MEMENTO – Junio Guariento
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MEMENTO – Junio Guariento

(foto di Lidio Aramu)

Il menestrello che cantò la primavera di Campo Hobbit, a due anni dalla morte

un universo segreto da raccontare, da tramandare, da urlare a squarciagola sulle note delle sue canzoni

(foto di Lidio Aramu)
“Questa è una storia che non frutta milioni/ non faranno un bel film per tivvù/ ma farà sbadigliare di noia/ i ragazzi alla Gucci e Cardin/ perché parla di un vecchio sereno/ con gli occhi sempre fissi nel sole/ con il viso coperto di rughe e il sorriso  più dolce del mondo…”.
Junio Guariento che combattè come un guerriero fino all’ultimo contro la bestia nera, un tumore al pancreas che lo consumò lentamente ma che più forte dell’Anello del potere di Sauron, se lo portò via due anni fa.
Fu animatore con Mario Bortoluzzi del gruppo di Musica Alternativa La Compagnia dell’Anello, dopo l’esperienza del Gruppo padovano di Protesta nazionale, è stata la colonna sonora di intere generazioni.
La canzone del lago (dedicata al nonno Alfredo Subrizi torturato e fucilato nella questura di Bergamo 29 aprile 1945 “per avere creduto in un uomo”), Terra di Thule,  Jan Palach, Alain Escoffier, Il costume del cervo bianco, Il domani appartiene a noi, diventato l’inno ufficiale del Fronte della Gioventù a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 e ancora oggi cantato da ragazzini, padri e nonni.

Al chiuso di una stanza- scrisse Gloria Sabatini, due anni sul Secolo d’Italia, ricordabdolo a poche ore dalla morte il 20 aprile – nei raduni intorno a un fuoco, nei cortei, ai Campi Hobbit le musicassette di Junio, quelle che si srotolavano e si riavvolgevano con una penna bic, erano immancabili, quasi un feticcio.

Al primo Campo Hobbit nel 1977 a Montesarchio il battesimo della Compagnia dell’Anello con Junio, Mario e Stefania Paternò autrice dei testi e per molti  anni sua moglie.

Fonte: it-it.facebook.com

Poi l’ingresso del tastierista Fabio Giovannini e del percussionista Adolfo Morganti con i quali si presenta al terzo Campo Hobbit nel 1980.

Folk e Fantasy: un connubio felice per uscire dal ghetto e dire quello che gli altri non dicono («Abbiamo iniziato nel 1974 a scrivere canzoni per la nostra gente, perché per i “fascisti” non cantava nessuno. Cantavamo la nostra rabbia, l’ingiustizia, l’emarginazione, ma eravamo anche catturati dal desiderio di gettare in faccia al potere tutta l’ironia beffarda dei nostri 20 anni»).

Nessun autocompiacimento. Tanta voglia di esserci, di vivere il proprio tempo senza rinnegare e senza torcicollo.

Tante le tappe di un viaggio a perdifiato, mai convenzionale: il concerto a Trieste  in memoria di Almerigo Grilz, il Quinto Raduno della Contea a Roma, la Festa nazionale del Fronte Della Gioventù ad Assisi.

Dall’83, anno in cui lascia il gruppo, Junio ritorna a esibirsi da solo in concerto nel 1991. All’ultimo Campo Hobbit ha duettato con il francese Jack Marchal. 

Negli ultimi tempi (viveva tra Bologna e la Futa, in mezzo a caprioli e cinghiali, poiane e ghiri, «ma un paio di volte a settimana scendo nel mondo civilizzato») si era dedicato con estro e passione alla lavorazione artistica del legno.

«Il legno – diceva – le sue vene, la sua linfa. Le idee e i progetti che diventano fatti. La musica, l’arte che, nello stesso istante in cui ne godi, è gia passata».

Ancora oggi a Stefania Paternò, alle due figlie, Viki e Siri, alla compagna Daniela e a tutti i familiari va un abbraccio commosso.

 

da leggere

https://www.scomunicando.it/notizie/memento-junio-e-andato-oltre/

21 Aprile 2020

Autore:

redazione


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