– di Corrado Speziale –
L’assemblea di sabato mattina alla Sala Mons. Fasola di Messina, ha fatto registrare una partecipazione come da tempo non si vedeva rispetto a un tema cittadino. 24 interventi tra docenti, attivisti, aderenti a varie realtà e semplici cittadini, oltre i tre in conferenza stampa, sono significativi di un interesse straordinario verso una mobilitazione che ormai non conosce soste. Le adesioni al momento sfiorano le 1400 unità, destinate a salire sensibilmente in tutto il territorio nazionale. La criticità più ricorrente nelle parole degli intervenuti, riguardo alla mega opera, è la carenza di democrazia.
Un gruppo di docenti fa ricorso alla propria sensibilità e decide di confrontarsi e prendere una posizione contro la realizzazione del ponte sullo Stretto. La definizione: un “ecomostro”, oltremodo impattante che comprometterebbe la vita in entrambe le sponde di Sicilia e Calabria. Da qui, la mobilitazione. Idee, senso di responsabilità, consapevolezza e intraprendenza convergono in un documento tendente a raccogliere adesioni. Un appello senza sigle di partiti, movimenti o associazioni. Un’iniziativa alimentata dalla forza delle idee e del dissenso, divenuta contagiosa, che sin da subito si è allargata a macchia d’olio. Quello che si sta verificando è un effetto traino: a distanza di pochissimi giorni, le adesioni di insegnanti all’appello sfiorano ormai le 1400 unità, e soltanto 48 ore dopo erano già 750. Numeri importanti, tendenti in questa fase a non arrestarsi. Per aderire all’appello, occorre inviare un’email a docentinopontemessina@proton.me, indicando nome, cognome, materia di insegnamento, scuola/università e città.
“Facciamo appello a tutta la comunità educante affinché ci si assuma la responsabilità di denunciare e impedire non solo la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, ma anche e primariamente l’avvio dei cantieri, e chiediamo l’apertura dei luoghi dell’istruzione e della cultura al dibattito, per non assistere passivamente alla trasformazione dei nostri spazi e delle nostre vite”. Conclude così l’appello, dopo aver toccato i punti essenziali della protesta contro la mega opera.
Sabato mattina, dentro una sala Mons. Fasola gremita, il neonato comitato composto dal corpo docente, si è riunito in assemblea assieme a tanti attivisti, rappresentati di varie realtà e comuni cittadini. La seduta è stata preceduta da una conferenza stampa tenuta da tre insegnanti tra le promotrici del comitato, cui ha fatto seguito un’affollata e partecipatissima assemblea.
Pina Gemellaro: “Col nostro silenzio saremmo stati in qualche modo complici di ciò che sta avvenendo in città nei confronti di un’opera così impattante, faraonica, un ecomostro che, se mai dovessero partire i cantieri, distruggerebbe, impatterebbe sulla nostra vita e distruggerebbe i territori dello Stretto. Abbiamo sentito questa discordanza tra la nostra responsabilità e il silenzio delle sedi istituzionali della cultura. Un silenzio assordante, anzi, asservito”. Il mondo scolastico che guarda al ponte: “Sperimentiamo la difficoltà di lavorare in ambienti angusti con risorse minime, infrastrutture inesistenti. Non potevamo rimanere in silenzio nell’apprendere dai giornali che ingenti risorse verranno utilizzate per la costruzione di un’opera inutile, quando la città ha bisogno di altro. In quanto cittadini e soprattutto docenti – ha proseguito Pina Gemellaro – noi che siamo tutti i giorni al fianco delle nuove generazioni, non vogliamo essere complici dello scippo del loro futuro, e neppure del loro presente”. Un luogo da difendere: “Lo Stretto non è soltanto uno spazio fisico, geografico, ma è anche un luogo sognato, simbolico, metafisico, perché tra le due sponde c’è un continuo dialogo che riguarda sia l’aspetto fisico che culturale, perché tanti sono i personaggi e le storie legate alla suggestione di questo luogo”.
Giulia Merlino: “Il punto di partenza del nostro appello è una riflessione sul senso del nostro ruolo di docenti. In quanto tali formiamo i futuri cittadini della democrazia, che significa dialogo, confronto dialettico, pluralismo, partecipazione, consapevolezza. Se la scuola rimane in silenzio, o si pronuncia troppo timidamente, o solo da una parte, davanti a questioni così importanti e squassanti per il nostro territorio, allora noi falliamo il nostro ruolo di docenti oltre che di cittadini. Per questo abbiamo deciso di pronunciarci senza temere l’accusa di influenzare i nostri studenti o di portare la politica nelle scuole, come se non fosse la più nobile ed essenziale delle attività umane”. Cosa evitare sin da subito: “Permettere che prevalgano la passività, l’indifferenza e la rassegnazione. Tutto il contrario di ciò che noi cerchiamo di insegnare. A ciò aggiungiamo lo spirito critico, i valori civici e democratici”. Le ragioni del No: “Sono tante, ne abbiamo espresso alcune tra le più importanti. Tra queste c’è la beffa di assistere alla sottrazione e al dirottamento di ingenti risorse pubbliche presenti e future verso un’opera perfettamente inutile, oltre che gravemente dannosa, a fronte dell’urgente bisogno nei territori di investimenti sui diritti fondamentali, sanità, diritto all’abitare, cultura, lavoro. Diritti che vediamo quotidianamente negati sia a noi che ai nostri studenti”.
Ivana Risitano: “Il nostro è un territorio ferito su entrambe le sponde, oltre che dalla questione meridionale, mai risolta. È ferito in quanto territorio sismico e soggetto al dissesto idrogeologico che sappiamo bene non essere una calamità naturale, bensì frutto delle scelte scellerate di cementificazione delle colline. Questo appello è stato sottoscritto da docenti a partire dalla scuola dell’infanzia fino all’università. Ci troviamo a dialogare con persone che hanno subito questo trauma collettivo in maniera diretta e indiretta. Abbiamo genitori dei nostri alunni terrorizzati ad ogni allerta meteo. Con tutto ciò – prosegue Ivana Risitano – ci troviamo di fronte a questo tipo di minaccia che si innesterebbe su questo territorio ferito e traumatizzato esponendolo a ulteriori rischi”. L’insegnamento ai ragazzi rispetto alla questione ponte: “Noi studiamo a vari livelli le lotte per i diritti sociali, le conquiste dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e poi ci troviamo dentro questa situazione surreale, quando invece la politica deve intendersi in termini di cura del bene comune e della partecipazione”. Cosa avvenuto finora: “Nel silenzio di una parte politica che veniva censurata e imbavagliata, continuavano sottotraccia ad esserci momenti di formazione di eventi in cui veniva spiegato quanto sarebbe stato avveniristico questo progetto, quanto sviluppo avrebbe portato al nostro territorio, con promesse di posti di lavoro ai ragazzi che sono in una condizione di paura per il loro futuro. Questi ragazzi erano storditi dall’ipotesi che Messina sarebbe risorta con Reggio Calabria e che ci sarebbe stato lavoro per il nostro territorio”. Le domande da porsi e le risposte da darsi: “Ma che lavoro, e che sviluppo? La tecnica non è fine a sé stessa, deve essere a servizio della persona e non viceversa. Qual è il progresso in nome di questo modello di sviluppo? Cosa sta regredendo e cosa stiamo perdendo? In questo modello di sviluppo vengono sacrificati sull’altare del profitto tutta una serie di diritti umani fondamentali. Quindi alla luce di questo abbiamo capito che non potevamo più stare zitti”. Come programmare la protesta: “Siamo arrivati fino a questo punto, ma su come proseguire decideremo assieme forme, metodi e tipi di aggregazione. Si è tolto il tappo a questo silenzio, adesso tocca all’assemblea e a tutte le persone che hanno aderito al manifesto decidere come procedere”.
La prima idea era mobilitare le forze. La lotta No ponte delle docenti e dei docenti è iniziata sotto i migliori auspici.