MAURO CAPPOTTO  – “ Disegna un restyling orientato al recupero della memoria” e la villa brolese diventa un’opera d’arte
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MAURO CAPPOTTO  – “ Disegna un restyling orientato al recupero della memoria” e la villa brolese diventa un’opera d’arte

Un intervento di riqualificazione nella Villa Comunale di Brolo che va oltre. Una progettazione artistica della quale la Giunta comunale brolese guidata da Giuseppe Laccoto può farne vanto

Ieri iniziata la posa delle ceramiche artistiche.

La villa comunale di Brolo, oltre ad essere uno dei pochissimi piccoli parchi urbani presenti all’interno della città costituisce un ingresso privilegiato al centro storico.

Un progetto complesso che può diventare tanto altro

L’idea di un restyling orientato al recupero della memoria nasce dalla volontà di rafforzare e valorizzare questa idea di percorso, e si inserisce in un quadro più ampio di interventi, che l’Amministrazione intende perseguire volti alla valorizzazione ed al potenziamento dei vari punti di accesso al borgo antico presenti sul territorio comunale. L’intervento, fortemente voluto dal sindaco Giuseppe Laccoto,  si pone a margine di alcune opere già poste in essere quali la realizzazione di due sedute in muratura collocate ai lati dell’ingresso dalla via Dante Alighieri, ed il rifacimento della pavimentazione dei viottoli interni alla villa e di quella del basamento circolare già utilizzato come luogo di condivisione per piccoli eventi.

Nello specifico il progetto prevede il rivestimento delle sedute in muratura oltre che del paramento laterale del basamento e la realizzazione di due totem scultorei posizionati in prossimità dell’accesso antistante il Municipio.

“E’ l’enigma dell’enigma: che il passato sia presente nell’immagine come segno dell’assente, ma di un assente che, sebbene non sia più, è stato.

La memoria prende di mira proprio questo essere-stato. Al suo ritorno, essa vorrebbe essere fedele.”

[Paul Ricoeur]

L’intervento è disegnato e curato da Mauro Cappotto, docente d’arte uomo di cultura e artista sempre alla ricerca del “bello”. Anche ieri presente sul “cantiere pieno di colori e simboli” della villa brolese

Cappotto ha spiegato che l’intervento  ha un carattere prevalentemente epidermico, consta della realizzazione di una serie di decorazioni policrome su lastre e solidi in pietra lavica ceramizzata, un racconto per frammenti d’immagine che rimandano ad elementi identitari. Un’operazione di recupero della memoria di un luogo, nel cuore di una comunità attraversata dalla storia che ha lasciato una stratificazione frammentata ma evidente.

Cappotto presentando il progetto alla giunta comunale, che lo ha subito condiviso e apprezzato, ha voluto evidenziare che lui voleva dare l’idea di “una storia di transiti, di feudi, di popolo e nobiltà, dai fasti normanni al borgo di pescatori, dal profumo degli agrumi a simbolo dello sbarco degli alleati in Sicilia” . Così ha raccolto con i suoi disegni quei “tasselli di memoria per ricomporli e restituirli in frammenti come solo l’immagine riesce a trasmettere senza troppi filtri.”

Alla fine l’opera svelerà i suoi dettagli – che anticipano con qualche scatto “rubato” durante la posa delle ceramiche ieri mattina –  nella coralità della visione quando sarà completata. E sarà “Una sequenza di pitture su pietra come fossero acquerelli, sezionati in alternanza dalla contemporaneità di campiture di colore piatto e brillante che assumono valore simbolico”.

genius loci

Cappotto spiega ancora che “Il tutto parte dalla scomposizione dello stemma del Comune di Brolo, in seguito dagli araldi della famiglia Lancia e di Manfredi, ricomposti come in un pentagramma con altre immagini riferite al genius loci, restituiti sotto forma di particolari dipinti attraverso una sintesi grafica estremamente semplice”.

L’opera di riqualificazione della villa comunale, diventa un altro tassello nel progetto di rivalorizzazione del centro storico brolese attualmente in atto. Un’azione che si sviluppa su più fronti e che l’amministrazione locale sta sviluppando e che spazia dai recuperi storici-cultuali a quali architettonici-urbanistici.

i totem

A completare gli interventi artistici voluti da mauro Cappotto ci saranno anche due totem, posti all’ingresso della villa. “come delle insegne militari romane”.  Una scelta per ridefinire un accesso privilegiato verso il centro storico e la sua torre. Una sorte di nuova porta composta da una serie di solidi sovrapposti, realizzati in pietra lavica in parte dipinta e ceramizzata.  I singoli elementi ruoteranno intorno ad un asse in acciaio.

visoni sempre nuove e inedite

Praticamente componendosi alla vista del passante di volta in volta nelle sue forme.

Cappotto conclude

“In questo lavoro è cruciale il tema del linguaggio come luogo in cui si pone il problema del senso, a cui è strettamente connessa l’interpretazione, che è comunque interpretazione dei mondi. Interpretazione intesa almeno in due modi: il primo è quello dell’esegesi, il secondo quello dell’ermeneutica. Questi due orientamenti sono propri della tensione della contemporaneità.”

gli schizzi

Tornado all’Artista

Hanno scritto di lui.

Pubblichiamo il testo di Giovanni Iovane, attuale direttore di Brera a Milano, che parla della mostra che l’artista ficarrese, ma cittadino del mondo, aveva realizzato.

Mauro Cappotto, Makes, Remakes and Unmakes

Giovanni Iovane

 

Il titolo  relativo  alla mostra di Mauro Cappotto prende spunto da una affermazione di     Gilles Deleuze che riporto in inglese : “I make, remake and unmake my concepts along a moving horizon”.

Il brano è tratto dalla prefazione all’edizione inglese (1994) di un celebre libro di Deleuze edito in Francia nel 1968, Differenza e ripetizione.

Non ho sufficiente cultura filosofica, e forse come notava Slavoj Žižek, a propositivo di Deleuze stesso, nemmeno “psicologica” per poter citare il testo nel suo contesto specifico. Mi piace molto l’affermazione di Deleuze, perché in primo luogo si presenta come uno straordinario processo creativo e poi perché liberamente presenta delle immagini relative alla mostra di Mauro Cappotto.

“Io faccio, rifaccio (ma in inglese remake suona meglio) e disfo i miei concetti lungo un orizzonte in movimento e –prosegue la frase- da una sempre dislocata, spostata periferia…”.

Nel complesso libro di Deleuze, si parla di differenza e ripetizione in se stessi con una acuta ridefinizione, sempre in movimento dislocato, del concetto di identità.

Nel caso di Mauro Cappotto le “immagini” e i procedimenti prelevati da Deleuze ci offrono  un buon trampolino per parlare, in un orizzonte sempre in movimento, della ricerca di un artista che della documentazione e insieme della ricostruzione ha fatto il perno centrale della sua esperienza e della sua prassi artistica.

La pratica artistica della “documentazione” risale agli anni Sessanta e investe in egual misura tutti quegli artisti che non producevano “oggetti” o quadri in un sistema centralizzato (e cioè in ciò che potremmo definire i grandi “centri” metropolitani occidentali).  Mappe, diagrammi, fotografie, disegni, brevi filmati o semplici dichiarazioni erano tutti considerati testimoni di una azione dislocata, spostata rispetto a un centro visibile.

Con l’affermazione dell’arte concettuale la documentazione si presenta come archivio dando l’avvio a quella attuale e forse abnorme riconsiderazione ( o remake) del concetto e insieme della pratica dell’archivio, che giustamente e in tempi non sospetti, Jacques Derrida aveva definito “mal d’archivio”.

Caso esemplare di questa pratica  è forse l’opera Schedario (1962) di Robert Morris che consiste in un contenitore di schede in cui l’artista aveva registrato burocraticamente tutti gli incontri casuali avvenuti durante la fase di realizzazione di questa opera autoreferenziale e ironicamente letterale.

Dopo più di mezzo secolo, e di concetti e di statements che si disfano in un orizzonte mobile, è anche liberatorio osservare un lavoro di un artista che documenta e insieme ricostruisce un proprio percorso decentrato che risale a suoi soggiorni a Berlino (allora Ovest) tra il 1984 e il 1986.

Durante questi anni Cappotto scatta centinaia di fotografie, documenta dunque, quelle particolari strutture in legno, degli osservatori che consentivano ai berlinesi ovest di osservare ciò che accadeva al di là del muro.

Questo strumento di osservazione, testimone di un archivio storico ormai distrutto, disfatto si ripresenta ora come scultura, o più generalmente come oggetto alto circa quattro metri come opera di Cappotto all’interno della mostra personale di Federico Baronello negli spazi della Fondazione Brodbeck di Catania. L’osservatorio ricostruito di Cappotto diviene ora, all’interno della mostra di un artista come Baronello, qualcosa che si inserisce a pieno titolo in un altro orizzonte; un orizzonte in movimento sulle immagini e sulle storie (documentate) del Mediterraneo.

Ma ciò che rende il fare, e il rifare e il disfare una vera opera artistica è il grande orizzonte che Cappotto realizza, creando un orizzonte con circa ottanta “tessere” in resina, che attraverso la tecnica modernista per eccellenza, il collage, segnano una storia personale.

Non si tratta dunque di una semplice opera di archivio ma di qualcosa che disfa e ricompone una memoria e insieme un ulteriore punto di vista…fare, ripetere e disfare, appunto.

fotogallery

 

13 Ottobre 2023

Autore:

redazione


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