Alì, il venditore di rose egiziano, colpito brutalmente con un colpo di bastone alcune notti fa al centro di Messina, ricoverato in gravissime condizioni al Papardo, dà segni di ripresa ma sta ancora male.
Venerdì, ad alcuni organizzatori del corteo di solidarietà svoltosi ieri sera tra le vie cittadine, non è stato consentito incontrarlo ma è stato comunque possibile fargli arrivare all’orecchio che in città c’è chi stava pensando a lui organizzando una marcia con fiaccolata per le vie della città.
“Rose, non bastoni – insieme ad Alì” portava scritto lo striscione che apriva il corteo svoltosi ieri sera a Messina dalla Rete Antirazzista Messinese, formata da varie associazioni con a capo l’Arci – Circolo “Thomas Sankara”, rappresentato da Carmen Cordaro e Patrizia Maiorana, rispettivamente responsabile territoriale e vicepresidente della sede peloritana dell’associazione che da sempre si batte a tutela dei migranti.
Circa centocinquanta persone, molte delle quali con fiaccole o candele, hanno coperto il percorso con partenza da piazza Antonello, sviluppatosi lungo corso Cavour e le vie Tommaso Cannizzaro e Cesare Battisti, con conclusione in via Loggia dei Mercanti, luogo dove Pietro Zappia, adesso in carcere con l’accusa di tentato omicidio, aveva compiuto l’efferato gesto. Lì, i manifestanti si sono raccolti in un breve sit–in, caratterizzato da momenti di riflessione.
Alì, “l’uomo dei fiori”, un mazzo di rose, un bastone schiantato sulla sua testa, la rabbia, l’intolleranza, la violenza criminale di un messinese, sono così diventati gli elementi che messi insieme, in questo momento, generano indignazione in molti cittadini, ma che al tempo stesso dividono l’opinione dei messinesi. E’ stato un autentico atto di razzismo, oppure Zappia avrebbe, allo stesso modo e con la stessa ferocia, colpito chiunque altro? E’ questo di cui si parla in città e si dibatte sui social network, come se manifestare in segno di solidarietà verso chi subisce simili atti di barbarie, dipendesse dalla necessaria “catalogazione” di un tale gesto, a seconda, possibilmente, del colore della pelle di l’ha subito o dall’esatta natura del sentimento d’odio di chi l’ha attuato.
Ciascuno dia all’accaduto la chiave di lettura che crede più opportuna, ma non può esimersi dal prendere atto che si sia trattato di un’aggressione da parte di chi, senza ragionarci più di tanto, si crede forte, maggioritario, portatore di un’ideologia prevalente, contro chi, invece, è nottetempo costretto a vendere fiori sui marciapiedi cittadini perché la comunità che lo ospita e la società in genere, non gli consentono nulla oltre lavori di questo genere per poter sopravvivere.
Ed a tal proposito è sicuramente esplicativo quanto fatto sapere dagli organizzatori in un passaggio della nota che preparava al corteo: “Non ha alcun significato che l’aggressione nei confronti di Alì porti con sé o no l’odio esplicito verso una razza diversa. Zappia si è introdotto in un dispositivo che lo ha legittimato, un dispositivo che colloca Alì tra quelli a più basso grado di protezione, che li costringe ad un surplus di simpatia e laboriosità per poter essere accettati. Alì fa parte di quella “razza” di discriminati ai quali è più facile fare del male, quelli che più facilmente mettiamo da parte e releghiamo ai margini della vita sociale”. Basta questo a far comprendere dove collocare il gesto, e quindi dove sta una legittima ed ampia individuazione di intolleranza, di “razzismo”. Si aggiunga, poi, il sempre possibile istinto di emulazione di un tale gesto da parte di altri, ed ecco che i motivi per manifestare bastano e avanzano.
La vita di ogni giorno, i disagi comuni tra settori ben precisi della popolazione, le immani difficoltà che affliggono i più deboli, portano poi all’ovvio sillogismo di considerare tra queste vittime lo straniero, il migrante, od ancora il gay e tutti coloro, insomma, che fanno istanza d’uguaglianza.
Dinnanzi a ciò passa addirittura in secondo piano la voglia di giustizia veloce, totale, a tutti i costi, nei confronti dell’aggressore, perché, quantunque sia importante una condanna per quest’ultimo, non è il solo modo per far sì che ciò non accada più. Occorre, piuttosto, che la società acquisti quel senso di umanità, solidarietà e rispetto reciproco, che miri ad un orizzonte di giustizia sociale ed uguaglianza che, giorno dopo giorno, sembra allontanarsi sempre di più. Una società che produce disagi ed inquietudini, finisce, inevitabilmente, per essere al tempo stesso testimone e causa di fatti come quello avvenuto in via Loggia dei Mercanti, dove anche l’aggressore è figlio di questo malessere, corollario di un processo di degenerazione.
Ciascuno, a Messina come altrove, faccia mente locale, a questo punto, sui tanti “Alì” che stentano, annidandosi nelle pieghe di una società malata, sovragovernata da chi alimenta l’isterica e deleteria idea dell’egoismo, del profitto a tutti i costi, portatrice di differenze e quindi di conflitti, piuttosto che guidare processi che abbiano come punto di partenza la pari dignità di tutti.
Articolando vari argomenti, alternandosi all’altoparlante posto sull’auto che apriva il corteo, oltre a Carmen Cordaro e Patrizia Maiorana, hanno espresso il loro pensiero su quanto accaduto, ed in particolare su tutto ciò che sta dietro alla vicenda del venditore di rose, padre Felice Scalia, della Comunità Nuovi Orizzonti, Daniele David, Claudio Risitano, Marco Letizia e Tonino Cafeo.
Particolarmente significativa, inoltre, è stata la testimonianza di due migranti, uno dei quali, libico, portava con sé i ricordi e l’esperienza della più recente delle “rivoluzioni” sociali e politiche dei nostri tempi: la “Primavera Araba”.
Diffuso, infine, il metodo e gli estremi per chi fosse interessato a fare una donazione allo sfortunato ambulante egiziano: una raccolta fondi per Alì è stata approntata sul conto con codice Poste Pay 4023 6006 0300 0037, la cui intestataria è Fulvia Lo Cascio, contattabile su Facebook all’indirizzo https://www.facebook.com/profile.php?.