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“MEMINISSE IUVAT” – Un nuova rubrica su Scomunicando… ed anche il primo articolo “e Marini”

A condurla è Beppe Tovarish… ovviamente un simpatico pseudonimo

L’avvio di una nuova rubrica è sempre una bella avventura.

E’ l’inizio di una storia, personalissima;  qualche cosa che chi scrive vuol condividere con chi legge, per certi versi “un regalo” reciproco l’attenzione  del leggere e la voglia di comunicare, e ne caso specifiche delle storie di Tovarish, per non dimenticare.

Qui giochiamo anche sulla differenza tra memoria e ricordo.

Un territorio smemorato, sbadato, senza ricordo è senza conoscenza; è come essere orfani, deprivati di qualche cosa che ci apparteneva.

E in questo contesto inseriamo anche le memorie storiche, i simboli del passato, le vecchie dimore, le storie collettive che spesso sono perdute… dimenticate, omesse da altre storie.

Il ricordo, spiegava Soren Kierkegaard nell’opera In Vino veritas, non è la memoria.

Il vecchio, ad esempio, perde la memoria ma gli resta qualcosa di profetico e poetico, i ricordi.

Il ragazzo, invece, ha una forte memoria e pochi ricordi.

Miopia e presbiopia delle menti.

Il ricordo suscita il sentimento della perdita, la nostalgia. «Un fatto nella vita che sia ricordato, è già entrato nell’eternità».

Chi ricorda non è indifferente, mentre la memoria può essere anche un magazzino di date e di fatti.

La memoria, poi, è soprattutto pubblica e storica, il ricordo è soprattutto intimo e affettivo: commemori i defunti, ricordi i tuoi cari.

Ricordo, lo dice la parola, chiama al cuore; la memoria è più una facoltà intellettiva.

E questo è lo spirito con cui Beppe Tovarish avvia la sua collaborazione con Scomunicando.it

Una bella invenzione… il suo cognome.

Tovarish… il compagno. Attualissimo e mai banale nel suo significato.

Dopo che la Russia del nuovo corso, lo ha cancella dal suo vocabolario il termine.  Tovarish, che era stata la parola più pronunciata per quasi 80 anni nel paese più grande del mondo diventa per molti obsoleta, antica… ma non per il nostro Beppe. 

Tovarish… il compagno.

Tutti erano Tovarish. Un’autentica invenzione in quella rivoluzione che attecchì subito. Poter pronunciare “Compagno dottore”, “Compagno avvocato” o addirittura “Compagno Stalin” equivaleva per molti a un riscatto secolare e popolare. Ovviamente con le inevitabili degenerazioni. «Calma compagni – scriveva Majakovskij – lasciamo parlare il compagno mitragliatore».

Ma Tovarish ha fascino, – al paria di altri suoi sinonimi, a più latitudini e ideologie – ci aiuta a ricordare, ci dà il senso della comunione, della condivisone e perchè no, anche quello della convivialità,  ed è perfetto nel gioco di ricordi e memoria.

Ben arrivato il redazione “compagno” Beppe.

E allora andiamo con la prima storia.

E MARINI

Si sa, il lavoro stagionale e precario è sempre esistito

 

Sicilia “granaio di Roma”, l’abbiamo letto anche sui libri di storia delle elementari.

Quello che invece non molti sanno è che i braccianti “iurnatari” – ovviamente poveri – di molte comunità dei Nebrodi, quasi sempre si spostavano a piedi e quasi sempre di notte dalle pendici Tirreniche dei Nebrodi verso l’interno della Sicilia (Enna e Catania in particolare).

Il grano, allora come oggi, si coltivava in prevalenza nell’entroterra della Sicilia (province di Enna e Caltanissetta soprattutto).

Squadre di lavoratori si riunivano di sera e agli ordini di un caporale iniziavano la faticosa scalata della catena collinare – montuosa con poche strade e nessuna illuminazione dei paesi (Raccuja, Ucria, Floresta, etc.) per ridiscendere verso l’interno della nostra regione.

In assenza della Luna, per non smarrire la strada, si facevano luce con una “lanterna da carretto”.

Si dormiva sulle stoppie e sulle foglie, spesso all’aperto, con ovvi vantaggi per la diffusione degli odorosi profumi che emanavano i corpi stanchi e sudati: si aveva infatti a disposizione pochissima acqua e pertanto la pulizia personale era inevitabilmente molto approssimativa.

Si lavorava alla mietitura tra i trenta e i cinquanta giorni consecutivi spesso presso “Massari”diversi, dall’alba al tramonto (quattordici, quindici ore al giorno).

Si ritornava sempre a piedi, ma con un sacco sulle spalle contenente quaranta, cinquanta chili di grano, faticosamente raccolto spiga per spiga nelle stoppie che la “chiurma” o “ciurma” dei mietitori si lasciava alle spalle.

Rade spighe che sarebbero andate perse, beccate da volatili affamati o incenerite nell’incendio controllato delle stoppie che veniva praticato per la pulitura dei terreni.

Era una grande fatica in tutti i sensi: i braccianti tornavano dalle proprie famiglie (numerose con dieci, dodici figli) stanchi ma felici; avevano con loro un pò di soldi e un pò di frumento da macinare e la farina da questo ottenuta da far durare il più a lungo possibile.

Naturalmente il ritorno andava degnamente festeggiato e quasi sempre si ingravidavano le mogli fertili per la felicità di chi predicava il “crescete e moltiplicatevi”.

La riproduzione della specie era assicurata, la famiglia cresceva e con essa le bocche da sfamare.

Le gerarchie ecclesiastiche erano felici e l’esortazione – comandamento di cui sopra trovava favorevole accoglimento anche a causa della prolungata astinenza.

L’estate seguente si ripeteva l’andata “e Marini…”.

Beppe Tovarish

 

 

 

Redazione Scomunicando.it

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