiani, dei centres de rétention francesi e, più in generale, sono potenzialmente verificabili all’interno di tutti i luoghi di ‘diritto speciale’ quali sono i centri di detenzione amministrativa. Riteniamo comunque che le condizioni di trattenimento che si verificano all’interno dei centri di detenzione amministrativa non siano un criterio adeguato per valutare questa istituzione nella sua struttura fondamentale e nelle sue funzioni.
Proviamo allora a considerare la condizione dei centri di reclusione presenti a Malta, all’interno del quadro più generale delle politiche maltesi di gestione delle migrazioni per cercare di comprendere quali caratteristiche li rendano un caso a sé stante.
Analisi del contesto politico europeo in cui Malta si trova inserita nella particolare prospettiva della gestione delle migrazioni. Conseguenze degli Accordi di Schengen e della Convenzione di Dublino – Malta ha fatto pieno ingresso nell’Unione europea aderendovi nel 2004 ed è uno dei paesi dove gli Accordi di Schengen, parte integrante del Trattato dell’Unione europea, sono in via di acquisizione. Abbiamo detto come tali accordi riconoscano ai confini tra Stati appartenenti e non appartenenti all’area da questi definita lo statuto ufficiale di “frontiere esterne” (19). Pertanto, Malta, nell’affrontare le problematiche connesse all’arrivo dei migranti sulle proprie coste, è obbligata a tenere conto della sua posizione di paese membro dell’Ue e di frontiera sud dell’area Schengen, ed è quindi vincolata al rispetto dei rigidi Regolamenti e delle Convenzioni internazionali che determinano in gran parte le sue politiche e le sue modalità di azione. Basti pensare come, secondo il Regolamento del Consiglio Europeo n.343/2003, (più famoso come Convenzione di Dublino II, i cui contenuti abbiamo già illustrato) Malta sia tenuta a trattare le richieste di asilo di tutti i migranti che vi fanno ingresso irregolare, poiché rappresenta per loro il primo paese d’accesso e pertanto quello deputato a questo compito (20). Il comportamento che il governo maltese ha mantenuto negli ultimi anni rispetto a questo particolare onere appare abbastanza sorprendente. Dalle statistiche ufficiali della Commissione Rifugiati di Malta, un organo finanziato dal Ministero della Giustizia e degli Affari Interni, che non comprende in via ufficiale alcun membro dell’Unhcr ma che dipende interamente dall’Office of the Refugee Commissioner, risulta che dal 2002 al 2005 sia stato riconosciuto lo status di rifugiato politico solo a 158 persone, ma che sia stata garantita la protezione umanitaria a 1483 migranti su un totale di 3205 richieste. Il 53% dei richiedenti hanno pertanto ottenuto un titolo di soggiorno e i relativi diritti ad esso connessi.
Se si raffrontano questi dati con quelli relativi alle procedure di riconoscimento dello status di rifugiato negli altri Stati membri dell’Ue, ci si accorge presto che questa percentuale maltese rappresenta una sorta di anomalia: in Italia, ad esempio, su 9.346 richieste d’asilo inoltrate nel 2005, i dinieghi non accompagnati dalla concessione della protezione umanitaria sono stati 9.157 (21).
In Europa (e non solo in Europa) si assiste infatti ad una profonda inversione di tendenza che ha di fatto svuotato il diritto d’asilo rendendolo sempre più difficile da esercitare (22) in conseguenza della crescente propensione degli Stati di accoglienza a considerare la maggior parte delle richieste formulate dai migranti come inattendibili o strumentali (23). Di contro, Malta risulta essere invece uno dei paesi in cui il diritto ad una protezione internazionale sembra venire ancora almeno in parte tutelato attraverso il rilascio di permessi di soggiorno per motivi umanitari.
Il conferimento di tale protezione, riconosce però, al migrante cui viene accordata, uno status che ha delle caratteristiche diverse da quelle connesse con lo status del rifugiato politico. La protezione umanitaria è infatti un istituto giuridico nazionale, valido soltanto all’interno dell’area del paese che la accorda. I 1483 migranti sopraccitati, quindi, sono persone formalmente tenute a rimanere sul territorio maltese. Alcuni di loro hanno provato e provano tuttora a lasciare Malta che, è bene ricordarlo, non ha mai rappresentato una meta per il loro viaggio e dove le condizioni di vita sono per forza di cose difficoltose, mettendosi in viaggio verso altri paesi dell’ Ue. Chi lo ha fatto in modo legale, imbarcandosi su un aereo con in mano un visto di ingresso di breve durata (cioè inferiore ai tre mesi) per entrare nel nuovo paese, allo scadere di questo, se rintracciato dalle forze di polizia, è stato nuovamente imbarcato e rispedito a Malta, l’unico Stato per il quale possiede un titolo di soggiorno valido.
Attraverso Sis ed il sistema Eurodac (24), infatti, le questure di qualsiasi paese aderente possono agevolmente risalire al curriculum vitae dei migranti fin dal momento in cui sono stati identificati in uno degli Stati Ue.
A tutto ciò il governo maltese non può opporsi in alcun modo.
All’impossibilità di smistare i suoi richiedenti asilo in altri Stati membri dell’Ue o di vedere sistemate altrove le persone cui ha concesso la protezione umanitaria si aggiunge inoltre, per Malta, l’impossibilità di eseguire una efficace politica di ‘rimpatri’ verso i paesi di provenienza dei migranti, mancando tanto i consolati stranieri che possano riconoscere i propri cittadini quanto le risorse economiche necessarie ad attivare i trasferimenti forzati. Gli unici rimpatri che avvengono regolarmente sono infatti quelli diretti verso i paesi del Nord Africa (dei quali esistono le ambasciate a Malta e con i quali sono in funzione collegamenti aerei regolari), mentre la maggior parte dei migranti che approdano sulle coste maltesi sono originari delle zone subsahariane del continente.
Malta, appare quindi ‘condannata’ ad accollarsi l’onere di gestire le vite di quasi tutti i migranti che arrivano sulle sue coste, fatta eccezione per quelli che, avendo cercato di sfuggire da questo Stato-prigione per via illegale, finiscono spesso ad accrescere il numero dei naufraghi morti, senza nome né memoria, che silenziosamente affollano le acque di quell’immenso “cimitero chiamato Mediterraneo” (25).
Partendo da questi presupposti è facile comprendere perché il piccolo Stato abbia più volte, specie negli ultimi anni, richiesto un intervento attivo da parte dell’Unione europea rispetto al fenomeno migratorio che lo riguarda. Nel già citato Policy Document si legge infatti che “Malta cannot be expected to carry the burden brought about by this human tragedy on its own” (26) e per questo motivo il governo maltese chiede, tra le altre cose:
un aiuto finanziario, secondo quanto previsto dall’istituzione del Fondo Europeo per i Rifugiati (European Refugee Fund II) per la costruzione di nuovi accommodation centres e per le politiche di integrazione e rimpatri;
l’assistenza tecnica e finanziaria necessaria a gestire le proprie frontiere data la sua particolare posizione di “southern most gateway to the EU” (27);
la partecipazione ai voli charter congiunti di rimpatrio dei migranti in base ad accordi europei o bilaterali.
Alla luce di quanto detto, trova nuovo significato il comunicato stampa in cui l’UNHCR “sottolinea l’importanza di un supporto dell’Unione Europea per Malta” ribadendo “la necessità di sostenere lo sforzo delle autorità maltesi nella gestione dei flussi misti nel bacino del Mediterraneo” (28).
Nella Risoluzione del Parlamento europeo più volte citata, viene addirittura lanciata alla Commissione la proposta “di prendere quanto prima un’iniziativa per una revisione del regolamento (CE) n.343/2000 (ovvero della cosiddetta Dublino II) che ne rimetta in causa il principio secondo il quale lo Stato membro responsabile dell’esame di una richiesta d’asilo è il primo paese d’accesso, che rappresenta un onere insopportabile per i paesi situati a sud e all’est dell’Ue instaurando invece un meccanismo equo di ripartizione delle responsabilità fra gli Stati membri” (29).
“Zone di concentramento”: i cosiddetto ‘open centres’. ‘Accoglienza’ e risvolti sociali
Sino ad oggi tutti i migranti che arrivano a Malta e che, nei modi in cui si è detto, vi vengono detenuti, dopo un periodo massimo di 18 mesi di detenzione rimangono quindi sul territorio dello Stato maltese a diverso titolo. Vi sono i rifugiati politici veri e propri che, come si è visto dalle statistiche ufficiali, sono una minoranza; vi sono poi tutti coloro i quali hanno ricevuto una protezione temporanea per motivi umanitari (che può avere come conseguenza dei titoli di soggiorno validi anche per sei anni (30)) e, infine, vi sono tutti i migranti che non hanno mai richiesto asilo o che hanno ricevuto un diniego alla loro richiesta e non hanno avuto concessa alcuna protezione. Quest’ultima categoria di persone è quella degli irregolari che non hanno alcun titolo di soggiorno legale ma che, come gli altri, restano all’interno del territorio. A questi ultimi viene consegnato un documento di freedom of movement grazie al quale, pur non occupando una posizione giuridica tale da garantire loro un soggiorno regolare o dei diritti, vengono autorizzati a restare sul territorio maltese a piede libero, avendo già scontato il loro periodo di detenzione amministrativa. Nella sostanza, allora, tutti i migranti, indipendentemente dal loro statuto giuridico, si ritrovano, allo scadere del periodo di trattenimento, a condividere la stessa condizione passando da una cella sovraffollata dietro sbarre e filo spinato ad una prigione non troppo più vasta:l’intero territorio dello Stato maltese. Una volta che i migranti escono dai centri di detenzione, pertanto, si trasferiscono nei cosiddetti open centres che diventano il loro luogo di residenza a tempo sostanzialmente indeterminato anche se, nel Policy Document si legge che per i migranti irregolari, questa condizione dovrebbe durare soltanto “until such time as these immigrants find alternative accommodation, proceed to a third country or return to their country of origin” (31).
Sono al momento in funzione a Malta quattro centri aperti che ospitano diverse migliaia di persone. Alcuni, come l’open centre di Marsa, a pochi chilometri dalla Valletta, sono luoghi per soli uomini. Altri, come il centro cattolico di Balzan, in un piccolo paesino dell’entroterra maltese, ospitano sia famiglie che uomini e donne singoli. Altri, come il centro di Balzan, in un piccolo paesino dell’entroterra maltese, ospitano sia famiglie che uomini e donne singoli. Questi spazi sono più o meno autogestiti a seconda delle loro caratteristiche fisiche e logistiche. Il centro di Balzan, ad esempio, risulta gestito da una comunità cattolica che svolge un ruolo più canonico di accoglienza consistente nel dare vitto, alloggio e qualche lezione di lingua. Quello di Marsa, invece, è formalmente amministrato da una Ong che però mette a disposizione appena quattro operatori pagati. Sostanzialmente, quindi, in questo centro i migranti si autorganizzano promuovendo anche piccole attività commerciali, aprendo caffetterie e ristoranti: una sorta di città piccola africana nel cuore di Malta, pur non segnalata in alcuna mappa geografica, sta lentamente prendendo forma.
In tutti i centri aperti, indipendentemente da come vengono gestiti, la vita dei migranti scorre lenta e priva di prospettive future. Data la difficoltà di trovare spazio in un mercato del lavoro tanto ridotto per varietà ed estensione, quasi nessuno esercita un mestiere, fatta eccezione per piccoli impieghi a cottimo rigorosamente a nero.
Non c’e posto per queste persone, ma non le si può mandare via. In tutti i centri aperti, però, indipendentemente da come vengano gestiti, la vita dei migranti scorre lenta e priva di prospettive future. Quasi nessuno esercita un mestiere, fatta eccezione per piccoli impieghi a cottimo rigorosamente a nero, data la difficoltà di trovare posto in un mercato del lavoro tanto ridotto per varietà ed estensione.
Non c’e posto per queste persone, ma non le si può mandare via. Da questo punto di vista, gli open centres di Malta potrebbero essere definiti come un tampone, una soluzione temporanea e improvvisata ad una emergenza che non si riesce e forse non si può, almeno in questo momento, affrontare in maniera programmatica.
Il risultato immediato di tutta questa situazione è, da un lato, la ghettizzazione, in parte scelta e in parte imposta, che i migranti subiscono a Malta e, dall’altro, esattamente come abbiamo visto avvenire a Lampedusa, l’emergere tra i cittadini maltesi di paure e tensioni negative contro gli ‘stranieri’ che sono state facilmente strumentalizzate da gruppi politici emergenti di estrema destra.
Nel marzo del 2006 sette automobili di alcuni membri della sezione di Jesuits for refugees presenti a Malta sono state date alle fiamme, insieme alla casa di una delle operatrici del Jrs più impegnata nel sostegno ai migranti e di uno ricercatore presso l’Università di Malta (32), accusato, nelle rivendicazioni degli attentati, di scrivere a favore dei migranti, della solidarietà, della pace tra i popoli. Questi episodi hanno avuto luogo in un clima surriscaldato da discorsi apertamente xenofobi portati avanti dalle forze di Anr, un gruppo politico nazionalista nato a ridosso delle prime ondate di sbarchi massicci sulle coste maltesi, e soprattutto dall’organizzazione denominata Imperium Europa, guidata dal leader Norman Lowell (33) che, nei suoi comizi, si rifà manifestamente a principi neonazisti.
Il governo maltese ha a lungo permesso l’agibilità mediatica di discorsi fanatici e segregazionisti su presunte invasioni di terroristi islamici e criminali di vario tipo provenienti dall’Africa, che hanno favorito quel meccanismo di riproduzione del pregiudizio di cui abbiamo lungamente parlato nei capitoli precedenti. Solo di recente è stata aperta un’indagine su Lowell, finalmente accusato di istigazione al razzismo. L’integrazione dei migranti a Malta appare pertanto difficile se non impossibile anche da questo punto di vista, e non è raro sentire raccontare o assistere direttamente a pestaggi e intimidazioni a loro danni (34).
È sulla base di questi presupposti che L’UNHCR ha manifestato la volontà di impegnarsi nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica maltese attraverso una campagna “mirata a promuovere una maggiore comprensione della condizione di richiedenti asilo e rifugiati a Malta” (35).
Il caso di Malta dal punto di vista di una ‘teoria dei campi’
Nello stesso testo in cui Foucault sottolineava l’importanza di affrontare il problema del Gulag andando oltre una “denuncia di tutti gli internamenti possibili” (36), ma facendo riferimento “in modo specifico ad ogni società socialista nella misura in cui ciascuna di esse, dopo il 1917, non è di fatto arrivata a funzionare senza un sistema più o meno sviluppato di Gulag”, egli si proponeva di esaminare l’istituzione carceraria innanzitutto attraverso “l’analisi di un regime di pratiche” (37). Sottolineiamo l’importanza di un simile presupposto nella trattazione della materia che si sta qui affrontando, perché esso ci permette di intraprendere un percorso che, partendo dal considerare le pratiche in cui si concretizza la gestione delle migrazioni in Europa, porta a confrontarle con gli intenti dichiarati nei testi di legge nazionali e comunitari al fine di mettere in luce eventuali discrepanze e contraddizioni. Riteniamo che questo modo di procedere possa portare all’emersione di alcuni interrogativi funzionali alla costruzione di una specifica analisi delle forme di sconfinamento dei migranti che vada oltre le evidenze e le dichiarazioni ufficiali.
Se si accetta l’ipotesi che non sempre gli scopi dichiarati di alcune politiche risultino compatibili con le spinte di vario tipo che profondamente le determinano o combacino con i reali obiettivi raggiunti e che, quindi, esista una distanza “tra i progetti e le evidenze”, tale ipotesi appare ad esempio particolarmente adatta a interpretare le moderne politiche di controllo delle migrazioni. Nello specifico caso dei centri di detenzione amministrativa, sorti un po’ ovunque in Europa negli ultimi decenni, lo scopo dichiarato è quello di trattenere migranti privi di permesso di soggiorno durante il periodo di tempo necessario a prepararne l’espulsione. Alla luce delle statistiche che danno conto del funzionamento di queste strutture, si evince immediatamente come esse, un po’ dovunque, si siano rivelate inefficaci rispetto a questo obiettivo (l’espulsione dei trattenuti) e palesemente svantaggiose dal punto di vista del rapporto economico tra le risorse investite nella loro gestione e i risultati ottenuti.
Ciononostante, la loro esistenza non è mai stata sostanzialmente rimessa in discussione dalla politica istituzionale ma, al contrario, in tutta Europa e nei paesi limitrofi alle frontiere dell’Ue, essi continuano a venire costruiti e messi in opera. Sulla scia di questi ragionamenti, possiamo allora interrogarci sulla possibilità che, al di là delle funzioni dichiarate, sia possibile riscontrare in tali dispositivi di concentramento e detenzione dei migranti delle funzioni latenti la cui formalizzazione possa fornire una diversa chiave di interpretazione di questi luoghi.
Riteniamo in parte inadeguata, per interpretare esaustivamente la genesi, il progetto e l’evoluzione dei centri di detenzione e delle zone di concentramento europee dell’epoca contemporanea, quella teoria che, riferendosi alle tesi di Arendt riprese da Agamben, rilegge questi luoghi – basandosi sui concetti di superfluità ed eccedenza – soprattutto attraverso l’inclusione in una teoria generale della ‘forma-campo’. Ci sembra infatti molto più interessante e ‘dinamico’ guardare agli attuali luoghi di concentramento e detenzione dei migranti anche da una prospettiva che ne tenga maggiormente in conto l’aspetto innovativo e peculiare rispetto alle loro contingenti funzioni economiche, politiche (e geopolitiche), simboliche, ‘poliziesche’.
Non caratterizzati dalla tendenziale ‘fissità’ dei campi del passato o degli attuali campi profughi nelle zone di guerra o in quelle limitrofe ai combattimenti, a nostro avviso gli attuali luoghi di concentramento e detenzione dei migranti, intesi come dispositivi di controllo dei movimenti migratori, non sono infatti decifrabili se non a partire proprio dalla categoria della mobilità. Essi sembrano rispondere molto più all’obiettivo di controllare, regolare, dirigere la mobilità, che a quello di arrestarla, impedirla in maniera definitiva o eliminarla. Centri di detenzione amministrativa, zone di concentramento autogestite, vere e proprie prigioni, sono così delle fermate obbligate nel percorso di una mobilità ‘condizionata’ ma non interrotta e, in questo modo, messa a valore. Si potrebbe affermare che la scelta definitiva della chiusura reale delle frontiere, della ‘separazione tra i mondi’ per quanto riguarda la libera circolazione delle persone, dell’arresto assoluto della mobilità dei migranti, non sarebbe quindi data non solo perché risulterebbe certamente impraticabile e impossibile, ma anche perché non sarebbe in realtà conveniente per nessuno.
Il caso maltese, il particolare ruolo che questo Stato-isola occupa nella gestione delle frontiere europee, il peculiare modo in cui è messo in pratica un dispositivo di controllo comunitario come la detenzione amministrativa, le caratteristiche specifiche delle sue zone di concentramento, ci costringono però, ancora una volta, a scontrarci con l’evidenza del fatto che, quando si parla di gestione delle migrazioni, non ci si rapporta con un sistema lineare e univocamente decifrabile. Partendo da presupposto che i dispositivi di controllo della mobilità hanno sempre soprattutto una funzione di ‘filtro e messa a valore dei movimenti migratori, e che non si tratta semplicemente di ‘campi’ in cui depositare umanità in eccesso, Malta risulta allora, anche in questo caso, una sorta di anomalia del sistema. Non sembra infatti che i centri di detenzione amministrativa presenti sul territorio di questo piccolo Stato, o gli open centres dove rimangono tutti i migranti allo scadere del periodo di detenzione, svolgano un particolare ruolo di gestione o controllo della mobilità dei migranti o del loro potenziale economico. Al di là del significato (e della funzione) simbolico-politico che certamente il governo maltese attribuisce ai centri di detenzione e alle zone di concentramento nel momento in cui li usa per dimostrare ai propri cittadini una presa in carico attiva del ‘problema’, queste zone di concentramento e reclusione sembrano invece, davvero, essere soltanto dei luoghi di messa a distanza di esseri umani definitivamente esclusi dal sistema economico, sociale e politico. Sembra, cioè, che a Malta si verifichi una condizione per la quale i centri di detenzione e le zone di concentramento dei migranti possano essere interpretati proprio alla luce di quelle generiche caratteristiche di ammassamento, esclusione assoluta, eccesso e superfluità, utilizzate dalle moderne ‘teorie dei campi’ cui si è in precedenza accennato e che si sono in parte criticate.
Malta, in definitiva, sarebbe realmente, e per intero, un ‘campo’ nel senso in cui Agamben (e soprattutto chi ha riutilizzato la sua lettura della ‘nuda vita’) lo intendeva. Sul suo territorio, quindi, non insisterebbero quei dispositivi di controllo e gestione della mobilità adeguati alla realizzazione di obiettivi che sembrano invece perseguiti altrove dalle contemporanee politiche migratorie Ue.
Future prospettive delle politiche migratorie maltesi. Un’ipotesi
La particolare condizione maltese potrebbe essere allora interpretata secondo due diverse prospettive. Da un lato, la gestione delle migrazioni a Malta sottolinea in maniera lampante, come abbiamo accennato, quanto il sistema di controllo delle migrazioni non si muova in modo lineare, come non si muovono in modo lineare i percorsi dei migranti e le loro aspirazioni e, pertanto, quanto sia difficile trovare delle chiavi di lettura valide per analizzarlo in tutti i suoi aspetti. Dall’altro, però, se invece tenessimo ferma la nostra interpretazione di dispositivi che volgono funzioni diverse da quelle dichiarate, Malta potrebbe essere considerata come il luogo per eccellenza in cui gli Accordi di Schengen e la Convenzione di Dublino, nel momento in cui vengono poste in essere e attuate al massimo delle loro potenzialità, rivelano la loro fallibilità rispetto non tanto agli obiettivi dichiarati – gli immigrati ‘illegali’ che raggiungono Malta restano davvero al di fuori dello spazio europeo in cui si muovono ‘gli aventi diritti’- ma rispetto a quegli scopi non detti che non mirano all’esclusione definitiva ma all’inclusione regolata, non all’arresto completo della mobilità ma alla sua gestione, non all’effettiva messa a distanza della potenzialità dei migranti, ma alla sua messa a valore attraverso canali che li privino di tutele giuridiche e sindacali, ecc.
In ogni caso, pur partendo dal presupposto che le politiche migratorie attuali sono difficilmente interpretabili secondo categorie univoche, come dei percorsi evidenti che tendono verso fini precisi, resta il fatto che, soprattutto alla luce del modo in cui l’istituto delle detenzione amministrativa viene applicato dalle politiche europee, la prospettiva dichiarata della ‘Fortezza Europa’, l’obiettivo ufficiale dell’inclusione ordinata solo di determinati soggetti che fanno legale ingresso sul territorio comunitario, non risulta coincidente con i risultati effettivamente perseguiti dalla maggior parte dei dispositivi di controllo della mobilità messi in atto.
Sulla base di ciò che si è appena detto, si possono quindi avanzare delle ipotesi relative al futuro delle politiche di Malta su immigrazione e asilo che, per quanto prive di dati scientifici che le supportino, potrebbero rivelarsi interessanti.
Scorrendo i documenti prodotti dal governo maltese, i comunicati stampa dell’Unhcr, le risoluzioni del Parlamento europeo, o ascoltando le voci dei migranti in sosta obbligata sull’isola, e quelle dell’opinione pubblica dei suoi cittadini, appare infatti evidente come un cambiamento della situazione venga richiesto, a vario titolo e sotto forme molto diverse tra loro, da tutte le parti in causa. È facile quindi ipotizzare che la situazione possa cambiare in un tempo relativamente breve.
Certamente Malta dovrà liberarsi dalla sua realtà attuale di isola-campo, deposito di “umanità in eccesso”, frontiera dilatata che, come un contraccambio dovuto per il suo ingresso tra i ‘grandi’ paesi dell’Ue, si accolla il ruolo di piazzola di sosta a tempo indeterminato per i migranti che vorrebbero superare le mura della fortezza Europa.
Come accennato in precedenza, considerare in questa prospettiva la situazione maltese al momento attuale potrebbe portare a interrogarsi sulla reale efficacia dei Trattati internazionali in vigore che stabiliscono le nuove frontiere, sui loro obiettivi veri, persino sulla loro liceità. Ma, purtroppo, è difficile, quasi impossibile, che la situazione in cui versa oggi questo piccolo Stato possa fungere da punto di partenza per una riflessione più onesta sulla mobilità dei migranti e sul bisogno da parte dei paesi di destinazione di controllarla e gestirla in qualche modo. È difficile e quasi impossibile che, attraverso Malta, si possa giungere a rimettere in discussione la formula di Schengen, il dettato di Dublino o il concetto stesso di frontiera. Ciò che è prevedibile che possa accadere è, invece, che Malta riesca (con l’aiuto comunitario) ad allinearsi in qualche modo con il resto dei paesi Ue e modifichi le sue politiche migratorie in questo senso. Probabilmente, come è accaduto per paesi come la Germania e la Francia, poi l’Italia e molti altri a seguire, il numero dei dinieghi dati in risposta alle richieste di asilo formulate dai migranti supererà di gran lunga, anche a Malta, al contrario di quanto succede adesso, quello dei permessi di soggiorno concessi a vario titolo. I programmi di rimpatrio verranno finanziati e perfezionati (38) e magari, di pari passo, le condizioni igienico-sanitarie dei centri di detenzione amministrativa verranno un po’ migliorate (‘umanizzate’). Riguardo ai tempi di trattenimento, invece, sarà a quanto pare l’intera Unione ad adeguarsi allo standard maltese, avendo stabilito (nella direttiva comunitaria sui rimpatri) che 18 mesi di detenzione sono un periodo tutto sommato ragionevole.
Tutti cambiamenti che non rimetteranno in discussione nulla della sostanza dell’istituto della detenzione amministrativa o della guerra permanente condotta contro la libertà di movimento di parte dei cittadini del mondo, ma che forse avranno il risultato di ‘promuovere’ Malta da ‘campo’ improduttivo di accumulo e permanenza di uomini e donne esclusi in modo assoluto dal sistema sociale, politico e soprattutto economico, ad un luogo di filtro di flussi migratori ed esercizio di controllo della mobilità, operante anche attraverso l’utilizzo di zone di concentramento e di detenzione che però saranno tappe all’interno un percorso costellato da altri ‘utili’ dispositivi di controllo e messa a valore delle energie dei migranti.
Note
*. Questo studio ha già trovato una prima stesura in un articolo che riporta il medesimo titolo. Cfr. Sciurba, A., Malta, movimenti migratori e contesto internazionale. Tra “campi” e dispositivi di controllo della mobilità, in Immigrazione, diritto e cittadinanza, Vol. II, 2007.
1. Cfr. Nairn, T., After Brobdingang: Micro-states and their furure, in Malcom Anderson e Eberhard Bort (a cura di) The frontiers of Europe, Pinter, London 1998.
2. Questi dati sono tratti dal Policy Document dal titolo Irregular immigrants, refugees and integration pubblicato nel 2005 dal Ministry for Justice and Home Affairs e dal Ministry for the Familiy and Social Solidarity di Malta.
3. Questo è ciò che di norma dovrebbe accadere ma a volte, come nel 2004 e nel 2005, i migranti siano stati direttamente allontanati dal territorio e deportati da Lampedusa alla Libia.
4. Dalle interviste sul campo che ho svolto a Malta nell’aprile del 2006, risulta come il 100% dei migranti dichiarino di essere approdati a Malta a causa delle sfavorevoli condizioni climatiche, della fine del carburante, o perché sono stati intercettati dalle pattuglie marittime dell’Armed Force maltese. I dati da me raccolti trovano un riscontro ufficiale nel documento sopraccitato relativo alle politiche di Malta sull’immigrazione irregolare, i rifugiati e l’integrazione, in cui si legge che “irregular immigrants usually arrive in Malta without documentation, often following a life threatening journey with their original destination being Italy, since this country appears to be widely perceived as the stepping stone to mainland Europe”. Cfr. Policy document, op.cit., p.10. Cfr. anche Rodier, C., Teule, C., L’Europe sous la syndrome maltais, in Cultures & Conflits n. 57, op. cit., p. 126.
5. Cfr. Consiglio dell’Unione europea, Note di trasmissione della presidenza alle delegazioni. Oggetto: Consiglio europeo di Bruxelles, 4 e 5 novembre 2004. Conclusione della Presidenza, Bruxelles, 8/12/2004. Annesso 1 : The Hague Programme; strengthening freedom, security and justice in the European Union, Bruxelles, 15 octobre 2004, 13302/1/04, REV 1, LIMITE, JAI 370.
6. Sulla storia dei rapporti Ue-Marocco relativamente alla gestione di flussi migratori verso l’Europa, cfr. ad es. Belgendouz, A., Expansion et sous-traitance des logiques d’enfermement de l’Union européenne: l’exemple du Maroc, in Cultures & Conflits n.23, Paris 2005. Sui rapporti tra Stati membri dell’Unione europea e paesi del Maghreb nel contesto del partenariato euromediterraneo, cfr. anche Pepicelli, R., 2010. Un nuovo ordine mediterraneo? Ediz. Mesogea, Messina 2004.
7. Cfr the Report to Maltese Governement on the visit to Malta carried out by the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or degrading Treatment or punishment (CPT) from 18 to 22 jenuary 2004, p.7.
8. Cfr. Policy Document, op. cit., p. 5.
9. Cfr., ibidem, p.6
10. Cfr. Immigration Act To restrict, control and regulate immigration into Malta and to make provision for matters ancillary thereto, Act IX, 21/09/1970, Capitolo 217, Parte IV, Artt. 5,1 ; 10; 14,2 e 22,5.
11. questo il periodo durante il quale ho svolto la mia inchiesta a Malta
12. Cfr. Rodier, C. Teule, C., L’Europe sous la sindrome maltais, in Cultures & Conflits n.23, Paris 2005.
13. Cfr. Al riguardo il Briefing Notes dell’UNHCR del 18/01/2005.
14. Cfr. Il Trattato Onu per la protezione dei rifugiati e degli apolidi, Ginevra, 28/07/1951, art.31.
15. Per una panoramica dei centri di detenzione amministrativa in Europa, del loro funzionamento e delle loro condizioni a seconda dei paesi, consultare, tra gli altri, i siti CESTIM on-line; Jesuit Refugee Service Europe; Detention in Europe.
16. Cfr. La Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione dei rifugiati a Malta, approvata il 6/04/2006. P6_PROV(2006)0136, B.
17. Ivi, paragrafo 5.
18. Per una critica dettagliata delle condizioni dei centri di detenzione amministrativa maltesi, cfr the Report to Maltese Government on the visit to Malta carried out by the European Committe for the Prevention of Torture and Inhuman or degrading Treatment or punishment, op. cit.
19. Cfr. W. Walters, Welcome to Schengenland, in Mezzadra S., (a cura di), Il confine della libertà, Per un’analisi politica delle migrazioni contemporanee, Deriveapprodi, Roma 2004, p.59.
20. Cfr. Regolamento 34372003, Consiglio d’Europa, 18/02/2003.
21. Cfr. UNHCR, statistiche Italia.
22. Si pensi all’importante riduzione delle richieste d’asilo in Europa, a fronte di una situazione geo-politica segnata da conflitti, persecuzione personali, crisi umanitarie che non tendono a decrescere ma al contrario ad aumentare. Cfr. Rapporto statistico UNHCR, in cui si legge come “per il quarto anno consecutivo, nel 2005 il numero di domande d’asilo presentate in 50 paesi industrializzati è sensibilmente diminuito, raggiungendo il livello più basso da quasi vent’anni a questa parte. Queste cifre- ha dichiarato l’Alto Commissario per i Rifugiati Antònio Guterres- mostrano che nei paesi industrializzati parlare dell’asilo come di un problema crescente è un’affermazione che non riflette la realtà. Questi paesi dovrebbero piuttosto chiedersi se, imponendo restrizioni ancora più rigide sui richiedenti asilo, non stiano chiudendo le porte a uomini, donne e bambini in fuga dalla persecuzione” (comunicato stampa 17/03/2006).
23. Cfr. a questo proposito Valluy, J., L’Europe des camps, la nuovelle Europe politique des camps d’exilés: genèse d’un source élitaire de phobie et de répression des étrangers in Cultures & Conflits, n.23, Paris 2005.
24. Cfr. il Regolamento del Consiglio Europeo (CE) n.2725/2000
25. Cfr. Delle Donne, M., Un cimitero chiamato Mediterraneo, DeriveApprodi, Roma,2002
26. Cfr Policy Document, op. cit, pp.30-31.
27. Cfr. idem.
28. Cfr. UNHCR, Comunicato stampa del 7/04/2006.
29. Cfr. Risoluzione del Parlamento europeo, sulla situazione dei rifugiati a Malta op. cit., art.15
30. In Italia il titolo di soggiorno conferito dalla concessione della Protezione umanitaria ha una durata massima di un anno rinnovabile.
31. Cfr. Policy Document, op. cit., p.23
32. Su loro richiesta non riporto i nomi delle vittime di questi attentati.
33. Cfr. il sito di Imperium Europa.
34. Io stessa ho rinvenuto alcuni volantini firmati kkk in cui i migranti venivano apertamente minacciati di morte. Alcuni di questi messaggi minatori sono riportati sul sito sopra citato.
35. Cfr. UNHCR, Comunicato stampa del 7/04/2006.
36. Cfr. Foucault, M., Poteri e strategie, l’assoggettamento dei corpi e l’elemento sfuggente (a cura di Pier Dalla Vigna), Mimesis, Milano 1999, p.20
37. Idem, p.71.
38. Nel Policy Document maltese più volte citato nel corso di questo studio, un paragrafo appare espressamente dedicato ai rapporti con la Libia, e vi si legge, a p. 32, che “irregular immigrants ARRIVING from Libya shall be repatriated to that country as soon as possible, without prejudice to any rights which they might have under the refugee Act”.
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