Il “pizzo” in città, un segreto di Pulcinella – Tano Grasso, simbolo della lotta alla mafia, ieri tra i commercianti del centro assieme alla Federazione delle associazioni antiracket italiane – Qualche esercente s’è asserragliato nel suo negozio, altri hanno prudentemente manifestato il loro disagio
Il “pizzo” è subdolo. Lo chiamano “contributo per i detenuti” oppure “protezione”, ma in realtà è una mano che stringe il collo degli imprenditori fino a farli soffocare. La sua esistenza sulle rive del Crati è un segreto di Pulcinella, che però spaventa e turba quanti cercano di vivere e lavorare onestamente.
Meglio restare in silenzio, meglio pagare, ingoiare il rospo e tapparsi la bocca. Altrimenti chissà che succede. La Fai (Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane) conosce bene il calvario di chi subisce le richieste estorsive, soprattutto alle nostre latitudini.
Ed è per questo che ieri pomeriggio, guidati da Tano Grasso e dai membri dell’associazione antiracket di Lamezia Terme, s’è resa protagonista di una “passeggiata della legalità” tra i negozi di piazza Bilotti e corso Mazzini. Un “blitz” improvviso, che ha generato reazioni contrastanti negli esercenti cosentini.
I loro colleghi lametini, infatti, hanno distribuito un volantino intitolato “Per Pasqua tu che fai, paghi il pizzo?” con un numero di telefono ben impresso accanto ad alcune informazioni, note utili ad avviare un percorso di denuncia delle prevaricazioni subite.
Qualcuno, tuttavia, non ha gradito l’iniziativa, asserragliandosi addirittura nel suo locale. Altri invece hanno aperto le loro porte, ascoltando con interesse ma senza esporsi più di tanto.
Certo, la presenza di qualche telecamera ha inibito un po’ il confronto. Ma distante dagli occhi indiscreti di un obiettivo, c’è stato chi ha rivelato il suo malessere. Un commerciante, di fronte alla spiegazione della tassa estorsiva ormai prossima alla scadenza (il “pizzo” si paga in tre rate: Pasqua, Natale e Ferragosto) ha annuito, aggiungendo frasi inequivocabili, sintomo di una sconcertante rassegnazione al malaffare.
Agire sulla coscienza di chi è stretto nella morsa del racket, del resto, non è semplice.
La costituzione di un’organizzazione capace di creare i giusti anticorpi – sostiene il Fai, rappresentato ieri dalla presidente nazionale Maria Teresa Morano – è un’operazione che necessita di tempo e pazienza. Soprattutto perché deve partire direttamente dall’interno, dai commercianti stessi.
«Lo Stato c’è se ci sono i cittadini», ha detto Rocco Mangiardi, un uomo che ha avuto il coraggio di denunciare i suoi aguzzini e di farli anche condannare. «Noi vendiamo – ha aggiunto Tano Grasso – la merce più affascinante ma anche più delicata: la fiducia».
Cittadini e operatori economici che devono dunque viaggiare di pari passo con le istituzioni. E ieri, in mezzo ai commercianti bruzi lo Stato c’era eccome, rappresentato dal prefetto Raffaele Cannizzaro; dal questore vicario Mario Finocchiaro; dal comandante provinciale dei carabinieri Francesco Ferace; dal tenente colonnello dell’Arma, Vincenzo Franzese. «Con questa iniziativa – ha sottolineato il prefetto – si cerca di coinvolgere la cittadinanza».
La prima pietra è stata dunque posta. Ma l’edificazione di una coscienza civica, di una cultura della legalità e di una ferma opposizione alla ‘ndrangheta anche a Cosenza non è roba da poco. Il percorso è ancora lungo, ma forse gli esempi provenienti da altre realtà possono giovare. A tutti. Senza distinzioni.
di Fabio Melia da gazzettadelsud.it